L’ultima benedizione, di Fabio Bartoli

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 03 /03 /2013 - 13:58 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito dal suo profilo FB un articolo di Fabio Bartoli, pubblicato il 28/2/2013. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (3/3/2013)

Ieri, insieme a centomila e forse più amici, ero in piazza ad ascoltare l’ultima lezione del mio maestro. Sono 25 anni, da quando nell’89 discussi una tesi intitolata “il prinzip-empfangen nella teologia di J. Ratzinger”, che lo seguo. Grazie a lui ho imparato ad amare i Padri della Chiesa, Agostino in primis, da lui ho imparato a pensare la mia fede, a coniugarla con la ragione, a tenere insieme la mente inflessibilmente logica che ho avuto in eredità da mio padre e il cuore appassionato che mi ha donato mia madre. In una parola a lui devo forse non la mia fede, ma certamente la forma che ha assunto.

Per questo ieri in piazza ero emozionatissimo, ma non triste. Sentivo che si compiva un ciclo, sapevo che ciò che dovevo ricevere lo avevo già ricevuto, che almeno per quanto riguarda me il Santo Padre può davvero dire “missione compiuta” ed andarsene in pace, come il santo vecchio Simeone. Almeno finché non ci ha benedetto. Quando alla fine dell’udienza ha alzato la mano per benedirci sono stato travolto.

“Sit nomine dominus benedictus”… ed una corrente elettrica ha attraversato il mio corpo
“adiutorum nostrum in nomine domini”… e le lacrime hanno cominciato a scorrere abbondanti
“benedicat vos omnipotens deo”… e non potevo fare a meno di pensare alle benedizioni dei grandi patriarchi, quando in punto di morte consegnavano nelle mani dei figli la Storia della Salvezza.

“Pater”… e il mondo spariva davanti a me mentre tutto veniva ridisegnato a partire dall’orizzonte del Dio che dona la Sua Grazia.
“et Filius”… e la mano affettuosa di un’amica, posata sulla spalla, mi faceva sentire che non ero l’unico a percepire ciò che in quel momento stava accadendo nel mondo dello spirito.
“Et Spiritui Sancto”… ed a quel punto piangevo senza ritegno sopraffatto dall’amore e dalla gratitudine per questo piccolo immenso uomo e soprattutto dall’immenso amore che attraverso di lui mi giungeva dalla Trinità tutta intera.

Passata l’onda dell’emozione mi sono fermato a pensare a quella benedizione e al discorso che l’ha preceduta. Davvero è stata una consegna, proprio come le benedizioni dei patriarchi. Il Papa ci ha consegnato se stesso, la sua visione della Chiesa e del Cristianesimo, ed in una parola è stata un’immensa vocazione, per me, per tutti noi presenti, per tutta la Chiesa. Una vocazione che mi sembra si possa riassumere in una frase che nessuno ha sottolineato, ma che invece è per me la perfetta sintesi del suo pensiero: “vorrei che tutti sentissero la gioia di essere cristiano”.

La gioia… nessuno sembra essersene reso conto, perché chi ha l’idolo del potere vede solo quello e giudica tutto in base ad esso, ma questo pontificato è stato tutto intero dal principio alla fine, un annuncio di gioia. Se si facesse una tag-cloud delle parole più usate dal Papa sono certo che Gioia sarebbe ai primissimi posti ed accanto ad esso la sua sorella gemella Grazia.

La gioia di essere cristiani è la gioia di avere un Padre che ci ama e si prende cura di noi, la gioia di tutto ricevere in dono da lui (il prinzip-empfangen, l’inizio e la fine di ogni suo ragionamento). Questo è essere cristiani e questo papa Benedetto ha insegnato al mondo: Dio è Amore (non per nulla è stata la sua prima enciclica) e tutto vive nel suo amore, nel suo dono, e tutto esiste ricevendosi dalle sue mani.

Sì, esistere è riceversi (era l’argomento della mia tesi) e dunque restituirsi, per questo la vita è bella, perché tutto è dono, tutto è Grazia, tutto canta e grida di gioia.

Questo messaggio lo ha portato a scontrarsi frontalmente con un mondo triste e arrabbiato che pretende di non riceversi in dono, ma piuttosto di costruirsi nell’arroganza di una presunta autosufficienza e per questa ragione è incapace di gioia. Così è accaduto un paradosso: l’annuncio della gioia è stato letto da chi è incapace di gioia come una rivendicazione di potere, mentre i piccoli hanno capito, chi ha ancora il cuore libero dal potere ha capito, chi davvero vuole essere felice ha capito, i giovani hanno capito. E così il Papa più odiato nella storia dei media (da sempre idolatri del potere) è stato immensamente amato dal popolo cristiano, creando una curiosissima polarizzazione.

Finché lui non ha scagliato il potere dalle mani (per dirla con De André) ed è apparso così in tutta evidenza come i suoi detrattori non avessero capito nulla di lui. Resta allora solo un insegnamento immenso, un’eredità meravigliosa da raccogliere, un messaggio da spargere ai quattro venti: il Cristianesimo è gioia, la vita è gioia, l’amore è gioia, l’obbedienza è gioia… Tutto sta nella cifra della gioia finché si resta nell’abbraccio di Dio, finché si permette all’immenso abbraccio di quell’ultima benedizione di stringerci e tenerci a sé.