La formazione culturale e teologica del sacerdote, del cardinale Camillo Ruini
Riprendiamo sul nostro sito la trascrizione di un incontro tenuto dal cardinale Camillo Ruini il 23 aprile 2012, per la formazione permanente dei giovani sacerdoti di Roma, alla casa Bonus Pastor. Il testo tratto direttamente dalla registrazione non è stato rivisto dall’autore. La trascrizione è stata curata dall’Ufficio per la formazione del clero. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (3/2/2013)
Da quando ho lasciato la diocesi, mi sono concentrato quasi esclusivamente sul libro che tra poco consegnerò all’editore. Inoltre ho le tre presidenze: quella del progetto culturale, quella della commissione per Medjugorie, che è la più nota, e finalmente quella del comitato scientifico cosi detto della fondazione Ratzinger, che cura la teologia del Papa. La maggior parte del mio lavoro si è concentrata sul libro su Dio. E quindi non ho suggerimenti specifici da darvi sui libri che riguardano il tema che mi è stato proposto. Esistono buoni e ottimi libri, ma non penso che questo sia il punto cruciale e più importante.
Il punto centrale è invece la cura del nostro rapporto con Dio, con Gesù Cristo nella Chiesa e in funzione della nostra missione. Un rapporto che va curato in sé e di per sé, il rapporto con Dio, con Gesù Cristo, ma va curato anche nell’ottica del mio ministero, della mia missione di prete e sempre nella Chiesa, nella comunione ecclesiale.
Su questi punti di fondo, quali sono le linee e le tendenze che oggi vedo affermarsi di più? Anzitutto mi pare che stia funzionando positivamente, quello che chiamerei il “richiamo all’essenziale”. Un simbolo di questo richiamo sono le priorità, anzi la priorità che Benedetto XVI già due o tre anni fa ha indicato per il suo pontificato.
Quando c’era la crisi per il fatto dei quattro vescovi lefevriani. E li, in quell’occasione disse che la priorità per il suo pontificato era ‘rendere Dio presente nel mondo’. Una priorità molto chiara e molto semplice. Facendone l’applicazione a noi, si potrebbe dire che questo è il nostro “mestiere”: rendere Dio presente nel mondo. Questa è la nostra vocazione e la nostra missione, ma in sostanza è anche il nostro mestiere, quello che dobbiamo fare giorno per giorno.
Per fare questo il meno indecentemente possibile, è necessario essere uomini di Dio, non apparire tali. Cioè, è necessario vivere alla sua presenza, o anche per usare una formula equivalente che il Papa usa molto spesso, coltivare l’amicizia di Cristo.
Coltivare l’amicizia di Cristo, essere uomini di Dio, vivere alla presenza di Dio, la sostanza è sempre la stessa. Questo evidentemente è’ un tema spirituale; ‘spirituale’ è una parola che mi lascia sempre un po’ perplesso, come la formazione spirituale. A meno che non la intendiamo nel senso forte, la formazione nello Spirito Santo, la formazione che ci dà il Signore.
Comunque è un tema di formazione spirituale ma è anche certamente un tema culturale.
Oggi, su Dio e su Gesù Cristo, c’è un forte dibattito; rispetto a quattro o cinque anni fa’, anche se forse è un pochino calato, ma fino a qualche tempo fa è stato molto acceso. Abbiamo visto anche in Italia, in Francia, in Inghilterra, in America, in Germania, una forte pubblicistica tendente a negare Dio, l’esistenza di Dio e a ridurre Gesù Cristo a un semplice uomo e a criticare tutta l’immagine che dà la Chiesa e il dogma di Cristo.
Questa che è una cosa antica nella cultura, non è certo di due o tre anni, ma è di secoli! Però, negli ultimi anni è stata presa, portata sul piatto pubblico, e mi dicono, specialmente quelli che seguono il mondo giovanile, anche attraverso internet, che spesso si tratta di attacchi che hanno fatto una qualche breccia, che comunque non sono ininfluenti. Lo si vede anche dalle classifiche dei libri più venduti. Questi libri sono spesso di scarso valore culturale, ma sono riusciti a fare presa e hanno procurato un dibattito culturale anche in Italia.
