Come sono attuali “Le lettere di Berlicche”! Ci insegnano a riconoscere lo spirito del mondo e a non ridurre Cristo alle nostre idee, di Giovanni Fighera
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Riprendiamo dal sito della rivista Tempi un articolo di Giovanni Fighera pubblicato il 10/8/2013. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (20/4/2014)
In un’opera geniale, Le lettere di Berlicche, C. S. Lewis inventa l’espediente di un colloquio epistolare tra demoni, lo zio Berlicche e il nipote Malacoda. Oltre che apprezzabile per arguzia e ironia, l’opera appare come un’utilissima palestra per allenarsi a riconoscere la tentazione. Nella quotidianità facciamo costantemente esperienza di come spesso ci si presentino scelte non buone e maliziose sotto l’apparenza del bene e dell’innocenza. Il male che si nasconde sotto le parvenze del bene si chiama tentazione.
Nel «Padre nostro» noi chiediamo a Dio di tenerci lontano dalla tentazione ovvero di farcela riconoscere come tale e, quindi, di togliere la patina mendace che ricopre il male e ci impedisce di riconoscerlo come tale. L’autore evidenzia già fin dall’inizio che «vi sono due errori, uguali e opposti, nei quali la nostra razza può cadere nei riguardi dei diavoli. Uno è il non credere alla loro esistenza. L’altro di credervi e di sentire per essi un interesse eccessivo e non sano. I diavoli sono contenti d’ambedue gli errori e salutano con la stessa gioia il materialista e il mago».
Percorrendo le pagine in cui lo zio tenta di educare il nipote a traviare gli umani, scopriamo come denigrare la dimensione allegra della vita e il riso sia una modalità del diavolo di allontanarci dal gusto di vivere. Anche trascurare i piaceri veri, quelli che davvero hanno a che fare con la nostra persona in nome dei piaceri che vanno più di moda, è un espediente adottato dal diavolo perché l’uomo non vada verso Dio, dal momento che l’uomo è portato verso Dio proprio dalle sue vere passioni e dai suoi talenti.
Scrive lo zio diavolo Berlicche al nipote Malacoda: «Come non sei riuscito a capire che un piacere vero era l’ultima cosa che avresti dovuto lasciargli incontrare? Come non hai previsto che avrebbe proprio annientato tutto l’inganno che tanto laboriosamente gli hai insegnato a valutare? E che quel genere di piacere che il libro e la passeggiata gli davano era il più pericoloso di tutti? Che gli avrebbe tolto tutta quella specie di crosta che eri riuscito a formargli sulla sua sensibilità, e fatto sentire che stava tornando a casa, che stava guarendo?».
Quest’uomo, che è chiamato dal diavolo con l’espressione «verme» o «piccolo bruto», non deve pensare a se stesso, deve essere distratto da ciò che ha più a cuore, dai suoi interessi in una sorta di divertissement o distrazione che lo allontana da sé, dalla realtà e da Dio.
Malgrado i suggerimenti dell’esperto zio, il paziente di Malacoda diverrà cristiano. Anche allora lo si può tentare utilmente facendogli pensare di avere la grazia per sempre e che essa non vada, invece, chiesta giorno per giorno, istante per istante, facendogli desiderare un’umiltà intesa non come dipendenza da Dio e dal Mistero, bensì come sottovalutazione e disprezzo dei propri talenti e delle proprie capacità.
Malacoda sarà di volta in volta spronato dallo zio a tentare il paziente con il desiderio di vivere nella prospettiva del futuro, slegato dal presente e dall’eternità, con la dimenticanza della propria precarietà e della propria miseria. Scrive Berlicche: «Gli esseri umani vivono nel tempo, ma il nostro Nemico (Dio) li destina all’eternità. Perciò, credo, Egli desidera che essi si occupino principalmente di due cose: della eternità stessa, e di quel punto del tempo che essi chiamano il presente. Il presente è infatti il punto nel quale il tempo tocca l’eternità. Del momento presente, e soltanto di esso, gli esseri umani hanno un’esperienza analoga all’esperienza che il nostro nemico ha della realtà intera; soltanto in esso viene loro offerta la libertà e la realtà».
A questo punto si potrà tentare il nuovo convertito inducendolo a non voler essere «unicamente cristiano», ma a perseguire «il cristianesimo e la crisi, il cristianesimo e la nuova psicologia, il cristianesimo e l’ordine nuovo, il cristianesimo e la ricerca psichica, il cristianesimo e il vegetarianesimo». Al proposito lo zio scrive ancora a Malacoda: «Se devono essere cristiani siano almeno cristiani con una differenza. Sostituisci alla fede qualche moda con una tinta cristiana».
Questa è una riduzione del cristianesimo che lo stempera e al contempo ne annienta la potente forza rivoluzionaria in nome delle buone, accettabili e comprensibili mode del momento. Nell’ottica mondana e nella prospettiva dei due demoni del romanzo ciò che è incomprensibile è che si possa seguire un Altro per guadagnare completamente se stessi, che si possa davvero amare un altro in maniera disinteressata (ci deve pur essere un secondo fine nell’amore di Dio, nel cosiddetto amore disinteressato). Lasciamo al lettore il piacere di leggere quest’utile «manuale tascabile per riconoscere il pensiero del mondo e la tentazione» e di scoprire quale sarà la fine del paziente dell’inesperto diavolo Malacoda.