La nullità del matrimonio tra diritto e pastorale, di Elisabetta Sorcini
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Riprendiamo per gentile concessione un articolo scritto dall’Avvocato Rotale Elisabetta Sorcini. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (27/10/2013)
La nullità del matrimonio è un argomento che non interessa solo i separati o divorziati cristiani, ma coinvolge tutta la Comunità ecclesiale. In queste persone, la sofferenza di un matrimonio fallito viene aggravata, in molti casi, dalle difficoltà che possono provenire da relazioni irregolari successivamente instaurate o dalla privazione della Comunione Eucaristica.
Questa situazione esistenziale non dovrebbe ricadere esclusivamente sul singolo, ma interessare l’intera Comunità Ecclesiale, perché se è vero che la Chiesa è un corpo, è sufficiente che una sola cellula di questo corpo sia malata o non sappia quale sia la sua collocazione, che tutto il corpo inevitabilmente ne risente.
Certamente non tutti i matrimoni falliti sono anche matrimoni nulli. Anzi solo una piccola percentuale di essi lo sono realmente. Ciò nonostante è importante che chiunque abbia un dubbio sulla validità del suo matrimonio sia messo in grado di intraprendere questo procedimento con le giuste prospettive. Spesso manca, infatti, una corretta informazione e non sono pochi gli equivoci che offuscano questo importante strumento messo a disposizione della Chiesa per il bene dei suoi fedeli. Non è raro che se ne dia una connotazione negativa, che si consideri la nullità canonica come un ripiego o una scappatoia ipocrita o come un modo per giustificare, coprire o riparare qualcosa che non va.
In realtà è vero il contrario, perché il procedimento di nullità canonica è stato concepito e strutturato al fine di far emergere la verità. Il Papa emerito Benedetto XVI, in tal senso, ha evidenziato che lo scopo costitutivo di tale processo non è quello di complicare inutilmente la vita ai fedeli né tanto meno di esacerbarne la litigiosità, ma solo di rendere un servizio alla Verità[i].
Il diritto canonico ha, infatti, alla sua base una visione dell’uomo, un’antropologia, che pone al centro l’uomo, in quanto creato ad immagine e somiglianza di Dio. Questo rapporto particolare che unisce l’uomo a Dio in quanto sua immagine e somiglianza, è il fondamento della sua superiorità rispetto al mondo, della sua dignità personale, della sua chiamata all’eternità[ii]. Diversamente dagli ordinamenti secolari, il fine ultimo del diritto canonico è, dunque, sempre il bene comune e la salute spirituale di ognuno di noi, la cosiddetta “salus animarum”, la salvezza delle anime[iii].
Salvezza che passa per l’adesione a un progetto che Dio ha per ciascuno dei suoi figli, singolarmente chiamati ad una determinata vocazione, a un preciso “stato di vita”, come quella particolare via sulla quale sperimentare l’amore di Dio. Così avviene anche per la vocazione al matrimonio, che va inteso come l’unione unica e indissolubile con cui l’uomo e la donna si donano e si ricevono reciprocamente in un vincolo d’amore per il bene dei coniugi stessi e per la generazione di nuove vite, manifestando così agli uomini la bontà del Creatore, la sua saggezza e il suo disegno di amore. Papa Francesco, in tal senso, ha ricordato che il matrimonio è una chiamata a cui si può rispondere quando si scopre un disegno più grande dei propri progetti “che ci sostiene e ci permette di donare l’intero futuro alla persona amata”[iv].
Ma quando il proprio matrimonio fallisce, il disegno divino può rimanere oscuro e fonte di dubbi. In tali casi è certamente possibile che, ripercorrendo la propria storia coniugale, ci si interroghi sulla validità del vincolo matrimoniale e sulla propria collocazione esistenziale, sul proprio stato di vita.
Per dare una risposta a questo dubbio la Chiesa con il processo matrimoniale-canonico si pone, dunque, l’obiettivo di ricercare la verità sul matrimonio ritenuto nullo. Tale ricerca della verità sul caso concreto non può prescindere dal rispetto della verità del sacramento nuziale e della verità sull’uomo e sulla sua dignità: è solo nella verità, infatti, che si può rispettare la natura autentica del matrimonio e la sua sacralità, insieme alla santità e alla dignità inviolabile di ogni persona coinvolta. Quando parliamo del matrimonio cristiano parliamo, infatti, di una realtà sacra quale è, appunto, il sacramento del matrimonio, sul quale nessuno ha alcun potere[v]: se si è rettamente costituito non può essere cancellato, perché è una realtà perpetua e indissolubile come l’amore di Cristo per la Chiesa[vi].