Inevitabilmente questo comporta per noi una ripresa di quella che tradizionalmente veniva chiamata l’apologetica, nel senso di proporre la fede in maniera motivata e argomentata. Questa è diventata una necessità che oggi si sta imponendo anche ai teologi. Sempre di più la produzione dei teologi cattolici e anche protestanti ed evangelici, ha per oggetto questi temi centrali, li prende in chiave di sostegno e ne mostra le ragioni della loro consistenza e della loro validità.
Direi che questo è un po’ il motivo per il quale si può dire che oggi questi temi fanno parte davvero del dibattito culturale. Non solo della nostra proposta di pastori, di evangelizzatori, di uomini di fede, di formatori delle persone, ma anche sotto il profilo culturale.
Dal nostro punto di vista interno, l’aver abbandonato questo terreno è stata una delle lacune, uno degli errori di prospettiva storica più gravi a partire dal Concilio Vaticano II in poi. Questo che era in fondo il punto di forza della teologia dell’ottocento e della prima metà del novecento fino al Concilio, poi si è pensato che fosse un punto che si poteva accantonare in nome dell’incontro con la cultura contemporanea.
Certo, questo incontro è una grande scelta positiva, che va assolutamente fatta e mantenuta, ma questo non significa che si possa abbandonare il terreno del confronto. È una visione irenica utopistica, fuori della realtà, perché la cultura occidentale moderna è così fatta: si è formata in gran parte in dialettica con il cristianesimo, anche in conflitto con il cristianesimo e continua ad avere queste sue matrici e a proporsi in questo modo.
Ho letto recentemente in funzione del libro che sto scrivendo, il testo di una trasmissione radiofonica fatta in Germania nel 1968, che consiste in una serie di conferenze, tenute da grandi teologi: c’erano Rahner, Ratzinger, c’erano anche vari filosofi, per proporre Dio. Questo è il libro: ‘Chi è questo Dio?’ (Paoline). Ormai è un libro che ha cinquant’anni.
Questo libro fra gli altri, contiene anche un intervento di un non credente, il quale dice qualcosa che lascia a bocca aperta; afferma: io qui mi trovo a disagio, perché sono un non credente. Ero stato chiamato per sostenere le ragioni della mia non credenza di fronte alle ragioni della credenza altrui. E invece, qui nessuno avanza ragioni per credere; tutti danno interpretazioni e contro le interpretazioni non c’è nulla da dire. Ognuno può interpretarle a modo suo: se ritenete che Dio ci sia, ditelo! Se no io non so cosa rispondervi.
Questi certamente ha fatto un po’ una caricatura perché non è che sia tutto così, però c’erano nel libro molte parti che si prestavano a questa replica anche un po’ sprezzante. Ecco, direi che quel clima culturale, anche nella teologia di oggi, ormai non c’è più. Anzi, è proprio morto! Questo però è indicativo di un clima che c’è stato e che è andato avanti per parecchio tempo.
Questo clima veniva dal crollo della filosofia e della teologia neoscolastica. È vero, che queste erano ormai defunte e non si potevano risuscitare. Io l’ho visto anche quando insegnavo teologia, l’ho visto adesso nello scrivere il mio libro. Io ho studiato al tempo della neoscolastica, prima del Concilio, ero studente dal ’49 al ’57. Essa è morta, però un conto è che vada sostituita, e più o meno bene si è riusciti a sostituirla, un conto è che fosse possibile rinunciare a questo aspetto: la dimensione di proposta ragionata della fede che la neoscolastica faceva con grande impegno; per fortuna adesso si sta recuperando.
E questo rende possibile anche a voi un lavoro più agevole se volete prepararvi per questo. Questo è un piccolo quadro storico che sta dietro di noi.
Oggi la teologia cattolica, evangelica e protestante, non tutta, ma in gran parte, ha iniziato a rispondere alle critiche di coloro che contestano i fondamenti stessi, la sostanza della nostra fede. Molte di queste risposte che vengono date però hanno un limite: cioè rimangono più attente, più interessate in fondo al dibattito interno, al dibattito intra-teologico.
