Solido come la roccia. Dall’idea di Michelangelo alle modifiche del Maderno, di Marco Agostini

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 18 /08 /2013 - 14:00 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo da L’Osservatore Romano dell’1/7/2013 un articolo di Marco Agostini. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, vedi la sezione Roma e le sue basiliche.

Il Centro culturale Gli scritti (18/8/2013)

Michelangelo riprendendo per la nuova basilica di San Pietro l’idea di Bramante di fare dell’edificio un sistema centrale, ossia uno spazio in cui la predominanza dell’ambiente principale coperto dalla cupola si collegasse agli ambienti minori disposti intorno in senso radiale, incontrava i desiderata di Papa Giulio II (1503-1513).

La pianta centrale, utilizzata nell’edilizia cristiana fin dall’inizio per i martyria e i battisteri, fu largamente utilizzata nel Rinascimento e nel Barocco. Il progetto di Michelangelo compone tre figure della geometria solida: il parallelepipedo, moltiplicato per quattro in forma di croce, il cubo e la sfera. La croce greca, data dall’unica navata a botte, iscritta nel cubo fuoriesce solo con le absidi.

Le volte o le cupole minori ordinano gli spazi circostanti - deambulatori, cappelle, vestiboli - a quello centrale. Il martyrion aveva il suo fuoco nella tomba del martire: valga il ricordo dell’Anàstasis a Gerusalemme con la tomba vuota.

Anche la nuova basilica ha il suo fulcro nella tomba di san Pietro, tomba che Michelangelo non vide mai poiché già del tutto velata dalle strutture d’onore. Gli furono guida nell’impresa le attestazioni di fede stratificate nella sequenza degli altari: bell’esempio di che cos’è tradizione.

Gli scavi archeologici di Pio XII hanno messo in luce la tomba. Il luogo dell’inumazione di san Pietro segnalato, dapprima, da tegole di coccio, nel II secolo fu onorato dal trophàion di Gaio, trasformato nel III e inglobato nel IV nella memoria costantiniana. La tomba terragna del pescatore di Galilea già contenuta nella basilica costantiniana, ora è celebrata dall’Altare della confessione sovrastato dal baldacchino berniniano nel più imponente tempio della cristianità.

Nel 1607 Paolo V (1605-1621), tornato all’idea di una pianta a croce latina, incaricato Carlo Maderno di “sostituire” (1609) le cinque navi ancora superstiti dell’edificio antico con la costruzione di sei cappelle, ne mutò l’aspetto.

Oggi il pellegrino percepisce la centralità dell’impianto michelangiolesco solo quando arriva alla Confessione. Lì diviene perspicua l’idea del fiorentino e le parole di Vasari manifestano la loro forza: Michelangelo «Ritirava San Piero a minor forma [di quella di Bramante], ma sì bene a maggior grandezza» (Giorgio Vasari, Le vite. Vita di Michelangelo Buonarroti, Roma 2003, p. 1235).

Michelangelo per fare della chiesa una gagliarda struttura a sostegno della cupola, rafforzò «i quattro pilastri principali fatti da Bramante e lassati da Antonio da san Gallo che avevono a reggere il peso della tribuna» (ibidem). Prigioni, titani a sostenere il mondo sono un simbolo della cosmografia antica: i quattro angoli della terra e la volta del cielo, terra e cielo, quadrato e sfera, l’ordine della creazione, il cosmo.

Ma i piloni sono anche reliquiari che serrano nel loro ventre le memorie della passione del Signore. Le mura degli edifici più imponenti si consolidano internamente con colate di bitume o altro materiale: similmente corroborante di questi piloni son le reliquie della redenzione. Questa linfa che scorre nelle pietre è immagine di quella che dalla Croce scorre nel corpo mistico della Chiesa.

Così i Papi hanno inteso fortificare la chiesa di pietra, simbolo di quella spirituale, perché essa assicuri i fedeli sull’indefettibilità della Roccia su cui è fondata e che ha da resistere agli assalti dell’inferno.

Le facce dei piloni che guardano l’altare e la Confessione e la loro decorazione, realizzata per volere di Urbano VIII da Gian Lorenzo Bernini tra il 1627-1628 e il 1639, enfatizzano questa seconda funzione di luoghi precisi non di posti qualsiasi: non è difficile riconoscervi gli elementi propri del reliquiario di ambito romano con l’edicola timpanata che appoggia su una piattaforma, eretta su colonne al di sopra di un altare, dalla quale le reliquie vengono mostrate.

Riquadrano i tre registri le paraste angolari e il cornicione sul quale corre l’espressione di san Cipriano Hinc una Fides mundo refulgit. Hinc Sacerdotii unitas exoritur. L’epigrafe spiega il tutto in relazione alla tomba del principe degli apostoli, all’altare che la tomba regge, a Colui che ad caput Petri officia su quell’altare: da qui l’unica fede, da qui si leva l’unità del sacerdozio.

Il primo registro è alla radice del pilone, nelle Grotte, con l’altare del santo legato alla reliquia. Gli altri due sono le nicchie sovrapposte: l’una con la statua del santo e l’altra con il conditorium con la reliquia ornato di balcone per la sua ostensione. Una scala all’interno, funzionale alla ritualità propria del pilone, collega i tre livelli.