Il matrimonio è, tuttavia, una realtà che si crea dall’incontro di due volontà, cioè dall’incontro delle volontà dei due sposi che vogliono costituire tra loro il vincolo coniugale nelle forme e nei modi stabiliti dalla Chiesa, con un impegno che spiegherà i suoi effetti per tutta la vita e sarà naturalmente orientato alla nascita ed educazione dei figli e al bene dei coniugi stessi. Tale coinvolgimento implica la partecipazione volontaria e libera degli sposi che sono i ministri stessi del sacramento. Sono loro due, infatti, che attraverso il consenso coniugale conferiscono reciprocamente il sacramento. In questo senso il consenso è definito la “causa efficiente” del matrimonio: in altre parole, il consenso degli sposi è “il motore” che fa venire ad esistenza, che fa essere ciò che deve essere, il matrimonio.
Quindi gli sposi al momento delle nozze, oltre a possedere i requisiti giuridici (differenza di sesso, età minima, etc.), devono anche essere in grado di scambiarsi liberamente e volontariamente il consenso, senza che niente e nessuno possa sostituirsi alla loro volontà. Devono, inoltre possedere al momento delle nozze la capacità necessaria alla vita coniugale, perché nessuno può impegnarsi per qualcosa che non vuole o non è in grado di dare o di ricevere.
Essendo, pertanto, indispensabile il concorso di entrambe le volontà degli sposi e considerando il grave impegno che essi assumono per tutta la vita, il vincolo del matrimonio non si costituisce validamente se anche uno solo degli sposi al momento dello scambio dei consensi:
- non ha una volontà sufficientemente libera e consapevole (esente da costrizioni, inganni o errori e libera da gravi problematiche psicologiche che impediscano il formarsi di un adeguato consenso);
- pur pronunciando la formula di rito, in realtà internamente non vuole il matrimonio stesso o alcuni dei principi fondamentali del matrimonio cristiano (il valore sacramentale del matrimonio, il bene reciproco dei coniugi, l’indissolubilità, la fedeltà, e la procreazione ed educazione della prole);
- non ne ha la capacità (capacità di assumere i doveri coniugali essenziali, capacità ai rapporti sessuali intimi);
- ha degli impedimenti oggettivi non dispensati o non dispensabili (tra gli altri, età minima, il precedente vincolo matrimoniale mai dichiarato nullo, il vincolo degli ordini sacri o del voto solenne di castità, la consanguineità, etc.).
Essendo inoltre prevista dalla Chiesa una specifica forma per la celebrazione delle nozze, il matrimonio sarà nullo qualora lo scambio dei consensi non sia avvenuto davanti al legittimo ministro della Chiesa e alla presenza di due testimoni.
Dunque, se il consenso scambiato il giorno delle nozze manca, o non è sufficientemente libero o ha ad oggetto una realtà diversa da quella del matrimonio cristiano, il vincolo matrimoniale non può venire ad esistenza[vii].
Molti usano l’espressione annullamento del matrimonio, ma ciò non è esatto, perché si annulla qualcosa che esiste, come un contratto che una volta stipulato può essere in seguito annullato. La realtà del matrimonio cristiano però supera l’aspetto contrattuale. In questo senso non si può confondere, la nullità del matrimonio né con l’annullamento, né con un divorzio camuffato come maliziosamente qualcuno vorrebbe far apparire. Perché, è bene ribadirlo, o il vincolo è venuto ad esistere e, quindi, non si può eliminare, o esso non c’è mai stato e allora il giudice canonico ne dichiara la nullità sulla base degli atti e delle prove fornite dalle Parti. Il matrimonio canonico è, infatti, considerato sempre valido sino a prova contraria[viii]. Sono i coniugi a dover fornire le prove congruenti e logiche per dimostrare l’esistenza di uno dei motivi di nullità al momento delle nozze.
La struttura del processo canonico è coerente con questi presupposti. E infatti:
- le parti di un simile processo non hanno diritto di sentir dichiarare né la nullità né la validità del proprio matrimonio, ma hanno diritto ad un processo giusto che possa sfociare nell’accertamento del loro vero stato di vita. Anzi, un tale diritto si traduce nel simmetrico dovere di ciascuna parte del processo di collaborare onestamente e umilmente per far emergere la verità sul matrimonio e, quindi, sul reale stato di vita delle parti. Per questo motivo è molto importante che entrambi i coniugi prendano parte al giudizio di nullità e forniscano le loro prove per la ricostruzione dei fatti[ix].
- Dovendo valutarsi il vizio che fin dall’origine ha impedito al vincolo matrimoniale di venire ad esistenza, non sono previsti tempi entro i quali iniziare la causa che può essere intrapresa anche dopo molti anni dalla separazione o anche quando il matrimonio sia durato a lungo o quando siano nati dei figli.
