«Troppo comodo scaricare la colpa», di Pierangelo Sequeri [«Noi facciamo il male ogni giorno. Quale delirio di onnipotenza, quale viltà ci impongono di chiamarci fuori dalla colpa?». Una risposta a Vito Mancuso]

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 03 /11 /2013 - 14:12 pm | Permalink | Homepage
- Tag usati: ,
- Segnala questo articolo:
These icons link to social bookmarking sites where readers can share and discover new web pages.
  • email
  • Facebook
  • Google
  • Twitter

Riprendiamo da Avvenire del 27/10/2013 la risposta di Pierangelo Sequeri ad una lettera scritta da Vito Mancuso sullo stesso numero del quotidiano. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (3/11/2013)

Caro direttore, aderisco volentieri all’invito di interloquire con le puntualizzazioni di Vito Mancuso a riguardo della sua posizione sul tema del peccato originale. Mi permetto anzitutto un’osservazione sull’ambivalenza dell’approccio critico, che Mancuso rivendica, di per sé giustamente, come qualità necessaria dell’impresa razionale della teologia (citando Joseph Ratzinger!).

Mancuso si propone di denunciare «l’insostenibilità» del nucleo centrale del dogma, che sarebbe in aperto contrasto con la dignità di Dio e dell’uomo. Ma, al tempo stesso, propone che esso venga «riscritto», dato che concerne pur sempre una drammatica verità del male e del peccato che egli, in quanto teologo, non vuole in alcun modo vanificare. Mi pare francamente una mossa a effetto. Lo capisco, il tempo si è fatto difficile e il mondo è cattivo (appunto): se vuoi parlare del cristianesimo e non esibisci anzitutto un gesto liquidatorio del dogma, poi non te lo lasciano neanche interpretare o trascrivere. (Come anche Mancuso ci spiega nel finale, se rientri nel club dei sottomessi esci da quello degli intelligenti). Prendiamoci il rischio, e proviamo a vedere l’intelligenza.

La denuncia dell’insostenibilità del dogma argomenta la necessità di contrastare la sua idea centrale, ossia che gli uomini siano peccatori agli occhi di Dio «per il fatto stesso di essere uomini». Questa semplificazione, che intende riassumere il nucleo della dottrina, non è leale. Questa equivoca forzatura è propria del dualismo gnostico, semmai, al quale il cristianesimo si è duramente opposto fin dall’inizio.

L’idea della struttura peccaminosa della creatura, che riconduce infine a un «dio maligno», rimane nella variante-Mancuso, che parla della natura umana come precario impasto di un «caos originario», in cui lavora un’oscura «forza distruttiva», al di sotto e al di là di ogni profilo morale (quello più degno dell’uomo, quando si discute del male). È perciò curioso – oltre che “sbagliato” – che, pur sostenendo questa naturalizzazione del peccato e del male nell’uomo, Mancuso rimproveri questa «scandalosa» dottrina al Concilio di Trento. Il Concilio di Trento, in verità, che fronteggia proprio su questo punto il radicalismo agostiniano del protestantesimo, condivide l’idea di una corruzione della natura umana, ma resiste fermamente all’idea della corruzione come natura dell’uomo.

L’ingiustizia del male è una faccenda fra l’uomo e Dio: non va divinizzata, né naturalizzata. Certo, anche la catechesi, maneggiando talora maldestramente i registri narrativi della rivelazione e quelli metafisici della tradizione, ha accumulato eccessi di semplificazione, che sono diventati altrettanti motivi di grave fraintendimento. Non per questo dobbiamo buttare il bambino con l’acqua del battesimo, come fosse un piccolo mostro.

Nonostante tutto (ossia nonostante noi), «i loro angeli vedono Dio» dice Gesù. Il quale, però, ci ha pure trafitti con quella sua famosa e trascurata doppia sentenza. La prima è questa: «Perché mi chiami buono? Solo Dio è buono». E poi: «Se voi che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più Dio». Se anche non vogliamo perderci nelle difficili interpretazioni del mito e della metafisica, ce l’abbiamo già tutta qui, in chiaro, la rivelazione del peccato originale. Insieme con il suo antidoto, sul quale non mi dilungo.

