Magistratura e politica (di A.L.)
Mio padre era magistrato. Credo fosse integerrimo magistrato, per quanto un ragazzo potesse capire allora delle cose dei grandi. Non accettava –ricordo i commenti quando questo avveniva con dichiarazioni sui quotidiani o nei TG- che un magistrato facesse dichiarazioni pubbliche su questioni partitiche. La divisione dei poteri su cui si basa il sistema costituzionale italiano obbligava, secondo lui, il giudice a non lasciar trasparire le sue preferenze politiche. Questo avrebbe, infatti, gettato un ombra di sospetto su ogni decisione presa in giudizio.
In questo senso è possibile un parallelo con la situazione del sacerdote: egli non deve lasciar trasparire le sue convinzioni politiche non perché questo sia un reato –il prete come il magistrato è un qualsiasi cittadino e, dal punto di vista del puro diritto, potrebbe essere politicamente partigiano- ma perché il suo ruolo deve restare quello di una persona che è al di sopra delle parti. Anche questo silenzio è un sacrificio, ma è condizione che facilita l’esercizio del servizio che si è scelto.
Ora, divenuto più grande, capisco meglio cosa voleva dire mio padre e lo condivido: non è bene che un magistrato dia mai in pubblico una valutazione sugli eventi politici della nazione. Egli ha scelto di far parte del potere giudiziario e non gli è consentito di gettare ombre sul suo operato e su quello dei colleghi. Egli applica la legge, perché tale è la legge, non perché ha idee di parte che metà delle persone possono condividere, ma allo stesso tempo rifiutare.
In questo senso è possibile un parallelo con la situazione del sacerdote: egli non deve lasciar trasparire le sue convinzioni politiche non perché questo sia un reato –il prete come il magistrato è un qualsiasi cittadino e, dal punto di vista del puro diritto, potrebbe essere politicamente partigiano- ma perché il suo ruolo deve restare quello di una persona che è al di sopra delle parti. Anche questo silenzio è un sacrificio, ma è condizione che facilita l’esercizio del servizio che si è scelto.
Ora, divenuto più grande, capisco meglio cosa voleva dire mio padre e lo condivido: non è bene che un magistrato dia mai in pubblico una valutazione sugli eventi politici della nazione. Egli ha scelto di far parte del potere giudiziario e non gli è consentito di gettare ombre sul suo operato e su quello dei colleghi. Egli applica la legge, perché tale è la legge, non perché ha idee di parte che metà delle persone possono condividere, ma allo stesso tempo rifiutare.