I ragazzi dell'«attenzione parziale» e i prof che vogliono vietare l'iPad, di Giacomo Valtolina
Riprendiamo dal Corriere della Sera del 18/1/2013 un articolo scritto da Giacomo Valtolina. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (3/2/2013)
Se ci fosse un'immagine per descrivere le nuove generazioni bulimiche d'informazioni sarebbe quella della tentacolare dea Kalì, la consorte di Siva della religione induista, capace, con le sue quattro braccia, di generare forze ambivalenti o addirittura contraddittorie. In una mano tengono lo smartphone, nell'altra impugnano il telecomando, davanti agli occhi hanno un computer, sullo sfondo corrono le immagini in tv. Twittano mentre bevono il caffè e sfogliano riviste mentre ascoltano musica, in una «costante attenzione parziale» che rischia di trasformare la realtà in un insieme confuso di frammenti, difficili da ricordare e, soprattutto, da rielaborare.
È l'«allarme pensiero» lanciato da un gruppo di 40 professori italiani, appartenenti al network Athena della fondazione Pubblicità progresso, spaventati dal rapido mutamento delle capacità di analisi e di apprendimento riscontrate nei propri studenti. Una «regressione» imputabile all'uso sfrenato dei nuovi strumenti che, proprio come la dea Kalì, hanno duplice natura: di liberazione da una parte (la tecnologia che offre nuove opportunità) ma anche di efferata violenza (il rischio di «addormentare le capacità di ragionamento e memoria»).
Se ne parlerà stamane durante un convegno organizzato alla Cattolica di Milano, dove verrà proposto anche un vademecum per interrompere questo presunto processo involutivo: vietando smartphone e iPad in aula; rivalorizzando l'insegnamento del latino e del greco e il ruolo della scrittura a mano; e regolamentando l'utilizzo delle nuove tecnologie da riservare a ricerche o sperimentazioni.
Tutto nasce da un semplice pour parler tra docenti sui ventenni di oggi. Riconoscibili i «sintomi» (linguaggio poco strutturato, incapacità di uscire dal seminato, tendenza all'apprendimento meccanico delle nozioni), pericolosa la malattia: un pensiero privo di senso critico. «Il vulcanico sviluppo delle tecnologie di comunicazione degli ultimi venti anni - spiega il docente di Comunicazione sociale allo Iulm di Milano, Alberto Contri, in passato anche artefice del passaggio on line della Rai - continua ad aumentare le nostre conoscenze e informazioni. Non vogliamo rifiutare il progresso, ma sarebbe imprudente ignorare come l'uso non appropriato (o compulsivo) di questi mezzi possa generare effetti collaterali».
Rischi conosciuti nel mondo come infobesity e information overload (eccesso di informazioni), o pancake people («Internettofili» che s'informano superficialmente). «In un'era in cui si ritiene che il cervello umano possa diventare multitasking come quello di un computer - insiste Contri - è l'illusione paranoide di eliminare il tempo e lo spazio».
Di un corpo studenti più distratto e trasandato nel mettere insieme le idee, si è accorta anche Renata Kodilja, professoressa di Psicologia sociale dell'Università di Udine, sede di Gorizia: «È in atto una modificazione dei processi cognitivi - spiega - dovuta all'allenamento del pensiero che oggi è condizionato dall'uso di Internet. Ho visto un grande cambiamento nei ragazzi, soprattutto negli ultimi anni. Fanno fatica a stabilire l'ordine di priorità degli argomenti e non colgono l'esistenza di un'architettura e di una logica dei pensieri. Hanno tanti elementi di spunto, ma niente che li metta insieme, nessuna ipotesi di lavoro. Studi dimostrano che già a sette-otto anni un bambino è autonomo sulla Rete - precisa -, quindi bisogna intervenire già durante i primi anni della scuola primaria».
Nessuna criminalizzazione generazionale, la soluzione potrebbe essere semplicemente l'ascolto reciproco. «I ventenni di oggi sono studenti molto curiosi - sottolinea Amanda Succi, docente a contratto di Relazioni pubbliche all'Università di Catania - ma non hanno stimoli ad approfondire. Quando lo fanno sono anche bravi, forse basterebbe un po' di comunicazione per trovare nuovi modelli d'insegnamento. L'importante non sono gli studenti di oggi - conclude - ma i decisori di domani». Rispondendo via lettera all'amico compositore Johann Heinrich Köselitz, che a fine Ottocento gli faceva notare un cambiamento di stile conseguente l'avvento della macchina per scrivere, il filosofo Friedrich Wilhelm Nietzsche diceva così: «Hai ragione, i nostri strumenti di scrittura hanno un ruolo nella formazione dei nostri pensieri».