Roma-Parigi andata e ritorno. Opere d’arte, manoscritti e archivi del Papa trafugati da Napoleone, di Paolo Vian
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Riprendiamo da L’Osservatore Romano del 3-4/6/2013 un articolo scritto da Paolo Vian. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, vedi la sezione Storia e filosofia.
Il Centro culturale Gli scritti (9/6/2013)
Il timbro della Bibliothèque nationale di Parigi sotto quello della Biblioteca Apostolica Vaticana.
Fu apposto quando il Codice fu annoverato per alcuni anni, dal 1797 al 1815,
fra i manoscritti della biblioteca parigina dopo il “furto” delle truppe napoleoniche
È stata presentata l'edizione 2013 della Strenna dei Romanisti, il più antico (nasce nel 1940) e mai interrotto periodico sulla città di Roma. Ne pubblichiamo uno degli articoli.
Nel suo N. (2000), Ernesto Ferrero fa incrociare le vite di Napoleone Bonaparte, ormai quasi giunto all'esito finale, e di un oscuro letterato dell'Elba che nei trecento giorni trascorsi dall'imperatore nell'isola gli è accanto come bibliotecario. Martino Acquabona medita sul mistero di quella fatale esistenza e si interroga sulla possibilità di cambiare il corso della storia uccidendo l'uomo che aveva sconvolto il mondo (il "Sanguinario", il "Grande Beccaio", l'"Orco" che aveva trasformato l'Europa in un'immensa tonnara). Alla fine il velleitario provinciale rinuncerà al progetto e tornerà a macerarsi nelle sue fantasie e nei suoi rimpianti.
Ma se il confronto ravvicinato fra il bibliotecario e Napoleone è parto immaginativo dello scrittore piemontese, assolutamente storico e reale fu invece l'affrontement che nel novembre 1811 contrappose l'imperatore dei francesi, allora ancora all'apice della sua gloria e della sua potenza terrena, e due archivisti vaticani, Carlo Altieri e Marino Marini, brutalmente trapiantati sulle rive della Senna in seguito alle tragiche vicende di quegli anni.
Nessuno come Napoleone si mostrò avido e rapace predatore dei beni dei popoli conquistati, ai quali pur proclamava di voler portare la libertà. Non contenti di aver assoggettato mezza Europa alla mediocrità di una famiglia certo non all'altezza del suo più celebre rappresentante, Bonaparte e le truppe francesi si diedero a un sistematico saccheggio di opere d'arte, di archivi, di biblioteche che non ha paragoni se non (ma in misura più limitata) nella più recente follia nazista.
Come i nazisti a Berlino, Napoleone intendeva costituire a Parigi un centro in cui confluissero i tesori artistici e culturali dell'intera Europa, per fare della capitale francese il nuovo faro di una civiltà erede e somma di quante l'avevano preceduta.
Anche la Santa Sede fu travolta nel vortice. Piegato dalle clausole dell'armistizio di Bologna (23 giugno 1796) e del Trattato di Tolentino (19 febbraio 1797), Pio VI dovette cedere nel 1797 ai francesi poco meno di cinquecento manoscritti (per la precisione 464) della Biblioteca Vaticana, ai quali l'anno dopo si unirono preziosi incunaboli, medaglie e altri cinque manoscritti (fra i quali il celebre Codice b della Bibbia, Vat. gr. 1209, e il Virgilio Palatino, Pal. lat. 1631), in assoluto fra i più preziosi della Vaticana, inizialmente sottratti alla rapacità transalpina, che più o meno contemporaneamente ingoiava capolavori come il Laocoonte e l'Apollo di Belvedere.
Nel 1810 fu la volta degli archivi della Santa Sede, una straordinaria concentrazione di documenti che rifletteva la lunga storia e la complessa articolazione degli uffici curiali. Colpisce la quasi contemporaneità dei violenti trasferimenti del Pontefice e dei suoi archivi, quasi a segnalare ancora una volta l'indissolubile legame che li unisce. Deportato Pio VII da Roma (6 luglio 1809), il 2 febbraio 1810 venne emanato il decreto di requisizione degli Archivi Vaticani e il 17 febbraio successivo partì per Parigi il primo convoglio dei documenti requisiti.
Il 23 febbraio il governo francese ordinò a Marino Marini e a Carlo Altieri di «aver cura in Francia degli Archivi», ingiungendo loro il trasferimento nella capitale francese. La misura francese appare interessante, nella tradizione di un Paese che ha fatto della razionalità la sua divisa: non basta requisire gli archivi se non si trasferiscono, con essi, anche gli archivisti, che degli archivi sono l'anima, la consapevolezza, la coscienza, in grado di trasformare una montagna inerte e ingombrante di carte in un insieme dotato di senso e valore.
A Marino Marini e ad Altieri si unì anche Gaetano Marini, zio di Marino e primo custode della Biblioteca Vaticana, che inizialmente aveva ottenuto il permesso di rimanere a Roma. L'11 aprile 1810 il piccolo gruppo di archivisti e bibliotecari vaticani (i due Marini e l'Altieri) giunse così a Parigi, ove per sedici mesi furono ospiti del milanese cardinale Antonio Dugnani (a Parigi già dal 1809) ricevendo per il loro servizio quindicimila franchi annui dal governo francese. Il 27 febbraio 1811 era intanto arrivato a Parigi, dopo più di un anno di viaggio, il primo convoglio di documenti dell'Archivio Vaticano, mentre il 28 luglio 1813 furono requisiti altri manoscritti della Biblioteca Vaticana e altri documenti dell'Archivio, destinati anch'essi a Parigi.
Un mese dopo, il 28 agosto 1813, a nome di Pio VII (detenuto a Fontainebleau) Dugnani fece sapere a Gaetano Marini che non avrebbe dovuto lasciare Parigi (come evidentemente desiderava) perché non è bene che si allontani «dalla sposa (gli Archivi) che vi è stata affidata».
L'astro napoleonico incominciava però a declinare: il 31 marzo 1814 le truppe alleate entrarono a Parigi e il 19 aprile fu reso pubblico il decreto di restituzione alla Santa Sede degli archivi, dei manoscritti e degli altri oggetti trafugati dai Francesi. Subito dopo incominciarono le spedizioni di ritorno, interrotte dalla parentesi dei Cento Giorni (20 marzo - 8 luglio 1815) entro la quale si colloca la morte a Parigi (17 maggio 1815) di Gaetano Marini.
Ma il recupero dei manoscritti, degli archivi e degli oggetti rubati riprese e proseguì, fra l'ottobre 1815 e l’estate 1817, fra difficoltà di ogni tipo e talvolta improvvide scelte degli inviati vaticani che, per diminuire l'onerosissimo costo della spedizione a Roma dei documenti, ne alienarono una parte consistente, vendendoli a pizzicagnoli parigini o semplicemente votandoli alla distruzione. Horribile dictu: ma è facile giudicare col senno di poi, nella comodità di condizioni ideali toto caelo diverse da quelle, precarie e difficili, in cui operavano i commissari pontifici.
(©L'Osservatore Romano 3-4 giugno 2013)