Il restauro della «Madonna del Cardellino». Leonardo promette il paradiso, Raffaello ce lo dà, di Antonio Paolucci (dalla rassegna stampa)
Il restauro della «Madonna del Cardellino». Leonardo promette il paradiso, Raffaello ce lo dà,
di Antonio Paolucci
Dopo nove anni di restauro è tornata visibile - esposta fino all'1 marzo 2009 al Palazzo Medici Riccardi di Firenze - la Madonna del Cardellino, capolavoro realizzato da Raffaello tra il 1505 e il 1506.
"In Raffaello la creazione sembra facile e, come nelle opere di Dio, in lui tutto appare come un moto della volontà" (Ingres). Raffaello è facile, dice Ingres. È facile come sono facili le nuvole, gli alberi, le montagne, come sono facili le cose uscite dalle mani di Dio. È bellissima e assolutamente vera l'osservazione di Ingres. Noi ci poniamo di fronte alla Madonna della Seggiola o alla Scuola di Atene e abbiamo l'impressione che quelle cose siano lì da sempre, che non potrebbero essere diverse da come sono e, soprattutto, che sono nate senza fatica, senza elaborazione intellettuale, senza necessità di rettifiche e di scelte, per puro atto di volontà. Raffaello ha "voluto" la Scuola di Atene e la Madonna della Seggiola ed ecco prendere forma davanti a noi la pura Bellezza, definitiva, immodificabile, "facile". Ha dunque ragione Ingres quando paragona la pittura di Raffaello alle opere della creazione e intende la "facilità" come supremo raggiungimento dello stile.
"Leonardo ci promette il Paradiso, Raffaello ce lo dà". Questa seconda sentenza è di Picasso ed è, come la prima, perfettamente vera. Il Paradiso, per un pittore, è perfezione ed è equilibrio. È calma ed è armonia. È gioia degli occhi. È consolazione del cuore. È appagamento dei sensi. È la consapevolezza di una conquista definitiva. È sapere che non si può aggiungere nulla né togliere nulla al risultato. Se le cose stanno così, e non c'è dubbio che stiano in questi termini, allora bisogna condividere l'opinione del grande onnivoro e metamorfico Picasso. Il Paradiso che Leonardo con la sua pittura mentale, con la sua strenua sperimentazione, ci promette, Raffaello, semplicemente, ce lo dà.
Riflessioni di questo genere mi accompagnano di fronte alla Madonna del Cardellino ora esposta al pubblico a Firenze in Palazzo Medici Riccardi, in attesa di tornare agli Uffizi, da dove è uscita nel 1999 per un restauro lungo nove anni eseguito dall'Opificio delle Pietre Dure alla Fortezza da Basso. Dirò dopo dell'intervento che è stato difficile come pochi, che ha coinvolto le tecnologie più avanzate e i mestieri e i saperi più sofisticati e che oggi si propone (nel catalogo Edifir curato da Marco Ciatti, Cecilia Frosinini, Antonio Natali, Patrizia Riitano) come un insuperato modello di metodo.
Per ora desidero solo immedesimarmi nella emozione e nello stupore di chi, varcata la soglia di Palazzo Medici Riccardi, si trova di fronte la Madonna del Cardellino. La tavola che Raffaello dipinse fra il 1505 e il 1506 quando aveva fra i 22 e i 23 anni, durante il suo soggiorno fiorentino, prima che Papa Giulio II lo chiamasse a Roma a lavorare nei Palazzi Apostolici, è relativamente piccola. Misura 107 centimetri per 77. Eppure, ora che splende nel colore ritrovato, ora che il restauro le ha restituito il melodioso equilibrio che di Raffaello è il carattere distintivo, ci sembra immensamente grande. Ti rendi conto - guardandola - che la pura Bellezza non ha confini, non può essere misurata. Ti invade e ti appaga e ti rende felice.
