Scesi dal soglio di Pietro (le dimissioni dei papi nella storia, due articoli da L’Osservatore Romano)
Riprendiamo da L’Osservatore Romano dell’11/2/2013 due articoli pubblicati senza indicazione dell’autore. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori approfondimenti sulla storia della Chiesa, vedi le sezioni Storia e filosofia e Roma e le sue basiliche.
Il Centro culturale Gli scritti (12/2/2013)
Scesi dal soglio di Pietro
La risposta di Benedetto XVI nel libro-intervista Luce del mondo, era stata esplicita. Alla domanda del giornalista Peter Seewald («Quindi è immaginabile una situazione nella quale lei ritenga opportuno che il Papa si dimetta?») aveva detto «Sì. Quando un Papa giunge alla chiara consapevolezza di non essere più in grado fisicamente, mentalmente e spiritualmente di svolgere l’incarico affidatogli, allora ha il diritto e in alcune circostanze anche il dovere di dimettersi». In verità, la ricostruzione storica dei casi in cui si è interrotto un pontificato prima della morte del Papa, ci riconduce a pochissime figure e in nessun caso a una situazione come quella che si è verificata con la decisione di Benedetto XVI.
Agli albori della Chiesa, quando ancora la predicazione degli apostoli era realtà viva e ricordata per testimonianza diretta, troviamo la figura di Papa Clemente: nella lista dei vescovi di Roma stilata da Ireneo di Lione indicato come terzo successore di Pietro dopo Lino e Anacleto. Le fonti non sono univoche nel ricostruire una data esatta del suo Pontificato: secondo Eusebio di Cesarea sarebbe succeduto ad Anacleto nel dodicesimo anno di Domiziano, cioè nell’anno 92 (Historia Ecclesiastica, III, 15).
Ma Girolamo riporta, oltre a questa, anche la tradizione che voleva Clemente come successore immediato di Pietro. Epifanio di Salamina si chiedeva come mai un contemporaneo degli apostoli fosse subentrato solo più tardi nell’episcopato romano e ipotizza che gli apostoli possano aver ordinato chi li sostituisse nel governo della Chiesa romana mentre loro erano impegnati nel ministero apostolico.
Epifanio immagina, sulla base della lettera della Chiesa dei Romani a quella dei Corinzi (cfr. 54, 2) — tradizionalmente attribuita a Clemente anche se, in realtà, il fatto non è documentato, e nella quale si esortano i più generosi ad allontanarsi piuttosto che suscitare sedizioni, divisioni e discordie — che in questo passo si rifletta una situazione personale dell’autore il quale, per non suscitare problemi all’interno della comunità, si sarebbe astenuto dall’esercitare le funzioni episcopali finché non vi fu costretto alla morte di Pietro, di Lino e di Cleto.
Siamo però in un ambito in cui il condizionale è d’obbligo e le notizie mancano del necessario fondamento storico. Anche perché — è l’orientamento degli studi attuali — almeno fino al II secolo la guida della Chiesa di Roma sembra vedere come protagonista un collegio di presbiteri piuttosto che una figura prevalente.
Da Clemente si passa a Ponziano. Diciottesimo vescovo della Chiesa di Roma, la data di inizio del suo episcopato va fissata, per congettura, al 230. La fonte più attendibile, il Catalogo liberiano, stabilisce la durata del suo ministero in cinque anni, due mesi e sette giorni. Nel 235 Ponziano fu deportato in Sardegna insieme con il presbitero Ippolito. La durezza del provvedimento risulta dal testo dalla specificazione: in insula nociva, formula che probabilmente intende il clima insalubre e la condanna ai lavori forzati in miniera. Il catalogo ricorda quindi la data della rinuncia di Papa Ponziano alla carica, rinuncia espressa con il termine tecnico discinctus est (cfr. Thesaurus linguae Latinae, V, 1, Lipsiae 1909-34, col. 1316), avvenuta in Sardegna (in eadem insula) il 28 settembre e l’ordinazione, come successore, di Antero il 21 novembre.
