Il bando burocratico a «padre» e «madre», di Pierluigi Battista
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Riprendiamo dal Corriere della sera del 18/9/2013 un articolo scritto da Pierluigi Battista. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (29/9/2013)
Il bando burocratico a «Padre» e «Madre», di Pierluigi Battista
La mania del «politicamente corretto» predilige la guerra delle parole, piuttosto che la riforma delle cose. Adora il simbolo, non la realtà. Vuole imporre per decreto una preferenza ideologica, non una soluzione concreta.
Il Comune di Bologna, rivaleggiando con quello di Venezia per il primato del fanatismo delle parole, vuole bandire con un editto ogni riferimento al «padre» e alla «madre» negli atti pubblici, vuole desessualizzare la genitorialità, vuole ribadire che ogni parola della consuetudine e del buon senso può essere un pretesto di discriminazione. Non dire, sottrarre, rendere tutto neutro, asettico, burocratico, irreale. Surreale.
Dicono al Comune di Bologna che non vogliono introdurre la dizione «genitore 1 o genitore 2» suggerita dal Comune di Venezia e parzialmente fatta propria dal ministro Kyenge, ma solo perché non si vuole introdurre una gerarchia tra due genitori, mica per il ridicolo in sé che quella dizione contiene.
Si vuole soltanto trasformare la realtà nel lessico legnoso della modulistica burocratica. Chi davvero può sentirsi offeso se viene fatta menzione delle espressioni «padre» e «madre»: solo chi è posseduto da una sindrome della dittatura lessicale che spiana tutto ciò che è vico e accidentato in un’unica formula bianca, incolore, insapore, inesistente. Come se chi non si riconosce nelle definizione di «padre» e «madre» dovesse sentirsi discriminato e perseguitato.
E allora? Visto che concretamente non si fa nulla per dare una nuova veste giuridica alle coppie delle stesso sesso, visto che la politica è incapace di modificare le cose che non vanno con la saggezza delle leggi, si decide di imboccare la scorciatoia della distorsione lessicale.
Non discriminare con i fatti le coppie omosessuali e i bambini che si dovessero trovare in una situazione familiare con due «genitori» dello stesso sesso, è una politica sacrosanta, che merita anche discussioni, controversie, conflitti.
Distorcere il linguaggio facendo prendere la mano dall’oltranzismo ideologico, usare i funzionari della modulistica per imporre un linguaggio che non tutti vogliono digerire, è invece solo un atto di prepotenza. Impotenza politica e prepotenza lessicale si compensano perfettamente. La madre di tutte le sciocchezze: sempre che si possa dire ancora madre.
N.B. de Gli scritti
Presentiamo on-line questo breve testo di Pierluigi Battista per favorire la discussione.
Da parte nostra ci permettiamo di suggerire che la questione è molto più semplice di quello che si pretenderebbe fosse. Se un bambino dovesse vivere con due maschi in casa, sarà ovvio che uno dei due sarà suo padre e l’altro semplicemente il compagno di suo padre.
La riprova di questo è il fatto che se i due decidessero di non coabitare più insieme sarebbe assurdo pretendere che quello che non è il padre si assuma l’onere dell’educazione e degli alimenti. Non si deve mai dimenticare che essere padre, infatti, è soprattutto una sorgente di doveri prima che di diritti, doveri talmente radicati che restano in vita anche se la relazione affettiva originaria venisse a cadere. Il figlio, d’altro canto, avrebbe diritto a sapere quale dei due è il suo vero padre.
Non dissimile, anzi ancora più trasparente, è la situazione eventuale di due donne che avessero in casa un figlio: egli sarebbe stato concepito, gestato e partorito da una delle due ed, in caso di una separazione affettiva delle due, la madre vera avrebbe tutti i diritti di rivendicare la sua maternità, così come il figlio la sua figliolanza: anche qui l’unico linguaggio adeguato alla realtà è quello che riconosce l’una come “madre” e l’altra come “compagna della madre”.
Insomma una cosa è il linguaggio che caratterizza l’unione affettiva dei due adulti - “compagno”, “compagna” - mentre tutt’altra questione è quella che riguarda il rapporto dei due con il figlio: l’uno sarà “madre” o “padre” e l’altro non porterà questo titolo, esattamente come avviene nelle coppie nate da seconde nozze o dopo una vedovanza, dove il nuovo coniuge non diviene “padre” o “madre” per il fatto che ama il padre o la madre del bambino.
Ben diverso, invece, è il caso dell’adozione, poi, dove nessuno dei due è fisicamente padre o madre del bambino ed entrambi lo divengono insieme, con eguali e perpetue responsabilità. In questo caso non sono le persone a scegliere un figlio, ma piuttosto, come insegnano tutte le associazioni che lavorano per l’adozione, la coppia si mette a disposizione perché un figlio che non ha genitori sarà assegnato senza essere previamente scelto, proprio perché non è diritto dei genitori avere un figlio, bensì è diritto del bambino avere due genitori.