L’ho visto di recente in alcuni libri di teologia fondamentale che discutono con altri teologi e con altri autori di teologia fondamentale. È interessante senza dubbio la questione di metodo per questioni di scuola, non della scolastica ma delle diverse scuole di pensiero, piuttosto che l’efficacia comunicativa.
Mentre questi libretti di accusa hanno una grande abilità ed efficacia comunicativa. Sono scritti per comunicare con la gente, perché, il normale lettore, non uno che è del tutto sprovvisto, ma uno che ha un minimo di preparazione, non uno specialista, può leggerli, può capirci e può esserne anche impressionato e colpito. Tendono a colpire e a suscitare l’attenzione; tendono a convincere, e questo è quello che noi dobbiamo fare. Sempre più ci si sta muovendo su questa linea ma, forse anche il fatto che questi sono professori, questi nostri teologi, abituati a ragionare nel mondo accademico, rende loro difficile questo passaggio, e per questo, se devo esser sincero, temo che quello che avete studiato a scuola, e anche i vostri libri di scuola non possano servirvi molto!
O meglio, servono senza dubbio, sono serviti e servono come preparazione di base, che però ha bisogno di essere ripensata in un’ottica diversa: quella appunto della comunicazione della fede. E questo è difficile fare da soli, ripensare al libro, come una proposta che si è ricevuta, in un’ ottica diversa si può fare, ma, richiede impegno e anche una certa padronanza della materia e una certa acutezza. E quindi, se ci sono dei sussidi che possono aiutare a questo, questi sono benvenuti.
Qual è l’ottica dunque in cui dobbiamo porci? Secondo me è l’ottica della gente di oggi. E qui vorrei tentate brevissimamente di fare un piccolo quadretto.
Dobbiamo distinguere la gente di oggi soprattutto per fasce di età. Questo è quello che posso dire per esperienza personale, ma è anche quello che dicono quelli che pubblicano dei libri su questa materia.
1. Gli adulti, soprattutto tendenti all’anziano, dai cinquant’anni in su, possono contare ancora sul riferimento religioso cattolico di fondo. Magari, travagliato, attanagliato da mille dubbi, però almeno è un riferimento di fondo. Anche se questo riferimento è assai carente sul piano conoscitivo. Dunque, hanno il riferimento cattolico di fondo ma, sanno pochissimo. Conoscono anche pochissimo le cose fondamentali, potremmo dire quasi elementari, i concetti portanti della fede.
Davanti a costoro la proposta dei concetti base della fede trova buona e spesso anche grata accoglienza. Quando uno propone in maniera intellegibile, comprensibile per loro, organica, un po’ ordinata, un minimo motivata, questi concetti portanti che tutti conosciamo, questo trova in quelle fasce di età una risposta favorevole. Naturalmente, bisogna adattarlo con attenzione e spiegarlo bene.
2. Man mano invece, che ci avviciniamo all’età giovanile, il riferimento religioso cattolico di fondo si attenua fino quasi a scomparire nelle generazioni più giovani. Questo almeno è ciò che si rileva dalle inchieste che vengono fatte. Non scompare però, almeno in molte persone, in molti ragazzi la domanda religiosa. E non scompare neanche una certa risposta che ciascuno dà a questa domanda. Una risposta che, a suo modo, è anche una piccola esperienza; se si ha un incontro con una realtà ecclesiale, prende anche una coloritura ecclesiale, ma in altri, è semplicemente una risposta, come si dice oggi, del ‘fai da te’.
È quella che possiamo chiamare la soggettivazione della fede, che è anche molto sincretistica; può mescolare elementi che non solo non sono cattolici, ma non sono neanche cristiani. Quindi questo è ciò che troviamo.
Anche l’accoglienza della nostra proposta fondamentale, con questi è assai più problematica. Non è detto affatto che proponendo i nostri contenuti fondamentali, capiscano subito. È una cosa assai più problematica, e naturalmente questo si mescola nelle persone con i motivi di contestazione che tutti conosciamo, che sono soprattutto di due tipi: contestazione della morale che noi proponiamo, come troppo severa e rigida, non umana, non realistica, e la questione istituzionale, che in altri paesi è più radicale, ad esempio la questione della donna-sacerdote. Da noi questo è meno presente; da noi più che altro è presente la questione del potere, ma soprattutto la questione della ricchezza della Chiesa: vecchie questioni che tornano sempre a galla.
