«Che l'uomo non viva di solo pane ma di qualcosa di più, penso che oggi possiamo addirittura vederlo». L'araldo del gran re. Omelia di Joseph Ratzinger in occasione della prima messa di un amico sacerdote (1955)
- Tag usati: benedetto_xvi, joseph_ratzinger, sacerdozio
- Segnala questo articolo:
Riprendiamo da L’Osservatore Romano del 15/5/2013 un testo del giovane J. Ratzinger con l’introduzione che l’accompagnava. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (20/5/2013)
Con il titolo Annunciatori della Parola e Servitori della vostra gioia. teologia e spiritualità del Sacramento dell'Ordine (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2013, pagine 982, euro 55) è in libreria il volume XII dell'Opera omnia di Joseph Ratzinger curata dall'arcivescovo Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione perla Dottrinadella Fede. Il libro raccoglie studi scientifici, meditazioni e omelie - dal 1954 al 2002 - sul servizio episcopale, sacerdotale e diaconale. Anticipiamo brani di tre omelie: una tenuta nel 1978 nella messa per il settantesimo compleanno del vescovo Ernst Tewes, e le altre due pronunciate nel 1955 e nel 1962 in occasione della prima messa di sacerdoti suoi amici; testi vivaci e commossi, in cui aneddoti personali si alternano a citazioni tratte da scrittori famosi, come Antoine de Saint-Exupéry o il grande scrittore russo Solženicyn. Il pilota francese scrisse un giorno in una lettera a un generale: "Vi è un unico problema nel mondo. Come si possa ridare agli uomini un significato spirituale un'inquietudine spirituale, come far sì che si formi quaggiù qualcosa che assomigli a un canto gregoriano. Lei capisce, non si può più vivere di frigoriferi, di politica, di bilanci, di cruciverba. Non si può più". E nel suo libro Il piccolo principe afferma: "Com'è incomprensibile il mondo degli adulti, delle persone sagge. Noi capiamo solo le macchine, la geografia e la politica. Ma ciò che è essenziale, la luce, le nubi, il cielo e le sue stelle, questo non lo capiamo più". Solženicyn invece racconta il grido d'angoscia di un comunista che si trovava nelle prigioni di Stalin: "Noi avremmo nuovamente bisogno di chiese in Russia e di uomini la cui vita pura faccia rivivere queste chiese e le trasformi in spazio per l'anima". In effetti l'uomo non vive solo di frigoriferi e di bilanci, scriveva il giovane Joseph Ratzinger; quanto più cerca di farlo, tanto più disperato egli diventa, tanto più vuota diviene la sua vita.
Stralci da un'omelia pronunciata nel 1955 in occasione della prima messa di un sacerdote suo amico
Era l'aprile del 1207, nell'Italia piena di sole. Era il mese in cui san Francesco d'Assisi era stato diseredato e ripudiato da suo padre. Non aveva più niente, non era suo nemmeno l'abito che portava addosso; e tuttavia possedeva qualcosa che nessuno poteva sottrargli, vale a dire l'amore di Dio al quale ora poteva dire «Padre» in un modo del tutto nuovo.
E sapeva che questo era molto di più che possedere il mondo intero. Così il suo cuore era ricolmo di una grande gioia e cantando camminava attraversando i boschi dell'Umbria. Ma d'improvviso, vicino a Gubbio, dalla boscaglia balzano due briganti pronti ad assalirlo; e stupiti dal suo aspetto così curioso gli chiedono: «E tu chi sei?». E lui risponde: «Sono l'araldo del gran re».
Francesco d'Assisi non era un sacerdote, bensì rimase tutta la vita diacono; ma quello che disse in quel momento è parimenti una descrizione profonda di cosa sia e debba essere un sacerdote: è l'araldo del gran re, di Dio, è annunciatore e predicatore della signoria di Dio che si deve estendere nel cuore dei singoli uomini e in tutto il mondo.
Non sempre l'araldo percorrerà la sua strada cantando; a volte sì, certamente, perché il buon Dio a ogni sacerdote dona sempre di nuovo momenti nei quali, con stupore e letizia, riconosce quale grande compito Dio gli ha dato. Ma contro questo araldo si levano sempre anche i briganti, per così dire, ai quali quell'annuncio non piace: sono in primo luogo gli indifferenti, che per Dio non hanno mai tempo, quelli ai quali - proprio nel momento in cui Dio li chiamasse -verrebbe in mente che in realtà hanno qualcos'altro da fare, che hanno tanto di quel lavoro da sbrigare; poi ci sono quelli che dicono che non bisognerebbe costruire le chiese, ma anzitutto le case, e ai quali poi però sta bene che spuntino cinema e luoghi di divertimento di ogni tipo.