Infine, sembra essere proprio la nominazione della profondità del male come peccato, che ci rende così suscettibili, noi moderni. Certo, capisco che ereditare «il caos» sembra suonare meglio che non ereditare «il peccato». Lo dice esplicitamente Mancuso: «Logos + Caos: è questa la formula che sa rendere conto della contraddizione insita nel processo vitale, uomo compreso, senza colpevolizzare nessuno». Ecco la parola magica. Noi non vogliamo condividere nessuna colpa di qualcun altro. Anzi, non vogliamo essere colpevolizzati e basta. Siamo caotici, siamo irrazionali, siamo pure bestiali.

Ma quando ci mettiamo dalla parte della Legge e del Logos, della disciplina e della ragione, non vogliamo essere colpevolizzati da nessuno. Tanto meno da Dio, che semmai ha molto da farsi perdonare da noi. Non che ci sia un qualche senso, in (quasi) tutto questo. Figuriamoci. Non siamo così sottomessi da non capirlo. Eppure quel tanto di accecamento che sta racchiuso in questa nostra presunzione, dovrebbe renderci più pensosi. L’oscura rivelazione del peccato che sta all’origine, ed è tramandato di generazione in generazione fino a noi, accende una luce su ciò che non vediamo, anche quando ci sentiamo illuminati a giorno.

L’uomo moderno alza il suo ditino fino al cielo, non solo perché sofferente del male, ma anche perché indignato per l’aliena e ingiustificata incursione del male nella nostra vita. L’impotenza non è una colpa, certo. Ma lo scandalo del male che è perfettamente in nostro potere evitare, non è il vero (e scandaloso) enigma? Noi facciamo il male, ogni giorno, a mente lucida e anche senza alcun tornaconto. Da quale delirio di onnipotenza si leva il nostro ditino innocente? E quale viltà ci impone di chiamarci fuori dalla colpa in cui siamo avvolti, come genere umano, soltanto per il fatto che non noi precisamente abbiamo fatto questo o quello, che pure ci appare «indegno» dell’uomo, e ci fa giustamente «vergognare» di appartenere alla stessa umanità? Non dovremmo incominciare di qui, a ragionare sulla nostra autonomia, e sul caos e sul logos?

Ma c’è di più. Tutto questo avviene anche dalla parte della ragione, non solo del caos. E persino dalla parte della religione, e non solo dell’incredulità (come dice esattamente Paolo: fuori e dentro la Legge).

Non conosciamo forse una lucida burocrazia del male, tutta legge e ordini che non si discutono? Non calcoliamo forse a tavolino, con razionale economia, la quota di esseri umani destinati a morire di fame per mancanza di risorse? La carestia, forse, non dipende da noi. Ma le risorse? Non si crocifiggono ancora umani in nome di Dio? Non si sacrificano umani in nome del progresso, del benessere, del pensiero illuminato – e dogmaticamente irrevocabile – su ciò che è degno o indegno di vivere?

Non siamo diventati un po’ vili, quando mendichiamo comprensione alla patetica ideologia delle pulsioni, degli ormoni, dei neuroni e dei geni, perdendo l’intelligenza della grandiosità e della profondità “ontologica” della storia: ossia della drammatica morale in cui si decidono la realtà e la giustizia di quello che siamo e saremo? Non siamo un po’ cinici, quando protestiamo la nostra innocenza soltanto perché noi non abbiamo fatto niente (appunto)? E come riusciamo, senza arrossire, a mettere in carico al caos primordiale anche tutta la vergogna della nostra presunta impotenza, e a merito del logos moderno anche tutto il nostro delirio di onnipotenza?

Di tutto questo tratta il dogma del peccato originale, comunque, se lo si vuole realmente indagare. (Caro Vito, lo so, il nostro è un mestiere difficile. Ci tocca dar retta senza fiatare a un racconto “razionale” delle origini che parla di scimmioni che si sono inventati “dio” dopo una rissa per una questione di donne andata a male, e poi essere rimproverati di ascoltare ancora il “mito” biblico del bellissimo e drammatico primo incontro dell’uomo con Dio. Hanno studiato Kant, l’illuminato, che lo pasticcia, e non hanno neppure letto la Parola, che ci rischiara. Ti chiedo francamente: a chi e a che cosa siamo sottomessi, realmente, se accettiamo quel piatto di lenticchie in cambio dell’obbedienza della fede? E con quale vantaggio, per la comune intelligenza della fatica di essere umani?).