Ponziano, come ipotizza l’Enciclopedia dei Papi, «potrebbe essere stato spinto da un ammirevole realismo, avendo dato per certo che non sarebbe uscito vivo dalla deportazione, e che l’assenza di un pastore avrebbe nuociuto al gregge. Ma circostanze particolari potrebbero averlo indotto a un gesto di forte significato simbolico. Se il presbitero Ippolito esiliato con lui, sia o meno da identificare con l’autore dell’Èlenchos, fosse stato il capo spirituale di una comunità romana dissidente con l’orientamento in quel momento maggioritario rappresentato da Ponziano, il gesto di quest’ultimo acquisterebbe ulteriore spessore in quanto teso a favorire o sancire una riconciliazione. E se ci si volesse spingere oltre nel campo della congettura l’elezione a Roma di Antero, un greco di origine orientale, come dovrebbe essere stato Ippolito, avrebbe il sapore di una ulteriore apertura alla riunione delle varie componenti della comunità romana».
Con un salto di circa tre secoli si giunge a Papa Silverio. Alla morte del padre (Papa Ormisda) nel 523, ne compose l’epitaffio, oggi perduto, nel quale celebrava i tentativi di riconciliazione con l’Oriente e il ritorno dell’Africa alla libertà. Non è noto se all’epoca Silverio fosse già entrato nel clero, poiché l’iscrizione non porta alcun titolo, ma si sa che quando giunse la morte di Papa Agapito, avvenuta a Costantinopoli il 22 aprile 536, egli era suddiacono della Chiesa di Roma.
La sua candidatura al soglio pontificio, imposta da re Teodato, secondo il cronista del Liber pontificalis suscitò un diffuso malumore tra il clero, come reazione al rango modesto del candidato nella gerarchia ecclesiastica. Era la prima volta che un suddiacono accedeva al pontificato. Silverio si impegnò nella lotta contro i monofisiti nel concilio che si svolse dal 2 al 4 giugno del 536, durante il quale fu condannato in contumacia Antimo, che fu deposto dalla sua sede di Trebisonda. Questa politica di repressione del monofisismo indispose l’imperatrice Teodora, che decise la rovina di Silverio inviando una lettera al generale Belisario nella quale gli intimava di deporre il Papa.
Belisario obbedì convocando i presbiteri, i diaconi e tutto il clero affinché eleggessero Vigilio, che fu consacrato il 29 marzo 537, sebbene il Liber pontificalis lo designi come diacono fino alla morte del suo predecessore. Secondo la stessa fonte Silverio fu confinato nell’isola di Palmarola, una delle Pontine, e ridotto alla stato monastico. Liberato parla invece di un primo esilio a Patara, in Licia, mostrando una relativa concordanza con Procopio, il quale riferisce che Belisario mandò il Papa accusato di tradimento «in Grecia».
In tutt’altra epoca si inquadra Benedetto IX, al secolo Teofilatto dei conti di Tuscolo, regnante tra l’ottobre del 1032 e il settembre del 1044. A lui toccò di rappresentare il segno della assoluta mondanizzazione e strumentalizzazione del potere papale. Nella sua complessa vicenda il Pontefice fu espulso da Roma, dove rientrò prima di essere definitivamente sconfitto. Incerta la data di nascita e l’esatta posizione della genitura, si può comunque dire che non fosse fanciullo al momento dell’elezione, come sostenuto a lungo. Gli Annales Romani riportano che nel 1044 a Roma scoppiò una rivolta contro il Papa che venne cacciato. Subito dopo venne eletto il vescovo di Sabina Giovanni, che prese il nome di Silvestro III, il quale dopo 49 giorni venne a sua volta rimosso da Benedetto IX che tornò sul soglio pontificio. In carica Benedetto IX vi rimase dal 10 marzo al 1° maggio del 1045, quando cedette l’incarico a Giovanni Graziano, che divenne Pontefice con il nome di Gregorio VI.
La successione era avvenuta con un meccanismo usuale, dati i tempi, quello dell’acquisto per denaro. Anche il nuovo Papa non restò a lungo sul soglio: sceso in Italia nell’autunno del 1046, Enrico III riunì un concilio a Sutri, invitando i tre Pontefici che erano stati protagonisti delle vicende degli ultimi due anni. Silvestro III non si presentò. Gregorio VI, unico presente, riconobbe la sua colpa, pur nell’affermazione della sua buona fede. Nemmeno Benedetto IX si presentò e nel concilio romano immediatamente successivo, nel Natale del 1046, fu dichiarato deposto dal nuovo Pontefice Clemente II.