Nell’Anno Santo del 1625 fu predisposto il primo pilone per accogliere il Santo Sudario presente in basilica già dall’VIII secolo, quello a sud-ovest o della Veronica: Salvatoris imaginem Veronicae sudario exceptam ut loci maiestas decenter custodiret Urbanus VIII Pont. Max. conditorium extruxit et ornavit anno iubilei MDCXXV recita l’iscrizione.

Il conditorium, la teca-cappella dotata di altare in spessore di muro e di arca, sta nella nicchia in alto dietro il cancello bronzeo. All’esterno l’apparato scultoreo dell’edicola mostra la santità del luogo fino a non molti anni fa riparato anche con una scomunica. Da lì, il giorno stabilito, il canonico ostende la reliquia. Il rito è antico: lo ricorda Dante: «Qual è colui che forse di Croazia / viene a veder la Veronica nostra, / che per l’antica fame non sen sazia» (Paradiso, XXXI, 103-105).

Le bianche colonne tortili dell’edicola, provenienti come le altre simili dalla pergula costantiniana, reggono il timpano curvilineo prezioso di marmi. Sopra e sotto l’edicola gli angeli acclamano Vultum tuum deprecabo e trasportano in volo il Sacro Velo.

Nella nicchia sottostante sta la straordinaria statua della Veronica del toscano Francesco Mochi, benedetta con le altre da Urbano VIII nel 1640. Per la scala di lato si scende nella cappella.

Gli altari dei piloni furono consacrati da Benedetto XIII nel 1727 e hanno per pale repliche musive di originali di Andrea Sacchi (1633-1634) ora nel capitolo. QuiLa Veronica asciuga il volto di Gesù; gli altri affreschi narrano la sua storia e quella della reliquia (XVII secolo).

Opposto al pilone del Santo Volto è quello della Sacra lancia o di San Longino. L’iscrizione ricorda la collocazione qui della reliquia del ferro con il quale il centurione trafisse il costato di Gesù (cfr. Giovanni, 19,34), donata a Papa Innocenzo VIII nel 1492 dal sultano turco Bajazet.

Il conditorium ha il medesimo trattamento prezioso di quello della Veronica e le medesime finalità liturgiche. Gli angeli con il cartiglio annunciano Lancea latus eius aperuit e quelli sottostanti trasportano la lancia in volo. Nella nicchia sta il San Longino di Gian Lorenzo Bernini (1638). Il sacello sottostante ha sull’altare la copia del Martirio di san Longino e alle pareti gli affreschi delle Storie dell’invenzione della Vera Croce (XVII secolo).

A nord-ovest è il pilone della Vera Croce o di Sant’Elena. L’iscrizione dichiara: Partem crucis quam Helena imperatrix e Calvario in urbem avexit Urbanus VIII Pont. Max e Sessoriana basilica desumptam additis ara et statua hic in Vaticano conditorio collocavit. La reliquia della Vera Croce vaticana collocata nel conditorium proviene da Santa Croce in Gerusalemme, dove ancora stanno altre reliquie della passione rinvenute in Palestina dall’imperatrice Elena.

Gli angeli in alto esibiscono il cartiglio con l’iscrizione In hoc vinces e quelli in basso il signum crucis: allusione al sogno di Costantino avanti la battaglia di ponte Milvio (312). Di sotto la statua dell’imperatrice di Francesco Bolgi del 1639. La cappella inferiore ha sull’altarela Sant’Elena e il miracolo della Vera Croce (1640) e una decorazione frescale, che indica la diversa destinazione iniziale della cappella, del XVII secolo con le vicende dell’arrivo della testa di sant’Andrea.

La reliquia della testa di Andrea - fratello di Pietro anche nel modo del supplizio - era conservata nel pilone opposto a quello della Vera Croce, fin quando Paolo VI la donò alla città di Patrasso (1966). Sancti Andreae caput quod Pius secundus ex Achaia in Vaticanum asportandum curavit Urbanus VIII novis hic ornamentis decoratum sacrisque statuae ac sacelli honoribus coli voluit. In pericolo per l’invasione turca del Peloponneso - l’Impero Romano d’Oriente era caduto nel 1453 - Pio II aveva ottenuto la reliquia da un discendente dei Paleologi nel 1462. La devozione della Chiesa romana per l’apostolo, tuttavia è molto più antica e risale al V secolo. L’abate Gueranger spiega l’atque Andrea presente nell’orazione dopo il Pater della messa - inserzione risalente già al V secolo - proprio con questa devozione.

La consueta decorazione dell’edicola annuncia Salve crux diu desiderata ed esibisce lo strumento del supplizio. Nella nicchia di sotto è la statua del santo di François Duquesnoy (1639) e sotto ancora la cappella con l’altare consacrato nel 1726 e la pala con La preghiera di sant’Andrea davanti alla croce. Anche qui la decorazione frescale, con l’arrivo a Roma della Sacra Lancia, rivela la diversa destinazione iniziale del luogo.

Nel 1634 Papa Urbano VIII editava nuovamente il Messale Romano; il libro che serviva a dire messa nell’orbe cattolico offriva di nuovo la liturgia papale come canone. Aveva nel cuore e negli occhi quanto avviene sull’altare vaticano quando il Papa celebra, ma anche su ogni altare del mondo quando ogni vescovo e sacerdote celebra in comunione con lui. Ogni sacerdote che celebra in comunione con lui partecipa della solidità di quest’altare.