Dinanzi alla morte di Piergiorgio Welby

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 24 /12 /2006 - 20:16 pm | Permalink | Homepage
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A posteriori, si è dimostrata tristemente giusta la scelta della Chiesa di mantenere l’antica tradizione di non celebrare la messa nel caso di morte scelta volontariamente, ma di invitare lo stesso alla preghiera, offrendo l’eucarestia successivamente (anch’io l’ho celebrata come tanti preti, credo, ricordandolo insieme agli altri morti per cui ci era stato chiesto di pregare in questi giorni). Questa constatazione, lo diciamo subito, non è una vittoria, ma un ulteriore motivo di rammarico e meditazione.
Una vera pietà per la persona di Piergiorgio Welby avrebbe dovuto rifuggire da un utilizzo sbandierato del suo caso, nel momento del dolore e del lutto dei funerali.
La Chiesa non si ritiene autorizzata – e non permette a nessuno – ad entrare nel segreto delle motivazioni e della storia personale di ognuno. Perché alcuni malati sopportano la malattia fino al termine ed altri cedono sconfitti? Perché alcuni fanno degli ultimi giorni della loro vita un ulteriore annunzio della bontà di Dio che illumina tutti i brandelli di vita già vissuti ed altri non riescono in questo?
Chiunque conosce il cuore umano e la sua debolezza dinanzi al dolore, senza la forza della grazia, non risponde facilmente a queste domande, ma le medita. Si interroga sui differenti esiti, sulle diverse scelte dinanzi al mistero del male. Prega.
Diverso è l’atteggiamento se si vuole proporre, invece, la scelta di morire come esempio, chiamandola “diritto” – qui siamo su di un piano ben diverso da quello misterioso delle motivazioni interiori. Qui è importante affermare che testimone a cui guardare è chi affronta nella speranza anche l’estrema notte del dolore. Noi vorremmo che i nostri figli – e noi stessi per primi – mai ci arrendessimo, fino a chiedere la morte, ma sapessimo approfittare fin dell’ultimo istante per dare voce alla fede, alla carità, ad un disegno più grande che supera questa breve esistenza terrena.
Questa testimonianza si chiedeva alla Chiesa, chiedendo di celebrare i funerali? O piuttosto le si chiedeva un'autorizzazione ad utilizzare il momento della preghiera e dell’invocazione del perdono di Dio per proporre come esempio una sconfitta dell’uomo?
Nel funerale si è levata la voce – fra gli “attori” del funerale e fra i “convenuti” – che continuava ad “utilizzare” quella morte come modello morale, come cuneo per interventi legislativi, come bandiera. Purtroppo non è stato chiesto da nessuno che questa voce tacesse. Non c’è stato chi invitasse ad altre questioni, ora ben più importanti per chi ha amato Piergiorgio Welby: “Dov’è ora? Può sentire ciò che diciamo di lui e della sua morte? E se lo può poiché è al cospetto di Dio – solo in Dio si può vivere oltre la morte, non è data altra speranza all’uomo – come vede ora quel suo ultimo gesto?”
Se, come noi preghiamo, è stato accolto dalle braccia misericordiose del Signore, gli avrà chiesto ora perdono di quell’estrema mancanza di fiducia.
Celebrare la misericordia di Dio in un funerale – proprio di misericordia è giusto parlare ed è bene che la Chiesa sia interrogata su di essa - vuol dire presentarGli il peccato dell’uomo, di Piergiorgio, come di ognuno di noi. La misericordia è proprio ciò che perdona il peccato dell’uomo, ciò che fa grazia. Non avrebbe senso la misericordia, laddove l’uomo fosse semplicemente nel giusto.
Ha senso chiedere la misericordia di Dio, celebrare la sua bontà, che va oltre i gesti e scruta i segreti, proprio a motivo del peccato. Se si vuole, invece, la canonizzazione dei gesti compiuti dall’uomo, ecco che la preghiera, l’invocazione di misericordia perdono ogni significato.
Forse allora la domanda più vera non è quella posta alla Chiesa di accettare la celebrazione della messa per il funerale, ma piuttosto la domanda simmetrica. Era vero desiderio di chi chiedeva la celebrazione l’invocare la misericordia di Dio nella sconfitta di un uomo che non ha trovato la forza di vivere con fiducia?
Era vera invocazione di un momento di silenzio e di raccoglimento dinanzi alla croce di Cristo ed alla sua resurrezione o la liturgia sarebbe stata copertura di una invocazione/richiesta molto più terrena e politica di una nuova legge, che mettesse apparentemente in pace le coscienze, ma non la verità delle persone?
Una cosa è evidente, al fondo della questione. La vita di Piergiorgio non è stata estranea ad una profonda riflessione morale e civile. Di questa passione è stata carica l’ultima tappa della sua vita (basta leggere le sue lettere per rendersene conto). Ma l’uomo non può vivere solo di morale e di politica. Nonostante questa ricchezza civile - unita all’abbondanza dell’amore dei suoi cari e della moglie in particolare – Piergiorgio Welby ha chiesto di morire. La vita umana invoca un senso più alto per essere vissuta ed è questo senso che, a sua volta, può dare forza e sostegno e rivelare il significato della vita umana – che essa ha comunque. Solo un senso che venga dall’alto rivela l’unicità della persona umana, dal momento del suo concepimento nell’embrione, fino all’estremo passaggio nella comunione con Cristo e con i santi.
Era conferma di questo che si chiedeva chiedendo la celebrazione delle esequie di Piergiorgio Welby, chiedendo la misericordia di Dio? Noi lo speriamo e, credendolo, vogliamo - ora che non è più in gioco il renderlo un modello per le nuove generazioni - offrire non solo il nostro rispetto per lui, ma anche la nostra preghiera al Signore.