La mano di Dio fa, come in cielo così nel marmo (è al Diavolo che piace sparlare), di Annalisa Teggi
- Tag usati: annalisa_teggi
- Segnala questo articolo:
Riprendiamo dal sito della rivista Tempi un articolo di Annalisa Teggi pubblicato il 16/1/2014. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (2/2/2014)
Qualcosa cammina sempre tra di noi con abiti mascherati, indossa il mantello
grigio di una chiesa o il mantello verde di un prato. Lui è sempre lì dietro.
G. K. Chesterton
A 17 mila anni luce da qui c’è un oggetto stellare chiamato PSR B1509-58: è una «giovane» pulsar, una stella di neutroni creatasi dal collasso di un’altra stella; il suo diametro è di circa20 chilometri e attorno a essa si estende una nebulosa ampia 150 anni luce. Dal 1982 l’esistenza di questa pulsar è nota, ma proprio in questi giorni il telescopio spaziale NuSTAR della Nasa l’ha portata alla ribalta.
NuSTAR è in orbita dal 2012, con lo scopo di studiare pulsar e buchi neri; pare che uno scatto fatto a PSR B1509-58 gli sia venuto particolarmente bene. Nel 2009 il telescopio spaziale Chandra aveva già fotografato questa nebulosa, togliendole la triste impersonalità di un nome fatto di lettere e numeri per consegnarle l’esimio epiteto di «mano di Dio».
Effettivamente è a questo che assomiglia: il palmo aperto di una mano. Le immagini prodotte dal telescopio NuSTAR hanno reso più vivida quest’impressione visiva, evidenziando in modo più definito la sagoma di quest’enorme impronta blu le cui «dita» paiono protendersi verso un rossastro cumulo di stelle. Ovviamente non c’è nulla di miracoloso nella cosa, nessuna mistica manifestazione divina. Dietro la clamorosa definizione «mano di Dio», c’è semplicemente la capacità simbolica dell’uomo, che funziona bene e produce associazioni di pensiero davvero sensate.
Perché se qualcosa di sensato e di antropomorfo si può attribuire a Dio non è la barba bianca, ma la mano. Quell’incontro di dita che Michelangelo dipinse nella Cappella Sistina raffigurando la creazione di Adamo è la sintesi della somiglianza più profonda e operativa che abbiamo col Creatore. Che è Colui che fa. Fin dal principio della Bibbia, Dio fa le cose (terra, acqua, fango, argilla, germogli, animali): di Lui più che di chiunque altro si può dire che sia un manovale. E solo il genio sfacciato e impareggiabile di Chesterton poteva spingersi fino al paradosso di definire Dio quasi un materialista.
Lo spiega in un passaggio del suo San Tommaso d’Aquino: «Il fatto che “Dio guardò tutte le cose e vide che erano buone” contiene una sottigliezza che sfugge al normale pessimista, forse troppo frettoloso per farci caso. È la teoria che non esistono cose sbagliate, ma solo modi sbagliati di usare le cose. Se volete, non ci sono cose cattive, ma soltanto cattivi pensieri e soprattutto cattive intenzioni. Soltanto i calvinisti possono credere che la strada per l’inferno sia lastricata di buone intenzioni. Invece, sono proprio la cosa con cui quella strada non può essere lastricata. Infatti, si possono avere cattive intenzioni riguardo a cose buone; e le cose buone, come il mondo e la carnalità, sono state travisate da una cattiva intenzione che si chiama diavolo. Ma il diavolo non può rendere cattive le cose; esse restano com’erano il giorno in cui sono state create. L’opera del cielo è stata soltanto materiale: la creazione di un mondo materiale. L’opera dell’inferno è soltanto spirituale».
Parafrasando l’acciaio affilato delle parole di Chesterton: il pensiero di Dio fa, mentre l’unica azione del Diavolo è parlare (peraltro mentendo su ciò che è stato fatto). La volontà di Dio ha la consistenza nerboruta di un braccio, l’invidia del Diavolo ha la sibillina ambiguità della lingua. E questa è una gran consolazione, perché vuol dire che, in mezzo ai fiumi di parole con cui facciamo quotidianamente i conti, la verità ci starà sempre accanto dentro la robusta concretezza della sostanza, conficcata nel corredo genetico di quella «cosa» che è la realtà. Non è panteismo, bensì paternità: la realtà non è Dio, ma è nata dalle sue mani.
Forse, a differenza del pittore o del musicista, lo scultore è il tipo di artista che può avvertire più distintamente l’aspetto materiale della creatività di Dio. Pur essendo inesperta, ne ho avuto la forte impressione quando mi sono trovata di fronte a La mano di Dio di Auguste Rodin. In questo caso, non si tratta della forma di una nebulosa nel cielo che a qualcuno ha fatto fare una strana (e bella) associazione di pensiero. È, invece, la fatica di un uomo che ha tirato fuori dal duro marmo un capolavoro.
Chi abita a Milano (chiunque, in realtà) può andarlo a vedere fino al 26 gennaio a Palazzo Reale, dove è allestita una mostra dedicata, appunto, a Rodin dal titolo Il marmo, la vita. Si entra in una stanza che pare un cantiere edilizio, una scenografia asciutta che ospita la potenza di figure che sembrano uscire dalla pietra bianca. Tra queste, c’è La mano di Dio: impossibile descriverla e anche fotografarla, perché la scultura ha quella complessa e amplificata bellezza data dalla tridimensionalità. A me è parsa la traduzione materiale del passaggio prima citato di Chesterton: è una mano enorme che è tutt’uno con la pietra a cui si fonde, eppure sembra anche una mano all’opera per forgiare la durezza di quella pietra.
Cambiando prospettiva, si vede qualcos’altro: quella mano imponente non abbraccia solo la pietra, ma anche due piccole figure umane strette tra loro, Adamo ed Eva. Vista da una certa angolazione sembra proprio la foto di un papà che accarezza il piedino del suo neonato. Qui mi fermo, perché la descrizione non si addice alla meraviglia che è quell’oggetto, in cui è contenuta una sintesi che fa pensare. C’è tutto: c’è la durezza inerte della materia, il suo attrito e la scabrezza; c’è l’amorevole fatica di una mano all’opera che tiene tutto dentro il suo grande palmo, non ultima la tenerezza di due piccole creature nude e non ancora perfettamente definite.
Si potrà forse dire che l’uomo è un visionario se scambia un ammasso celeste per una mano divina; ma l’arte non è una svista o un’illusione ottica, è uno dei tanti altoparlanti da cui si riverbera la nostra memoria originale.