Negazionismo: rischi con il nuovo reato, di Giorgio Israel
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Riprendiamo da Il Messaggero, del 18 ottobre 2018 un articolo scritto da Giorgio Israel. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Sulla Shoah, vedi su questo stesso sito la rassegna libraria Voci dalla Shoah e la mostra fotografica Vicino a noi.
Il Centro culturale Gli scritti (20/10/2013)
La verità è molto più fragile della menzogna perché la seconda si avvale del dubbio, dell’insinuazione e della calunnia, mentre la prima deve sempre ricorrere a prove positive; e il dubbio insinuante è capace di mettere in discussione anche le prove più evidenti. In questi giorni, il tema del negazionismo è tornato alla ribalta in modo così forte che ho sentito persino l’esigenza di toccare ancora con mano la realtà della deportazione dei miei parenti, rileggendo le schede che si trovano sul sito di Yad Vashem.
Lo dicono registri tenuti con cura da burocrati del massacro: due di loro risultano partiti col trasporto n. 44 da Drancy per Auschwitz-Birkenau il 9 novembre 1942 e proprio qualche giorno dopo uno zio scrive un terribile annuncio a mio padre: “risultano inviati verso destinazione sconosciuta”; aggiungendo che un altro zio è riuscito fortunosamente a sottrarsi. Ma anche lui poi viene preso ed è registrato come deportato, sempre da Drancy, col trasporto n. 46 del 9 febbraio 1943. E così molti membri della famiglia. E così per tante altre famiglie, formando il bilancio impressionante che tutti dovrebbero conoscere. Nessuno ha mai più viste queste persone. Saranno morte di vecchiaia in vacanza alle Seychelles?
I negazionisti più spudorati sarebbero capaci di dire anche questo, ma i più astuti usano una tattica più sottile: cavillano sui numeri, ma soprattutto mettono in dubbio le “modalità”. Potrebbero essere morti di fame, di malattie. Per quanto i campi fossero attrezzati – c’erano persino bordelli per i detenuti, secondo Priebke – alla fin fine si era nel pieno di una guerra… Il dubbio mira alle camere a gas. E il dubbio è facile da disseminare, confutando le testimonianze a pezzetti, mettendo in discussione ogni prova, ogni foto, ogni documento, per insinuare che le camere a gas non siano mai esistite, e quindi neppure lo sterminio di massa.
Anche il “matematico impertinente” Odifreddi, pur ammettendo che negare la Shoah è da “deficienti” ha detto furbescamente di non saper nulla delle camere a gas salvo la vulgata del “ministero della propaganda alleato” e che le potrebbe stare “molto diversamente” da quanto insegnato. Ha giustificato un frequentatore del suo blog dicendo che si può ben essere antinazisti senza che questo comporti «accettare l’esistenza delle camere a gas senza prove, solo perché a tutti noi da sui nervi anche solo immaginare la possibilità che esse siano un’invenzione».
È il modello perfetto di quanto si diceva all’inizio: la verità è fragile perché deve far fronte all’insinuazione che chiede sempre nuove prove, ignorando quelle a disposizione. Per giunta, con uno sfrontato ribaltamento, chi insinua il dubbio si presenta come la voce della ragione positiva a fronte di chi, sostenendo la verità, viene presentato come un dogmatico, uno che non vuole discutere e vuole soltanto imporre un’opinione propagandistica.
Chi si presenta in tal modo avrebbe buon gioco, se fosse condannato a qualche pena da una legge contro il negazionismo, a presentarsi come una vittima, come simbolo della persecuzione della ragione. Per questo, non credo che una legge contro il negazionismo sia utile, e penso anzi che sia controproducente. Far tacere d’autorità la menzogna serve solo a rivestirla dell’aureola di vittima. Non può in alcun modo distruggerne l’esistenza e, mettendola in clandestinità, la renderà ancor più pericolosa. Si rischia di stimolare la creazione di una rete dei “samizdat” della menzogna negazionista; qualcosa di assai facile a farsi nei tempi della rete e dei social network.
Quindi, occorre affrontare questa situazione difficile – in cui il pullulare del negazionismo e dell’antisemitismo rischia (con buone ragioni) di far perdere la testa – con calma e razionalità. Anch’io penso che la vicenda di Priebke sia stata gestita malissimo, amplificandola a dismisura mentre doveva essere risolta in modo autorevole con poche mosse silenziose: come Aharon Applefeld penso che Priebke sarebbe felice di sentirsi odiato e che la scelta migliore sarebbe stata seppellirlo in fretta, in silenzio, senza perdono.
Inutile censurare il suo “testamento”: forse è meglio fargli fronte, come è profondamente sbagliato vietare la lettura di “Mein Kampf”, invece di farne uno strumento per descrivere l’abisso della perversione. La verità è difficile ma è l’unico strumento che abbiamo, da difendere con la discreta e determinata forza della ragione – quella autentica, non quella dei seminatori di insinuazioni.
Non serve moltiplicare le commemorazioni rituali, le manifestazioni esteriori e neppure gli insegnamenti impositivi: alla larga dall’idea dei corsi scolastici sulla Shoah. In questi giorni, invece di tanti discorsi, spesso vacui e retorici, di storiografia in pillole che provoca lo sbadiglio tra i giovani, una buona idea sarebbe stata proiettare nelle scuole il film di un grande regista tragicamente scomparso da poco, Carlo Lizzani, un uomo sensibile, un artista raffinato, un cittadino politicamente impegnato. Mi riferisco a quel capolavoro che è Hotel Meina, che può dire ai cuori e alle menti dei più giovani molto più di tanti discorsi.