Paolo servo e apostolo; Paolo attraverso le culture (da Romano Penna)
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Il quotidiano Avvenire ha dato avvio, con l’anno 2009, ad una rubrica che reca il titolo Sentieri paolini. Il mese di gennaio è stato affidato al biblista Romano Penna. Riprendiamo per il progetto Portaparola i primi due testi pubblicati. Per continuarne la lettura sui prossimi numeri del giornale, vedi www.avvenire.it
Servo e apostolo, di Romano Penna (da Avvenire del 02/01/2009)
Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per chiamata a tutti quelli che sono a Roma amati da Dio e santi per chiamata (ai Romani 1,1.7).
Con queste parole Paolo di Tarso apre la sua lettera ai Romani, uno degli scritti più densi e importanti del suo epistolario ma pure delle origini cristiane, oltre che della storia del pensiero in occidente. Ebreo di origine, giudeo-ellenista di cultura, il suo nome di conio latino mai fu più appropriato come in questo scritto destinato a lettori residenti nella capitale dell'impero romano. L'intento di fondo della lettera, come riconosceva nientemeno che Erasmo da Rotterdam, è «di trasferire solo in Cristo ogni speranza di salvezza» (Parafrasi della Lettera ai Romani). Assai significative sono già in questo inizio epistolare entrambe le qualifiche che egli attribuisce a sé (servo e apostolo) come anche le due con cui designa i suoi destinatari (amati e santi). Tutte e due le coppie di vocaboli definiscono con molta proprietà l'originale identità sia di Paolo sia dei cristiani: lui è totalmente posto al servizio di Gesù Cristo e del Vangelo; loro, come del resto egli stesso, appartengono di fatto a un originale vincolo di amore proveniente da Dio e proprio per questo si trovano in una condizione di santità gratuitamente donata e assolutamente pre-morale.
Attraverso le culture, di Romano Penna (da Avvenire del 03/01/2009)
Sono in debito tanto ai Greci quanto ai Barbari, tanto ai sapienti quanto agli ignoranti ( Rom 1,14).
Enorme è il contrasto tra queste parole e ciò che si legge per esempio nello storico romano Tito Livio, secondo cui «con i Barbari, tutti i Greci sono e saranno sempre in guerra» ( 31,29).
Paolo è invece il rappresentante più tipico di quanto il cristianesimo si sia dimostrato aperto a ogni cultura: non solo teoricamente (cfr. il principio enunciato in Gal 3,28: «In Cristo non c’è più né Giudeo né Greco…») ma soprattutto nella concreta instaurazione di relazioni poste in essere in un diuturno impegno apostolico dispiegato «da Gerusalemme fino all’Illiria» (Rom 15,19). Lo stesso vale per i livelli intellettuali, dove il cristiano non pratica nessuna presuntuosa aristocrazia, essendo anzi certo che «Dio ha scelto le cose deboli del mondo e quelle che non contano nulla per annullare quelle che presumono di sé» (1Cor 1,28).
Infatti, è cosa propria del Vangelo attraversare indifferentemente tutte le culture, dimostrarsi totalmente disponibile nei loro confronti, forte del fatto che esso non è riducibile solo a cultura ma è di un ordine diverso, diremmo meta-culturale.