- La causa di nullità non ha come scopo quello di emettere giudizi di condanna anche solo morale dell’una o dell’altra parte. E, infatti, essa può essere iniziata tanto dal singolo coniuge quanto da entrambi i coniugi congiuntamente[x].
- Il Difensore del Vincolo, che è parte necessaria di tale processo, pur avendo la funzione di addurre tutti gli argomenti che aiutino a dimostrare ragionevolmente la validità del matrimonio, ha il dovere di concorrere con le altre parti alla ricerca della verità oggettiva[xi].
- I giudici, di norma in numero di tre, ad ulteriore garanzia di una adeguata valutazione, non possono disporre del vincolo[xii], ma, sulla base degli atti e delle prove, possono solo constatare il fatto giuridico della esistenza o inesistenza fin dall’inizio del vincolo matrimoniale. Per dichiarare la nullità del matrimonio devono averne raggiunto la certezza morale (cioè al di là di ogni ragionevole dubbio) sulla base degli atti e delle prove fornite dalle parti in giudizio.
- Dopo la prima sentenza affermativa, cioè quando il matrimonio viene dichiarato nullo, è necessario che essa venga confermata dai giudici del grado d’appello i quali riesaminano gli atti del giudizio e “ratificano” la prima sentenza ovvero richiedono ulteriori prove al fine di raggiungere la certezza morale.
Questi brevi cenni hanno lo scopo di sottolineare come tutto il processo di nullità canonica sia indirizzato al raggiungimento della verità oggettiva sul matrimonio-sacramento. Una verità che non sia fine a se stessa ma che sia foriera di bene spirituale per il fedele. La verità, che si va cercando, infatti, non è né può mai essere malleabile o adattabile in un’ottica strumentale.
Indubbiamente, questo tipo di processo il più delle volte, e soprattutto nelle nullità per vizi del consenso, va a scavare nelle situazioni vissute dai coniugi durante il fidanzamento, al momento delle nozze e nella convivenza coniugale: ciò comporta la personale disponibilità ad affrontare temi importanti e a riaprire ferite forse non ancora rimarginate. Ciascun coniuge, poi, partecipa al giudizio con la sua personale visione della vicenda matrimoniale, che contribuirà, insieme alle altre prove, alla ricostruzione obiettiva della realtà ad opera dei giudici. Una ricostruzione che può discostarsi dalla singola visione personale laddove le altre prove forniscano riscontri diversi. Al di là della possibilità di impugnare la sentenza ritenuta ingiusta e di ottenerne la riforma quando se ne forniscano le prove, va sottolineato come il processo di nullità canonica, se rettamente inteso, può costituire l’inizio o la prosecuzione di un percorso di consapevolezza e di maturazione personale attraverso anche una rilettura degli eventi. In questo senso diritto e pastorale sono chiamati a interagire, ciascuno nel proprio ambito, al fine di accompagnare il fedele nella sincera e umile ricerca della verità, così che egli possa riconsiderare con le giuste certezze il progetto di Dio per la sua vita. Infatti, "l'uomo ha bisogno di conoscenza, ha bisogno di verità perché senza di essa non si sostiene, non va avanti", giacché "la fede, senza verità non salva, non rende sicuri i nostri passi"[xiii].
È dunque l’amore per la verità che costituisce il fondamentale punto d’incontro tra diritto e pastorale[xiv], il terreno sul quale lavorare insieme per rendere un servizio alla sacralità del matrimonio per il bene dell’uomo e della sua dignità, accompagnati dalla consapevolezza che la misericordia infinita annunciata dal Padre è la sola in grado di “curare le ferite e riscaldare il cuore dei fedeli”[xv].
Avv. Rotale Elisabetta Sorcini
Note al testo
[i] Discorso alla Rota Romana in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario (27 gennaio 2006).
[ii] Cfr. Giovanni Paolo II, Uomo e donna lo creò, Città del Vaticano, 1995, pp.34 e s., ove si chiarisce che la creazione dell’uomo si distingue dalle precedenti opere di Dio. La solenne introduzione biblica fa comprendere quasi che vi sia stata una deliberazione di Dio prima di tale atto importante, ma viene messa in rilievo soprattutto l’eccezionale dignità dell’uomo dalla somiglianza con Dio.
[iii] cfr. Can. 1752 “[…] prae oculis habita salute animarum, quae in Ecclesia suprema semper lex esse debet” /”[…] tenuta presente la salvezza delle anime, la quale deve essere sempre la suprema legge della Chiesa”.
