Furto di generalità. Cancellare padre e madre, una proposta che cela verità e deprime, di Carlo Cardia

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 08 /12 /2013 - 14:22 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo da Avvenire del 20/9/2013 un articolo scritto da Carlo Cardia. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (8/12/2013)

C’è qualcosa d’insano nel voler cancellare le parole padre e madre da atti ufficiali, sostituirli con Genitore 1 e Genitore 2, secondo un’idea che filtra qua e là, a Bologna, Venezia, o altrove.

Qualcosa d’insano in assoluto, perché mutare le più belle parole del vocabolario con altre, fredde e astratte, vuol dire violentare la realtà, insidiare la sua verità con un getto burocratico che raggela, la copre con parole bugiarde.

Anche in termini giuridici, siamo su un cammino contrario ai diritti umani, le Carte internazionali citano la famiglia come «nucleo naturale e fondamentale della società» (Dich. Univ. del 1948), parlano di padre e madre, riconoscono che la «maternità è una funzione sociale». Non potrebbe esserci violazione più grave di quella che negasse l’identità dei protagonisti della vita familiare che esiste da quando esiste il mondo.

C’è, infine, qualcosa di antropologicamente malato nelle proposte avanzate quando cercano di espungere, con le parole, quel retroterra umano ed etico che ci avvolge e coinvolge dai primi giorni di vita nella famiglia in cui vediamo la luce. Si propone di offuscare formalmente il primo rapporto che abbiamo con la nostra umanità, con i genitori, spogliarlo della sua sostanza maschile e femminile, inghiottire il padre e la madre in una sola figura unisex raddoppiata, segnata da numeri che mirano solo a nascondere le loro specificità affettive.

C’è una sorta di cupio dissolvi nel voler cancellare quelle parole bellissime che restano preziose nella vita d’ogni persona. Questa ipocrisia non riuscirà a impedire ai bambini d’ogni Paese di chiamare 'papà' e 'mamma' i genitori, ma farà danni per le insidie che nasconde e le finalità che si propone. A guardar bene, quante cose non vere, quante verità taciute si mischiano in una proposta così deprimente.

Una grande bugia viene alla luce subito, investe il caposaldo relativista che dice: perché non mi lasciate fare ciò voglio, è un mio diritto individuale, non è invasivo, non incide sugli altri, riguarda solo me. La prova della falsità di questo ritornello non può essere più evidente: le concezioni che vogliono piegare il concetto di famiglia ad altre esperienze sono tanto intrusive da rovesciare il lessico familiare, confondere le specificità delle relazioni materne e paterne con i figli.

I genitori hanno diritto di chiamarsi padre e madre, ma questo diritto deve soccombere per le pretese di chi vuole chiamare famiglia ciò che non lo è: quasi un furto di generalità. Inoltre, dopo tanto parlare di diritti delle differenze, per il padre e la madre, per la differenza più bella e complementare che si presenta a chi nasce, scatta l’omologazione, l’appiattimento, la cancellazione del suo substrato antropologico.

Altrettante sono le verità taciute nella sconsiderata e reiterata proposta, e Avvenire ne ha già parlato più volte. La principale sta nel fatto che si vuole introdurre di soppiatto, in qualche registro comunale, in documenti secondari, qualcosa che in Italia non abbiamo, concetti diversi di matrimonio e di famiglia che in alcuni Paesi sono stati introdotti con lacerazioni profonde.

Non potendo entrare dalla porta principale, quella del dibattito democratico, dentro e fuori il Parlamento, dicendo la verità all’opinione pubblica, si vuole passare da piccoli usci nascosti, burocratici, per mettere qualche paletto abusivo, che all’apparenza è minore, ma serve quasi a prefigurare cambiamenti più gravi, coerenti con questi paletti: è un metodo che va respinto, perché non si gioca con la vita, la famiglia, i sentimenti più preziosi per ciascuno di noi.

Un’altra verità taciuta è che le Carte dei diritti umani citano più volte il padre e la madre, dedicano norme speciali a tutela e protezione della maternità, della sua funzione nella crescita e formazione dei figli: tutto ciò scompare in quelle parole, coniugate al maschile, che sovrappongono padre e madre in una miscela di numeri. La Chiesa è impegnata nel diffondere «la verità sull’uomo e sulla vita», Gesù assicura che la «verità ci renderà liberi»: queste parole ci sembrano ovvie, naturali, aiutano le persone a vivere con pienezza d’amore, anzitutto nella propria famiglia. Però, idee come quelle avanzate in questi giorni ci avvertono che la verità sull’uomo e sulla vita può essere insidiata, macchiata gravemente. Credo si debba rispondere che non si scherza con i valori decisivi, con ciò che di più importante esiste per il benessere spirituale della società.