«O Dio, tu resti muto senza la nostra voce», di Chino Biscontin (dalla rassegna stampa)

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 13 /01 /2009 - 23:57 pm | Permalink | Homepage
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«O Dio, tu resti muto senza la nostra voce»,
di Chino Biscontin (Direttore della rivista «Servizio della Parola»)



Riprendiamo dall’Osservatore Romano dell’11 gennaio 2009 un breve articolo di Chino Biscontin sull’omelia, espressione della Parola e non semplicemente della Scrittura.
Gli scritti (14/1/2009)






"O Dio, che nel tuo Figlio fatto uomo ci hai detto tutto e ci hai dato tutto, poiché nel disegno della tua provvidenza tu hai bisogno anche degli uomini per rivelarti, e resti muto senza la nostra voce, rendici degni annunziatori e testimoni della parola che salva".

Questa ardita orazione del Messale Romano aiuta a porre la questione della predicazione omiletica nella giusta prospettiva. Essa deve proporsi di diventare mediazione offerta a Dio e al Signore Gesù perché possano parlare all'assemblea radunata nel loro nome. Certo, si tratta di un'affermazione audace, e di fronte ad essa si prova il medesimo brivido che suscita l'affermazione di san Paolo: "In nome di Cristo, dunque, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta" (2 Cor 5, 20).

E tuttavia, poiché l'omelia è parte dell'azione liturgica, partecipa secondo proprie modalità alla natura sacramentale di quest'ultima. Si deve parlare, dunque, dell'omelia come di una mediazione sacramentale, attraverso la quale il Parlante può ancor oggi far udire la sua parola vivente.

Anche durante il recente Sinodo sulla Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa si sono udite lamentele e persino vere e proprie denunce riguardo alla situazione della predicazione omiletica, ritenuta insoddisfacente. Anche in questo caso ogni generalizzazione va evitata: esiste anche una predicazione di buon livello, fedele e che porta buon frutto. Tuttavia è vero che le più recenti diagnosi in proposito parlano di una situazione diffusa di disagio. Indubbiamente c'è un cammino da compiere, c'è molto da migliorare.

E una prima e urgente cosa da fare, credo, consiste nell'innalzare il livello di consapevolezza della natura dell'omelia nella coscienza dei predicatori. Non si tratta di una breve conferenza a soggetto religioso, lasciata in balia di chi la deve tenere. Essa è, appunto, una mediazione sacramentale di cui Dio stesso ha bisogno per poter parlare e va trattata con tutta la cura e il rispetto che merita. Se fosse così concepita e presa a cuore la situazione non potrebbe non migliorare.

Quelli che a me sembrano i due difetti principali (ma ve ne sono altri) della predicazione corrente sono: da una parte, la scarsa preparazione e la scarsa fedeltà allo statuto dell'omelia; dall'altra, l'insoddisfacente livello religioso. Troppo spesso ci si trova davanti a omelie che andrebbero classificate come "intrattenimento religioso", nel senso che occupano il tempo assegnato (e a volte anche abusato) per trattare argomenti che hanno attinenza religiosa, ma che non obbediscono alla disciplina che deriva dalla natura dell'omelia e non rivelano una adeguata qualità religiosa dell'atto omiletico stesso.

Chi prepara un'omelia dovrebbe chiedersi, dopo aver considerato le letture bibliche, il contesto liturgico e le necessità pastorali dell'assemblea celebrante: "Che cosa vorrà dire Dio alla nostra assemblea, radunata nel suo nome?". Dovrebbe essere evidente che chi si pone in questa prospettiva non potrà preparare l'omelia se non in un continuo clima di preghiera, di attenzione e ascolto rivolto verso il Dio vivente.

E dovrebbe essere altrettanto chiaro che il predicatore capirà di doversi attenere fedelmente alla natura dell'omelia, così come essa risulta dai testi della riforma liturgica conciliare. In particolare non potrà trascurare uno studio serio dei brani biblici del lezionario, per comprenderne il significato letterale; a partire da esso, si impegnerà in un approfondimento ermeneutico che ne colga il senso per questa assemblea, nella concretezza della sua situazione davanti a Dio. Infine, dovrà far propri i sentimenti che Gesù provava per le folle e per i suoi discepoli, il suo bruciante desiderio di far loro del bene, egli che diceva: "Sono venuto perché abbiano la vita, e l'abbiano in abbondanza".



(©L'Osservatore Romano - 11 gennaio 2009)