[iv] Papa Francesco, Lumen Fidei, n.52 “[…] Fondati su quest’amore, uomo e donna possono promettersi l’amore mutuo con un gesto che coinvolge tutta la vita e che ricorda tanti tratti della fede. Promettere un amore che sia per sempre è possibile quando si scopre un disegno più grande dei propri progetti, che ci sostiene e ci permette di donare l’intero futuro alla persona amata.
[v] CCC1640 Il vincolo matrimoniale è dunque stabilito da Dio stesso, così che il Matrimonio concluso e consumato tra battezzati non può mai essere sciolto. Questo vincolo, che risulta dall'atto umano libero degli sposi e dalla consumazione del matrimonio, è una realtà ormai irrevocabile e dà origine ad un'alleanza garantita dalla fedeltà di Dio. Non è in potere della Chiesa pronunciarsi contro questa disposizione della sapienza divina.
[vi] Cfr. MT 19,3-12, Ef. 5,1-23. Afferma Giovanni Paolo II nell’Esortazione Apostolica Familiaris Consortio: “Egli vuole e dona l’indissolubilità matrimoniale come frutto, segno ed esigenza dell’amore assolutamente fedele che Dio ha per l’uomo e che il signore Gesù vive verso la sua Chiesa” (n.20). cfr. CCC, 1639 Il consenso, mediante il quale gli sposi si donano e si ricevono mutuamente, è suggellato da Dio stesso. Dalla loro alleanza «nasce, anche davanti alla società, l'istituto [del matrimonio] che ha stabilità per ordinamento divino». L'alleanza degli sposi è integrata nell'Alleanza di Dio con gli uomini: «L'autentico amore coniugale è assunto nell'amore divino».
[vii] Can. 1057, cfr. CCC, 1626 La Chiesa considera lo scambio del consenso tra gli sposi come l'elemento indispensabile «che costituisce il Matrimonio». Se il consenso manca, non c'è Matrimonio. 1627 Il consenso consiste in un «atto umano col quale i coniugi mutuamente si danno e si ricevono».«Io prendo te come mia sposa...»; «Io prendo te come mio sposo...».Questo consenso che lega gli sposi tra loro trova il suo compimento nel fatto che i due diventano «una carne sola». 1628 Il consenso deve essere un atto della volontà di ciascuno dei contraenti, libero da violenza o da grave costrizione esterna. Nessuna potestà umana può sostituirsi a questo consenso. Se tale libertà manca, il Matrimonio è invalido.
[viii] cfr. can. 1060 CIC: “Matrimonium gaudet favorem iuris; quare in dubio standum est pro valore matrimonii, donec contrarium probetur”/ “ il matrimonio gode del favore del diritto; per questo nel dubbio si deve stare per il favore del matrimonio, finché non sia provato il contrario”.
[ix] Cfr. Dignitas Connubii, art. 65: “§1 Il giudice prima di accettare la causa ed ogniqualvolta intraveda una speranza di buon esito, faccia ricorso a mezzi pastorali, per indurre i coniugi, se è possibile, a convalidare eventualmente il matrimonio e a ristabilire la convivenza coniugale (can. 1676).§2 Se ciò non è possibile, il giudice esorti i coniugi perché, posposto ogni personale desiderio, collaborino sinceramente, adoperandosi per la verità ed in spirito di carità, all’accertamento della verità oggettiva, così come è richiesto dalla natura stessa della causa matrimoniale. §3 Se poi il giudice avverte che i coniugi nutrono reciproca ostilità, li esorti caldamente perché nel corso del processo mettano da parte ogni rancore e si ispirino vicendevolmente alla disponibilità, alla correttezza e alla carità”.
[x] Dignitas Connubii, art. 102.
[xi] cfr. Pio XII, Allocuzione agli Uditori Rotali del 2/10/1944, in AAS 36 (1944).
[xii] Arroba Conde M.J, Apertura verso il processo amministrativo di nullità matrimoniale e diritto di difesa delle parti, in Apollinaris 75 (2002) p.751s: “non esiste in capo all’autorità decidente, nessun margine di discrezionalità nell’individuare gli elementi della legge divina sulla verità del matrimonio come alleanza irrevocabile. La verità del vincolo coniugale supera la verità soggettiva del fedele ma anche quella dell’autorità decidente. E’ un bene irrinunciabile della comunità per cui, non solo il rifiuto ma anche l’eventuale accoglimento delle richieste di nullità, se decise in contrasto con la verità, è una frode per i fedeli stessi”.
[xiii] Lumen Fidei, n. 24.
[xiv] Benedetto XVI, Discorso alla Rota Romana in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario (27 gennaio 2006).
[xv] Papa Francesco, estratto dall’intervista a Civiltà Cristiana, n. 3918: anno 164, p. 449, 2013.