Rivoluzione culturale, ma le famiglie non ne sentono il bisogno, di Filippo Morlacchi
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Riprendiamo dal sito Romasette un articolo scritto da Filippo Morlacchi il 23/2/2104. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la loro presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (27/2/2014)
«La famiglia oggi è disprezzata, è maltrattata, e ci è chiesto di riconoscere quanto è bello, vero e buono formare una famiglia; quanto è indispensabile questo per la vita del mondo, per il futuro dell’umanità». Così si è espresso giovedì papa Francesco dinanzi ai cardinali riuniti per il Concistoro straordinario sulla famiglia. Parole semplici per invitare la Chiesa ad una pastorale attenta alle «condizioni attuali», e tuttavia capace di «mettere in evidenza il luminoso piano di Dio sulla famiglia». Un messaggio aperto alla speranza, che mette a fuoco il nucleo essenziale della famiglia come luogo degli affetti più veri e originari. Per quell’«ospedale da campo» che è la Chiesa bisogna concentrarsi sull’essenziale.
Anche la scuola sembra uno sconfinato, desolato ospedale da campo, nel quale non si sa bene dove mettere le mani, tante sono le urgenze. Proprio per questo lascia perplessi il fermento che agita da qualche tempo il mondo della scuola in relazione alle cosiddette «tematiche gender». Fino a qualche anno fa, i pedagogisti e gli insegnanti più avvertiti si battevano soprattutto per una scuola inclusiva, accogliente, attenta all’integrazione degli stranieri e al sostegno degli svantaggiati, oltre che - ovviamente - capace di attrezzare culturalmente gli alunni. Obiettivi nobili e meritori, e purtroppo ben lontani dall’essere raggiunti, ma ora passati in secondo piano.
La priorità emergente, il pensiero dominante sembra, già nella prima infanzia, la proposta dell’ideologia gender, ossia la dottrina secondo cui il dato biologico originario del dimorfismo sessuale è marginale rispetto alla costruzione dell’identità di genere. «Gli anni delle elementari - si legge in una pubblicazione del progetto "Educare alla diversità a scuola" recentemente introdotto nelle scuole italiane (poi sconfessato dal Ministero delle Pari Opportunità) - offrono una meravigliosa e importante opportunità di instillare e/o nutrire atteggiamenti positivi e rispettosi delle differenze individuali, familiari e culturali, comprese quelle relative all’orientamento sessuale, all’identità e all’espressione di genere».
Mettendo tutto in un unico calderone: la doverosa accoglienza delle differenze individuali e l’impegno di «instillare atteggiamenti positivi» verso differenze di orientamento sessuale, identità sessuale o ruolo di genere. Si vuol così avviare una vera rivoluzione culturale, di cui la maggioranza delle famiglie italiane, impegnata ad affrontare tanti problemi educativi con i loro figli, non sembra proprio sentire il bisogno. Tutto questo, si noti, già con bambini molto piccoli. Sì, perché esistono progetti di questo tipo per ogni grado di scuola. Sono previsti infatti corsi di formazione per le insegnanti del nido e dell’infanzia, e progetti didattici da sviluppare con gli alunni delle scuole superiori, passando ovviamente anche per la delicatissima fase della scuola media.
Il tutto confezionato nella cornice politicamente corretta e rassicurante della «promozione delle differenze» e dell’affrancamento dagli stereotipi. «Educare alla diversità», si dice. Peccato però che almeno una di queste diversità, cioè quella assolutamente originaria, quella che ogni bambino coglie al volo, quella tra maschietti e femminucce, quella tra mamma e papà, in breve la differenza sessuale, venga invece trascurata, fluidificata e perfino contestata come obsoleto «stereotipo culturale». La scuola italiana è quasi tutta al femminile (96% di insegnanti donne nell’educazione primaria). In una società già contrassegnata dall’evaporazione della figura paterna, bambini e bambine in età scolare hanno bisogno di essere accompagnati amorevolmente ad una serena educazione affettiva, che li aiuti a confrontarsi con l’altra metà del mondo in maniera consapevole ed equilibrata.
Da questo equilibrio affettivo nascerà anche il rispetto degli altri capace di contrastare il bullismo ed il ricorso alla violenza, nei confronti di chiunque. È triste invece constatare che la prospettiva del gender, nata qualche decennio fa per valorizzare il «genio femminile», trascuri ora la tutela delle donne e l’effettiva parità dei sessi, e si rivolga piuttosto alla prevenzione dell’omofobia o alla promozione di condotte sessuali alternative. Anche in altri Paesi europei (ad es. la Francia) la potente minoranza favorevole al «gender» ha dettato l’agenda degli impegni scolastici; ma le associazioni di genitori hanno alzato la loro voce e prodotto agili pubblicazioni per avvertire le famiglie del fenomeno. Forse è tempo che anche in Italia non solo i cattolici, ma tutti gli uomini convinti della bontà della famiglia naturale si esprimano pubblicamente. Difendendo - stavolta sì - qualche «distinzione» o «differenza»: rispetto assoluto per ogni persona, indipendentemente dalle sue idee, inclinazioni o azioni, sì; ma senza legittimare ideologie contrastanti con la verità del Vangelo.