La Madonna del Cardellino è uno di quei capolavori che l'uso ha consumato, come la Gioconda di Leonardo, come il David di Michelangelo. Quante volte l'abbiamo vista riprodotta nei libri, nelle riviste, nelle immagini sacre appese in cima ai letti di una volta, nei santini della prima comunione!
Ora dopo la rivelazione del colore prodotta dal restauro, possiamo guardarla con occhi in certo senso nuovi. Ci affascina il dolce paesaggio italiano che trema nell'ora meridiana mentre serene nuvole d'estate attraversano il cielo infinito. Ci incanta la malinconica bellezza della Madonna che è madre affettuosa consapevole del destino del figlio ma è anche presenza eterna e immutabile come le azzurre montagne che si vedono sullo sfondo. Tenerissimo e insieme carico di sommessi presagi è il colloquio fra san Giovannino e il Bambino Gesù, quest'ultimo rappresentato in atto di accarezzare il cardellino; il piccolo uccello che il compagno di giochi tiene fra le mani e che, nelle sue rosse piume, è figura di morte e di resurrezione.
Aveva venti anni Raffaello quando dipinse questo capolavoro per il suo amico fiorentino Lorenzo Nasi che si era da poco sposato. A questo punto, si pone la domanda che ha intrigato generazioni di storici dell'arte. Come spiegare la vertiginosa accelerazione che, nel giro di pochi anni, ha trasformato un ragazzo della provincia italiana, figlio di Giovanni Santi pittore appena mediocre, nel protagonista assoluto e in certo senso proverbiale di quella meravigliosa stagione dello spirito che i manuali chiamano Rinascimento? Certe cose non si spiegano. I tempi e le ragioni del genio sono e restano un mistero. Lo storico potrà solo selezionare e interpretare i fatti e mettere in luce gli snodi salienti nella breve vita dell'artista.
Quando il giovane marchigiano dipinge la Madonna del Cardellino è già in possesso di una cultura figurativa immensa. Una cultura che era nata nell'ambiente di Urbino (tra le preziosità dei fiamminghi, il nitore formale del Laurana e di Piero della Francesca e l'umanesimo raffinato della corte ducale) che era cresciuta a contatto del suo maestro Perugino dal quale aveva appreso per non dimenticarlo mai più il segreto del ritmo che governa le forme e della Bellezza che le intenerisce. Una cultura infine che maturò nel soggiorno fiorentino del 1504-1508. Durante il quale egli si mostrò soprattutto sensibile alle opere di Leonardo e di Michelangelo, di Fra Bartolomeo e di Mariotto Albertinelli ma aperto, anche, a tutta la storia artistica toscana più o meno recente; da Luca della Robbia e dal Verrocchio fino a Donatello, al Beato Angelico, a Masaccio. Raffaello assorbe, metabolizza e trasfigura tutto. Al termine del percorso, prima della Stanza della Segnatura, c'è la Madonna del Cardellino degli Uffizi.
A questo punto occorre accennare al restauro che è stato lungo e difficile e non (o non soltanto) per ragioni di semplice pulitura. La pulitura che è stata condotta in maniera ammirevole da Patrizia Riitano per la direzione di Marco Ciatti doveva misurarsi con un problema del tutto inusuale e di straordinaria delicatezza. Come testimonia Giorgio Vasari e come sanno bene gli storici dell'arte, la Madonna di Raffaello il 12 novembre 1547 venne travolta e gravemente danneggiata dal crollo della casa Nasi, nell'Oltrarno fiorentino, a seguito dello smottamento del colle di San Giorgio.
L'intervento di restauro, con reintegrazione delle parti danneggiate o perdute, venne realizzato da un pittore di qualità che oggi si tende a identificare in Ridolfo del Ghirlandaio. Mediare la recuperata luminosità e il superbo cromatismo della pittura di Raffaello con il "tono" del restauro cinquecentesco, è stato il vero problema. Un problema che solo l'imponente quantità di indagini conoscitive prodotte nell'occasione e la straordinaria capacità progettuale e tecnica dell'Opificio delle Pietre Dure hanno permesso di risolvere brillantemente.