A loro il sacerdote deve sempre di nuovo annunciare il fatto, spesso scomodo, che l'uomo non vive di solo pane ma che nella stessa misura, anzi di più, egli vive della Parola di Dio. E che l'uomo non viva di solo pane ma di qualcosa di più, penso che oggi possiamo addirittura vederlo. Sempre di più ci sono persone che hanno tutto quello che desiderano, che hanno abbastanza soldi per vestirsi e per mangiare come vogliono e che tuttavia un certo giorno la fanno finita: «non riesco più a vivere», dicono, «non ce la faccio più, non ha più senso». È qui che si vede che l'uomo ha bisogno di qualcosa di più del pane, che c'è in lui una fame più profonda, la fame di Dio che può essere saziata dalla Parola di Dio.
Ritengo che, coll'occasione di questa predica e della celebrazione di questa prima messa, potremmo tutti un po' riflettere oggi se non siamo anche noi, in una forma o in un'altra, tra quegli indifferenti che con il loro criticare, con il loro arrivare in ritardo o non venire affatto, rendono più difficile o fanno perdere al sacerdote il gusto per il suo lavoro.
Poi c'è anche chi è ostile, quelli che dietro a ogni sacerdote scorgono il rappresentante del clericalismo, di un potere contro il quale dovrebbero difendersi; e non c'è bisogno che vi dica gli slogan e i pensieri che oggi circolano al riguardo, perché li conoscete tanto quanto me; e tutti noi - credo - vediamo non solo il sudore che costa il lavoro di mietitura ma anche quanto sudore esige il raccolto del Regno di Dio da parte di chi il Signore ha inviato come operaio nel suo campo, sul quale certo crescono anche i cardi e le spine, non diversamente dal campo di questo mondo.
E nonostante tutte le opposizioni, il sacerdote dovrà sempre di nuovo portare l'annuncio della signoria di Dio che si vuole estendere in questo mondo, poiché lui è l'araldo del gran re, di Dio, uno che grida nel deserto del tempo; ovvero per dirla con i teologi, in modo più semplice e asciutto: egli non ha solo parte alla funzione pastorale di Gesù Cristo ma anche alla sua funzione magisteriale; egli non è solo mandato per amministrare i Sacramenti ma anche per annunciare la Parola di Dio.
Cari cristiani! Quello che ho potuto dire in questa predica sono solo pochi, insignificanti e piccoli dettagli dell'immagine complessiva dell'esistenza sacerdotale. Ma di fronte alla grande realtà di Dio in fondo ogni uomo è come un bambino che balbetta, e anche l'uomo più grande non riesce a dire più di qualche insignificante dettaglio. In conclusione, vorrei ripetere ancora una volta la preghiera che vi ho rivolto in precedenza; prima di mettersi a servizio, nella preghiera eucaristica, del miracolo della santa consacrazione, il sacerdote novello si volterà ancora una volta verso di voi dicendovi: «Orate fratres: pregate fratelli, perché il mio e vostro sacrifico sia gradito a Dio, il Signore!».
Allora vi prego di non considerare queste parole come una frase fatta che il Messale riporta, come una formula che il sacerdote deve pronunciare perché quello è il momento in cui va fatto; consideratela invece come una preghiera vera e propria che egli rivolge a voi tutti. Perché forse oggi quello di cui ha più bisogno il sacerdote è che si preghi tanto per lui; per lui è infinitamente consolante sapere che le persone si prendono cura di lui di fronte a Dio, che pregano per lui. È come se una mano buona lo tenesse in una ripida salita tanto da avere questa certezza: «Posso andare avanti tranquillo, perché sono sostenuto dalla bontà di coloro che sono con me».
E ogni volta che in futuro andrete a messa e sentirete questa formula, Orate fratres (pregate fratelli!), consideratela come un'esortazione, come una vera preghiera rivolta a voi dal vivo: pregate fratelli, perché l'offerta della vita di questo sacerdote e di tutti i sacerdoti sia gradita a Dio, il Signore.
(©L'Osservatore Romano 15 maggio 2013)