Ma dopo la morte improvvisa di Clemente, il 9 ottobre 1047, Benedetto IX riuscì a tornare ancora sul soglio di Pietro, forte dell’appoggio di Bonifacio di Canossa, e sfruttando la lontananza dall’Italia di Enrico III. Durò però poco. Enrico chiese a Bonifacio di scortare a Roma il nuovo Pontefice scelto da lui stesso, Poppone di Bressanone che assunse il nome di Damaso II. Dopo un’iniziale riluttanza Bonifacio dovette cedere alle minacce del sovrano e accompagnò a malincuore il Papa germanico nella città eterna, determinando l’allontanamento definitivo di Benedetto IX, che si rifugiò tra i castelli della Sabina. Qui Teofilatto continuò a considerarsi in carica in uno sdegnoso ritiro.
Dopo il caso di Celestino V del quale scriviamo in questa pagina, si arriva così all’ultimo Pontefice che lasciò il soglio di Pietro. Angelo Correr, figlio del patrizio veneziano Nicolò di Pietro, Papa dal 1406 al 1415 con il nome di Gregorio XII, dimettendosi da vicario di Pietro (ma su richiesta del concilio di Costanza) cercò di avviare verso la soluzione un groviglio di problemi straordinariamente complesso: anni di lotte e di contese giuridiche, belliche e diplomatiche con gli antipapi Benedetto XIII, espressione della fazione avignonese, e Giovanni XXIII (nome che verrà poi riutilizzato da Papa Roncalli) durante lo scisma d’Occidente.
Nel marzo 1415 aveva nominato Carlo Malatesta suo procuratore, delegando nel contempo propri rappresentanti con la potestà di convocare a suo nome il concilio. Se l’assemblea conciliare avesse accettato tale procedura Gregorio sarebbe apparso come l’unico Papa legittimo; si trattava di un riconoscimento formale, ma importante. Il concilio ritenne comunque opportuno accogliere la richiesta, destinata a spianare la via all’unità. Così il 4 luglio 1415 il cardinale Dominici lesse la bolla di convocazione del concilio, dopodiché il Malatesta dette l’annuncio ufficiale dell’abdicazione di Gregorio XII. Il concilio aveva deciso di conferire a Gregorio XII il titolo di cardinale vescovo di Porto con il primo rango dopo il Papa e la nomina vitalizia di legato perla Marca di Ancona.
Di quanto era avvenuto a Costanza il 4 luglio 1415 ebbe notizia il 19 luglio e il giorno seguente, nell’ultimo concistoro che volle convocare, si spogliò dei simboli del potere papale rivestendo l’abito cardinalizio. Dal gennaio 1416, tornato Angelo Correr, visse a Recanati dove si spense il 18 ottobre 1417. L’11 novembre di quello stesso anno, con l’elezione di Oddone Colonna che assunse il nome di Martino V, il grande scisma era definitivamente riassorbito.
La breve apparizione di Celestino V
È la figura maggiormente nota anche per la celeberrima citazione dantesca («colui che fece per viltade il gran rifiuto»), peraltro di incerta interpretazione. Pietro del Morrone, il futuro Celestino V nacque nel 1209 o all’inizio del 1210: la fonte più sicura in proposito, la Vita Coelestini (pubblicata negli «Analecta Bollandiana», 16, 1897), indica che aveva ottantasette anni al momento della morte avvenuta il 19 maggio 1296. Era originario della Contea di Molise, allora una provincia del Regno di Sicilia. Fu canonizzato il 5 maggio 1313, a opera di Clemente V; la sua memoria liturgica si celebra il 19 maggio.
Pietro venne eletto Papa nel 1294; l’11 luglio gli fu mandata un’ambasceria a Sulmona. Il 18 luglio ricevette nella sua cella gli emissari del Collegio cardinalizio e il cardinale Pietro Colonna; Carlo II giunse a Sulmona il 21 luglio per rendere omaggio al neoeletto e da quel momento egli non si allontanò più dal nuovo Pontefice. Il sovrano dette subito ordini per preparare l’incoronazione di Celestino all’Aquila, città facente parte dei suoi domini.
Il 28 luglio, a dorso di un asino, il Papa fece il suo ingresso in città, ma cominciò a pensare egli stesso alle sue dimissioni già immediatamente dopo il suo arrivo a Napoli, nel novembre 1294. «Nel grande dramma tra Ecclesia spiritualis ed Ecclesia carnalis — scrive Arsenio Frugoni parlando dell’enigmatica figura dell’eremita abruzzese — Celestino V è una breve apparizione, ma così rivelatrice che ne è quasi simbolo. E però la sua personalità mantiene una indeterminatezza che né gli antichi biografi né gli studiosi più recenti hanno potuto rimuovere efficacemente, per cogliere tratti individuali e concreti».