Naturalmente, quel tanto di religiosità personale che c’è, e che spesso è anche vivo e sincero, si mescola con questi motivi di contestazione che fanno da freno a trovare nella Chiesa la risposta al proprio desiderio, al proprio bisogno religioso.
E quindi, con queste persone, la fascia dei più giovani, la proposta va motivata in maniera specifica per loro, facendo leva sugli aspetti della nostra proposta, che possono incontrare i loro interessi e le loro attese. E quindi, è molto importante il piano culturale, capire, stando a contatto con loro, i loro interessi, quello che interessa loro e quello che si aspettano.
Capire, senza però adeguarsi in tutto a questo, senza prendere i loro interessi e le loro attese come l’orizzonte dentro il quale dobbiamo stare. Dobbiamo inserirci lì, ma non limitarci lì. Altrimenti non usciamo dalla prospettiva, che con un termine tecnico possiamo chiamare soggettivista; il termine è calzante ed è la prospettiva dei giovani d’oggi.
Se ci limitiamo ai loro interessi e alle loro attese, siamo anche noi dentro a questa prospettiva soggettivista e non li aiutiamo a incontrare Dio e Cristo. Non dobbiamo rinunciare a proporre i contenuti e le motivazioni oggettive, non solo soggettive, del nostro credere e del nostro vivere da cristiani.
Mai separare il credere dal vivere da cristiani. È essenziale, e questo riguarda tutti, specialmente i giovani, che la nostra proposta sia al tempo stesso una testimonianza. Questo concetto di testimonianza rimane basilare.
Anzitutto, la testimonianza personale. Nessuno può sostituirmi, se sono io che annuncio con la mia testimonianza personale di annunciatore, per quanto possibile personalmente credibile; e, nella misura del possibile, c’è bisogno della testimonianza della comunità di riferimento.
Cosa intendo con queste parole “comunità di riferimento”? In concreto: la parrocchia, il gruppo, il movimento, la famiglia, dove esiste se è possibile: quasi tutti hanno una famiglia, ma questa famiglia non è detto che sia una comunità di riferimento per la fede, a volte non lo è affatto e, anche la stessa parrocchia, tante volte non è tale da essere veramente per loro una comunità di riferimento per la fede, un ambiente in cui trovarsi. Questo concetto della testimonianza personale e comunitaria, è fondamentale.
[... il cardinale ha fatto poi riferimento ad alcuni libri utili per una formazione in merito ai temi sopra enunciati, citando:
-Armando Matteo, “La prima generazione incredula”, Rubbettino
-Giuseppe Segalla, “La ricerca sul Gesù storico” Queriniana
-Armand Puig I Tàrrech, “Gesù risposta agli enigmi”, San Paolo 2008
-Armand Puig I Tàrrech, voce “Gesù Cristo”, in “Temi teologici della Bibbia”, San Paolo
-N. T. Wright, “Resurrezione”, Claudiana 2006
-Silvio Barbaglia, “Il Gesù storico e l’origine del cristianesimo nella galassia internet”, in appendice a Giuseppe Segalla, “La ricerca sul Gesù storico”
-Manfred Lütz, “Dio, una piccola storia del più Grande”, Queriniana 2008
-Emerich Coreth: “Dio nel pensiero filosofico”, Queriniana 2004
-Progetto culturale, “Dio oggi. Con Lui o senza di Lui cambia tutto”, 2010
-Walter Kasper, “Il Dio di Gesù Cristo” Queriniana 1984
-J. Ratzinger, “Introduzione al Cristianesimo”, Queriniana
-J. Ratzinger, “Fede, Verità, Tolleranza nel cristianesimo e nelle religioni del mondo”, Cantagalli
-Giacomo Canobbio, “Il destino dell’anima. Elementi per una teologia”, Morcelliana 2009
-P.A. Sequeri nei suoi diversi contributi]
Fuori dall’ambito teologico, [...] penso che ciascuno ha i suoi interessi, nessuno può essere tuttologo.
