Quei due ragazzi di cento anni fa, di Marina Corradi
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Riprendiamo dal sito della rivista Tempi un articolo di Marina Corradi pubblicato il 4/11/2013. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (2/6/2014)
Parma, 28 ottobre. Dopo Fidenza sull’Autostrada del Sole si alza una leggera nebbia, che sale dai campi e vela i filari dei pioppi. Le cascine sdraiate sulla terra nera sembrano indefinitamente lontane. Nella foschia che confonde l’orizzonte penso fra me che questa campagna somiglia a quella di cent’anni fa. Del 1913, mi dico, con un sussulto di improvvisa tenerezza.
Perché mi immagino, viva come fosse oggi, una ragazza appena scesa dall’Appennino per andare a servizio a Parma. Nelle fotografie di famiglia l’ho sempre vista vecchia, ma certo in quel 1913 era molto giovane, una fanciulla di queste montagne, abituata fin da piccola a badare ai suoi tanti fratelli, e alle stalle. E dunque mi immagino che in un giorno grigio come oggi, verso la festa dei Morti, Dina Belletti, sposa da poco, da certi strani malesseri si sia scoperta incinta del primo figlio. Suo marito, Ferdinando, fulvo di capelli come i barbari che invasero un tempo queste pianure, fa il daziere. Chissà come lui, socialista arrabbiato, si è scelto quella donna che ogni mattina andava a Messa?
Comunque – la mia immaginazione come la nebbia, che si impossessa della pianura, piano – quell’inizio d’Avvento di cento anni fa fu diverso, nella modesta casa dell’Oltretorrente di Parma: nello stupore di ogni donna che per la prima volta scopre di custodire in sé un figlio.
E poi, verso il Natale, le strade di Parma silenziose al mattino, nella prima neve; e le impronte di Dina che, nonostante il gelo, quando ancora è buio va a Messa. La sera, coricarsi battendo i denti fra le lenzuola gelide, nella casa non riscaldata; felici quei due però, con il loro figlio ancora segreto. Silenzio, attorno, così denso che mi pare di poterlo sentire; e poi l’eco di carri tirati dai cavalli, e poi il sonno (vicina, così vicina in questa nebbia, la mia giovane nonna).
Sarebbe nato a maggio, mio padre. E mi intenerisce pensare a quei due, che non sapevano niente: della guerra che stava per scoppiare e avrebbe trascinato Ferdinando sul Piave, del Duce, ancora di là da venire, dell’altra terribile guerra che avrebbe portato quel figlio sul fronte russo. Quel figlio, e poi altri due, venuti al mondo mentre il secolo marciava verso il suo orizzonte plumbeo. Così che oggi, 28 ottobre 2013, tre ragazzi in giro per Milano portano nei lineamenti, negli occhi le tracce di quegli sconosciuti bisnonni.
La nebbia sull’autostrada ora si è alzata. È stato come un incantesimo, sognare quei ragazzi di cento anni fa. Eppure una cosa è vera: la vita è più grande di ogni male, e lenta, aspra a volte, o carsica, sotterranea, scorre – come un gran fiume, che sa dove va.