La Natività di Caravaggio, scomparsa a Palermo: auguri di Natale da Marco Valenti
Nell'estate del 1609, a Palermo, un artista geniale in fuga da Malta, realizzava un dipinto di straordinaria bellezza per l'Oratorio della Compagnia di San Lorenzo. L'artista era Caravaggio e l'opera la "Natività con i Santi Lorenzo e Francesco d'Assisi", che deve la presenza del "poverello d'Assisi", accanto a San Lorenzo, al fatto che l'Oratorio, all'epoca, era sotto la giurisdizione della Compagnia di San Francesco.
Il tema evangelico della Natività è riletto in modo assai originale dall'autore, che, trasgredendo gli schemi iconografici tradizionali, assegna ai personaggi le fattezze della gente semplice e ritrae la Madonna nelle sembianze di un'umile popolana, conferendole, proprio in virtù di questo, una singolare intensità espressiva e rendendo come nessun altro il senso della quotidianità del sacro.
La composizione dei personaggi nel complesso si presenta come apparentemente semplice, legata ai santi della Compagnia e dell’Oratorio che sono posti ai lati della scena centrale della Natività, come in una pala d’altare cinquecentesca. San Giuseppe è seduto di spalle sulla destra della tela ed è rappresentato intento in un dialogo con la figura alle sue spalle, poggiata al bastone e con il cappello, posta a sinistra di san Francesco e che taluni individuano con fra Leone, fedele compagno dell’assisiate, ma che è verosimilmente un pastore.
Come è tradizione Caravaggio colloca anche l’angelo che annuncia la natività ai pastori e gli pone in mano il cartiglio con la scritta: “Gloria a Dio nell’alto dei cieli”. L’angelo è però rappresentato nell’atto di discendere verso la Vergine e il bambino, mentre con la mano destra indica il cielo e con la mano sinistra si protende verso il capo di Maria: in questo modo la figura dell’angelo costruisce un ponte di congiunzione tra cielo e terra, in una diagonale che individua nell’oscurità, della scena, la discesa di una luce che rischiara.
Dovendo introdurre le due figure di san Francesco e di San Lorenzo, il Merisi costruisce una struttura tale che i due santi, astanti e contemplanti, vengono inseriti come contemporanei all’azione, in memoria delle tele di tradizione che conosciamo solitamente come sacre conversazioni e che più profondamente rappresentano la Comunione dei santi nel corpo mistico della chiesa, e cosi divengono parte attiva nella tela, ognuno secondo la propria identità.
Egli dà una interpretazione linguistica delle due figure di santi, che vengono costruite non già e non solo secondo una concezione storica, ma piuttosto come è in uso nella tradizione medievale secondo un canone allegorico, che non è distanza dalla realtà, ma piuttosto all’allusione al senso più profondo della realtà stessa.
Caravaggio compie dunque una sintesi tra la natura realistica dei dettami post-tridentini, e una visione neomedievale, contemporaneamente presenti sul palcoscenico della cultura cattolica d’inizio secolo.
Colloca, pertanto, san Francesco nell’oscurità, cioè nella cecità degli occhi, mentre contempla, assorto nella preghiera, Maria e il suo santo bambino; infatti, nella Legenda maior, a proposito di san Francesco si legge:
«San Francesco si ammalò agli occhi perché piangeva sempre. Gli suggerirono di non piangere, ma lui rispose: “Non è per amore della vista, comune all’uomo e alle mosche, che dobbiamo rifiutare di vedere la luce eterna”».
Francesco dunque, pur privo della vista, è colpito dalla luce che giunge dall’alto e che rischiara la notte, quella notte che egli contribuì a far entrare nel cuore e nella mente dei fedeli con l’invenzione del Presepe di Greccio.
San Lorenzo, di contro, è posto nella scia luminosa incanalata secondo la direttrice individuata dal gesto dinamico dell’angelo e dal cartiglio che fa sventolare nell’aria del cielo, sopra gli astanti. Lorenzo è nella luce, la sua veste, la dalmatica, è investita dalla corrente luminosa che la fa risplendere nel buio della notte; infatti, nella Legenda aurea, relativamente a Lorenzo leggiamo:
«Il nome di Lorenzo deriva da “lauro”, perché ottenne la corona della vittoria durante la sua passione […] il suo colore verde si rispecchiò nella limpidità e nella purezza del suo cuore, disse infatti: “La mia notte non ha oscurità”».
Caravaggio lavora costantemente nella coniugazione degli opposti, e anche in questo caso non fa eccezione, tanto che il volto di colui che non può vedere è posto nella luce piena e quello di colui che risplende è posto nella penombra, impallidendo di fronte alla luce dei volti di Maria e di Gesù; questi non solo sono investiti dalla luminosità del raggio celeste, ma risplendono essi stessi di uno sfolgorante chiarore, che pone in secondo piano tutto quanto è attorno.
Maria così si viene a trovare nell’incrocio di tutte le direttrici, come in un centro ideale di sguardi, di parole, di preghiere e di luce.
Tutto è attorno a lei come in un vortice che riconduce al mistero dell’incarnazione, al mistero di Dio che si fa uomo, nell‘attualizzazione del piano della salvezza, dove i poveri pastori con i santi, gli animali e gli angeli del cielo, si uniscono in un coro che canta, nello splendore della Chiesa e nella misera povertà di una stalla, la preghiera di chi è testimone di un evento miracoloso e lo attesta con la propria vita. Maria è posta, dunque, nel dipinto di Caravaggio al centro di questo crocevia di sguardi e di preghiere, perchè è rappresentata come il segno indicato da Isaia per indicare la pienezza dei tempi, nella quale nasce il Salvatore: “Ecco, una vergine partorirà”. (Is. 7, 14)
Purtroppo la tela è stata trafugata nel 1969 e non è stata mai più ritrovata.
BUON NATALE 2008
don Marco