L’importante è innanzitutto avere davvero degli interessi culturali e cercare di coltivarli. E qui la parola cultura va presa non nel suo senso accademico. Ad esempio la musica è un elemento fondamentale della cultura, e così i romanzi, così anche i linguaggi forti e molto efficaci, il cinema, i libri. Se a uno piace la musica, oppure a uno piace leggere, ecco, questa è una chiave di interlocuzione e anche di apostolato, di interlocuzione missionaria con le persone, ed in particolare con i giovani molto utile. Senza dimenticare mai che specialmente le generazioni più giovani hanno anche una mentalità scientifica e per questo bisogna capirci almeno qualcosa.
La leadership culturale è spesso affidata alle scienze, e quindi bisogna conoscerle e bisogna anche essere in grado di fare una critica dello scientismo, cioè dell’assolutizzazione della conoscenza scientifica. In concreto vuol dire: pensare che soltanto la conoscenza scientifica è conoscenza valida e anche pensare soprattutto che finalmente l’uomo come soggetto, è riconducibile tutto dentro alla scienza e alla tecnologia, dentro quella che viene chiamata la tecnoscienza, la spiegazione scientifica dell’uomo.
E questa critica si può fare non solo dall’esterno ma dall’interno delle scienze perché la struttura profonda, il metodo delle scienze, pone un limite alle loro possibilità. Infatti gli scienziati più grandi sono assolutamente consapevoli di questo limite. Tanti altri purtroppo non lo sono o non se ne rendono conto.
Ma soprattutto conta la testimonianza, non separata, non alternativa, non sostitutiva della preparazione culturale. Questo sarebbe un fraintendimento. E, con la testimonianza appunto la formazione e la vita spirituale, ossia, la vita da cristiani autentici, uomini di Dio, amici di Cristo.
Per questo non ho grandi suggerimenti, conosco questo sussidio della diocesi che è stato fatto come regola di vita per i preti di Roma, inoltre vorrei soltanto richiamarvi al magistero del nostro Vescovo Benedetto XVI. Le omelie, le catechesi e i discorsi importanti, oltre naturalmente le due encicliche. Dal nostro punto di vista di oggi specialmente le prime due la “Deus caritas est” e la “Spe salvi” che hanno veramente contenuti spirituali molto stimolanti.
Ratzinger è un teologo ma è anche un formatore, proprio per sua indole, la sua teologia ha sempre questo scopo formativo, di formazione spirituale. Ma anche qui però, al di là di questo riferimento c’è un ampio spazio per orientamenti e preferenze. Il campo della spiritualità è un campo in cui ognuno è libero di avere i suoi autori di riferimento, gli autori che lo nutrono, che lo alimentano, che corrispondono meglio anche alla sua vocazione, alla sua chiamata e alla sua indole. Basta fare attenzione che queste preferenze personali, questi autori che noi preferiamo, non contraddicano in sostanza alla missione che abbiamo come preti, e alla nostra ecclesialità, alla nostra appartenenza ecclesiale sempre in quanto preti.
In questo, ma anche nel ministero della formazione culturale, non siamo e non dobbiamo mai pensare di essere soli. Sempre per noi c’è un bisogno di ascolto, di dialogo, non soltanto con i nostri fratelli più o meno sapienti o non sapienti, ma con il Signore che ci parla da fuori, dalla Bibbia, dal mistero, dagli incontri che facciamo nella vita, etc.
Ma ci parla anche da dentro, quindi, secondo me possiamo avere un atteggiamento fiducioso e costruttivo che è l’atteggiamento essenziale, qualunque cosa uno voglia fare.
Se uno vuol fare un’impresa commerciale, minimo deve crederci, altrimenti!
E specialmente nel nostro campo: mettersi di fronte anche al problema della nostra formazione in atteggiamento fiducioso e costruttivo nel senso non di qualcosa che è impossibile, inutile, ma qualcosa che posso fare perché non sono da solo.