(©L'Osservatore Romano - 24-25 novembre 2008)
di Antonio Paolucci
Dopo nove anni di restauro è tornata visibile - esposta fino all'1 marzo 2009 al Palazzo Medici Riccardi di Firenze - la Madonna del Cardellino, capolavoro realizzato da Raffaello tra il 1505 e il 1506.
"In Raffaello la creazione sembra facile e, come nelle opere di Dio, in lui tutto appare come un moto della volontà" (Ingres). Raffaello è facile, dice Ingres. È facile come sono facili le nuvole, gli alberi, le montagne, come sono facili le cose uscite dalle mani di Dio. È bellissima e assolutamente vera l'osservazione di Ingres. Noi ci poniamo di fronte alla Madonna della Seggiola o alla Scuola di Atene e abbiamo l'impressione che quelle cose siano lì da sempre, che non potrebbero essere diverse da come sono e, soprattutto, che sono nate senza fatica, senza elaborazione intellettuale, senza necessità di rettifiche e di scelte, per puro atto di volontà. Raffaello ha "voluto" la Scuola di Atene e la Madonna della Seggiola ed ecco prendere forma davanti a noi la pura Bellezza, definitiva, immodificabile, "facile". Ha dunque ragione Ingres quando paragona la pittura di Raffaello alle opere della creazione e intende la "facilità" come supremo raggiungimento dello stile.
"Leonardo ci promette il Paradiso, Raffaello ce lo dà". Questa seconda sentenza è di Picasso ed è, come la prima, perfettamente vera. Il Paradiso, per un pittore, è perfezione ed è equilibrio. È calma ed è armonia. È gioia degli occhi. È consolazione del cuore. È appagamento dei sensi. È la consapevolezza di una conquista definitiva. È sapere che non si può aggiungere nulla né togliere nulla al risultato. Se le cose stanno così, e non c'è dubbio che stiano in questi termini, allora bisogna condividere l'opinione del grande onnivoro e metamorfico Picasso. Il Paradiso che Leonardo con la sua pittura mentale, con la sua strenua sperimentazione, ci promette, Raffaello, semplicemente, ce lo dà.
Riflessioni di questo genere mi accompagnano di fronte alla Madonna del Cardellino ora esposta al pubblico a Firenze in Palazzo Medici Riccardi, in attesa di tornare agli Uffizi, da dove è uscita nel 1999 per un restauro lungo nove anni eseguito dall'Opificio delle Pietre Dure alla Fortezza da Basso. Dirò dopo dell'intervento che è stato difficile come pochi, che ha coinvolto le tecnologie più avanzate e i mestieri e i saperi più sofisticati e che oggi si propone (nel catalogo Edifir curato da Marco Ciatti, Cecilia Frosinini, Antonio Natali, Patrizia Riitano) come un insuperato modello di metodo.
Per ora desidero solo immedesimarmi nella emozione e nello stupore di chi, varcata la soglia di Palazzo Medici Riccardi, si trova di fronte la Madonna del Cardellino. La tavola che Raffaello dipinse fra il 1505 e il 1506 quando aveva fra i 22 e i 23 anni, durante il suo soggiorno fiorentino, prima che Papa Giulio II lo chiamasse a Roma a lavorare nei Palazzi Apostolici, è relativamente piccola. Misura 107 centimetri per 77. Eppure, ora che splende nel colore ritrovato, ora che il restauro le ha restituito il melodioso equilibrio che di Raffaello è il carattere distintivo, ci sembra immensamente grande. Ti rendi conto - guardandola - che la pura Bellezza non ha confini, non può essere misurata. Ti invade e ti appaga e ti rende felice.
La Madonna del Cardellino è uno di quei capolavori che l'uso ha consumato, come la Gioconda di Leonardo, come il David di Michelangelo. Quante volte l'abbiamo vista riprodotta nei libri, nelle riviste, nelle immagini sacre appese in cima ai letti di una volta, nei santini della prima comunione!
Ora dopo la rivelazione del colore prodotta dal restauro, possiamo guardarla con occhi in certo senso nuovi. Ci affascina il dolce paesaggio italiano che trema nell'ora meridiana mentre serene nuvole d'estate attraversano il cielo infinito. Ci incanta la malinconica bellezza della Madonna che è madre affettuosa consapevole del destino del figlio ma è anche presenza eterna e immutabile come le azzurre montagne che si vedono sullo sfondo. Tenerissimo e insieme carico di sommessi presagi è il colloquio fra san Giovannino e il Bambino Gesù, quest'ultimo rappresentato in atto di accarezzare il cardellino; il piccolo uccello che il compagno di giochi tiene fra le mani e che, nelle sue rosse piume, è figura di morte e di resurrezione.
Aveva venti anni Raffaello quando dipinse questo capolavoro per il suo amico fiorentino Lorenzo Nasi che si era da poco sposato. A questo punto, si pone la domanda che ha intrigato generazioni di storici dell'arte. Come spiegare la vertiginosa accelerazione che, nel giro di pochi anni, ha trasformato un ragazzo della provincia italiana, figlio di Giovanni Santi pittore appena mediocre, nel protagonista assoluto e in certo senso proverbiale di quella meravigliosa stagione dello spirito che i manuali chiamano Rinascimento? Certe cose non si spiegano. I tempi e le ragioni del genio sono e restano un mistero. Lo storico potrà solo selezionare e interpretare i fatti e mettere in luce gli snodi salienti nella breve vita dell'artista.
Quando il giovane marchigiano dipinge la Madonna del Cardellino è già in possesso di una cultura figurativa immensa. Una cultura che era nata nell'ambiente di Urbino (tra le preziosità dei fiamminghi, il nitore formale del Laurana e di Piero della Francesca e l'umanesimo raffinato della corte ducale) che era cresciuta a contatto del suo maestro Perugino dal quale aveva appreso per non dimenticarlo mai più il segreto del ritmo che governa le forme e della Bellezza che le intenerisce. Una cultura infine che maturò nel soggiorno fiorentino del 1504-1508. Durante il quale egli si mostrò soprattutto sensibile alle opere di Leonardo e di Michelangelo, di Fra Bartolomeo e di Mariotto Albertinelli ma aperto, anche, a tutta la storia artistica toscana più o meno recente; da Luca della Robbia e dal Verrocchio fino a Donatello, al Beato Angelico, a Masaccio. Raffaello assorbe, metabolizza e trasfigura tutto. Al termine del percorso, prima della Stanza della Segnatura, c'è la Madonna del Cardellino degli Uffizi.
A questo punto occorre accennare al restauro che è stato lungo e difficile e non (o non soltanto) per ragioni di semplice pulitura. La pulitura che è stata condotta in maniera ammirevole da Patrizia Riitano per la direzione di Marco Ciatti doveva misurarsi con un problema del tutto inusuale e di straordinaria delicatezza. Come testimonia Giorgio Vasari e come sanno bene gli storici dell'arte, la Madonna di Raffaello il 12 novembre 1547 venne travolta e gravemente danneggiata dal crollo della casa Nasi, nell'Oltrarno fiorentino, a seguito dello smottamento del colle di San Giorgio.
L'intervento di restauro, con reintegrazione delle parti danneggiate o perdute, venne realizzato da un pittore di qualità che oggi si tende a identificare in Ridolfo del Ghirlandaio. Mediare la recuperata luminosità e il superbo cromatismo della pittura di Raffaello con il "tono" del restauro cinquecentesco, è stato il vero problema. Un problema che solo l'imponente quantità di indagini conoscitive prodotte nell'occasione e la straordinaria capacità progettuale e tecnica dell'Opificio delle Pietre Dure hanno permesso di risolvere brillantemente.
(©L'Osservatore Romano - 24-25 novembre 2008)