La ceca, allora, me pijò la mano e sospirò: - Cammina -. Era la fede. Papa Luciani presenta la fede correggendo Trilussa

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 27 /01 /2013 - 14:06 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito due testi di Papa Luciani, il primo da Illustrissimi, scritto quando non era ancora pontefice (1971), ed il secondo dall’udienza generale del 13 settembre 1978. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la loro presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (27/1/2013)

1/ Nel cuore del mistero, da Illustrissimi, di Albino Luciani

Caro Trilussa,

Ho riletto la poesia melanconicamente autobiografica, in cui racconti di esserti sperso, di notte, in mezzo al bosco, e lì incontri una vecchietta cieca, che ti dice: "Se la strada nun la sai, te ciaccompagno io, che la conosco!" Sorpresa tua: " Trovo strano che me possa guidà chi nun ce vede".

Ma la vecchietta taglia corto, ti piglia la mano e ti intima: "Cammina." È la fede. Sono d’accordo in parte con te: la fede è davvero una buona guida, una cara e saggia vecchietta che dice: metti qui il tuo piede, prendi questo sentiero che sale. Ma ciò succede in un secondo momento, quando la fede ha ormai messo radici come convinzione nella mente e di là pilota e dirige le azioni della vita.

Prima, però, la convinzione deve formarsi e piantarsi nella mente. E qui, caro Trilussa, sta oggi la difficoltà, qui il viaggio della fede si rivela non la patetica passeggiata sulla strada del bosco, ma un viaggio a volte difficile, talora drammatico e sempre misterioso.

È già difficile, intanto, aver fede negli altri, accettando, sulla parola, le loro asserzioni. Lo scolaro sente dire dal professore che la terra dista dal sole 148 milioni di chilometri. Vorrebbe controllare, ma come? Si fa coraggio e aderisce con un volitivo atto di fiducia: "Il professore è onesto ed informato, fidiamoci!".

Una madre narra al suo figliolo di anni suoi lontani, di sacrifici sostenuti per proteggerlo, guarirlo e conclude: "Mi credi? E ricorderai quanto ho fatto per amor tuo?". "Come posso non crederti?, risponde il figlio, e farò quanto posso per non essere indegno dell’amore che mi hai portato!". Questo figliolo oltre che fiducia, deve far nascere in sé, per sua madre, anche tenerezza e amore; solo così possono venire uno slancio di dedizione e un impegno di vita.

La fede in Dio è qualcosa di simile: è un sì filiale, detto a Dio, che racconta a noi qualcosa della propria vita intima: sì alle cose narrate e insieme a Colui che le narra. Chi lo pronuncia deve non solo avere fiducia, ma anche tenerezza e amare e sentirsi piccolo figlio, ammettendo: Io non sono il tipo che sa tutto, che dice l’ultima parola su tutto, che verifica tutto.

Magari sono abituato ad arrivare alla certezza scientifica con la verifica più rigorosa di laboratorio; qui, invece, devo accontentarmi di una certezza non fisica, non matematica, ma di buon senso o di senso comune.

Non solo: affidandomi a Dio, so che devo accettare che Dio possa invadere, dirigere e cambiare la mia vita. Nelle "Confessioni", caro Trilussa, Agostino è ben più concitato di te nel descrivere il suo viaggio alla fede. Prima di dire il suo sì pieno a Dio, la sua anima rabbrividisce e si torce in conflitti penosi. Di qua c’è Dio che lo invita, di là le antiche abitudini, "le vecchie amiche", che lo "tirano dolcemente per il suo vestito di carne" e gli sussurrano: "Tu ci congedi? pensa che dal momento in cui ti avremo lasciato, quella cosa non ti sarà più permessa e quell’altra neppure, e per sempre!".

Dio lo spinge a fare presto e Agostino implora: "Non subito, ancora un momento!". E continua settimane intere nell’indecisione, nel contorcimento interno, finché, aiutato da una spinta potente di Dio, prende il coraggio a due mani e si decide.

Come vedi, Trilussa, nel dramma umano della fede, si inserisce un elemento misterioso: l'intervento di Dio. Paolo di Tarso l’ha provato sulla strada di Damasco e lo descrive così: quel giorno, Signore, "mi hai ghermito": "colla tua grazia sono quello che sono".

Qui siamo nel cuore del mistero. Cos’è infatti, e come opera questa grazia di Dio? Com’è difficile il dirlo! Supponi, Trilussa, che l’incredulo sia un dormiente; Dio lo sveglia e gli dice: esci dal letto! Supponi che sia un malato; Dio gli mette in mano la medicina e gli dice: prendila! Sta di fatto che chi non crede, d’improvviso, senza che ci abbia pensato, si trova ad un certo momento a riflettere su problemi d’anima e di religione, è potenzialmente disponibile per la fede.

Dopo questo intervento, fatto "senza di noi", Dio ne opera altri, ma "con noi", cioè con la nostra libera collaborazione. A svegliarci dormienti, è stato Lui solo; a scendere dal letto, tocca a noi, anche se bisognosi, nello scendere, di altri suoi interventi. La grazia di Dio, infatti, ha la forza, ma non intende forzare; ha una santa violenza, ma adatta a far innamorare del vero, non a violare la libertà.

Può succedere che, svegliato, invitato ad alzarsi e preso per un braccio, uno si volti invece sull’altro fianco, dicendo: "Lasciami dormire!". Nel Vangelo si vedono casi del genere. "Vieni e seguimi" dice il Cristo e Levi si alza dal banco e Gli va dietro; un altro, invece, invitato, ri­sponde: "Permettimi che vada prima a seppellire mio padre" e non si fa più vedere. Sono gente, riflette mestamente Cristo, che mette mano all’aratro poi si volta indietro.

Si spiega così come, nel credere, c’è tutta una gamma che va da chi non ha mai avuto fede, a chi l’ha in misura insufficiente, ai tiepidi e rachitici nella fede, fino a quelli che hanno una fede fervente ed operosa.

Ma si spiega fino ad un certo punto soltanto, caro Trilussa. Perché alcuni di noi non credono? Perché Dio non ci fece la grazia. Ma perché non ci fece la grazia? Perché non corrispondemmo alle Sue ispirazioni. Perché non corrispondemmo? Perché, essendo liberi, abusammo della libertà. Perché abusammo della libertà? Qui è il duro, caro Trilussa, qui rinuncio a capire. Qui, invece che al passato, amo pensare all’avvenire e decido di seguire l’invito di Paolo: "Vi esortiamo a non ricevere invano (in avvenire) la grazia di Dio".

***

Caro Trilussa! Il Manzoni definisce "giocondo prodigio e convito di grazia" il ritorno dell’Innominato alla fede. Se n’intendeva, era "ritornato" anche lui. Si tratta di un convito sempre imbandito e aperto a tutti. Per quanto mi riguarda, io cerco di approfittarne tutti i giorni, rimettendo in piedi oggi la vita di fede buttata giù coi peccati di ieri. Chissà se i cristiani che, come me, si sentono ora buoni, ora peccatori, con me accetteranno di fare i "bravi convitati"?

Settembre 1971

2/ Catechesi di Giovanni Paolo I nell’Udienza generale del mercoledì 13 settembre 1978

Vivere la fede

Il mio primo saluto va ai miei confratelli vescovi, che vedo qui numerosi.

Papa Giovanni, in una sua nota, che è stata anche stampata, ha detto: « Stavolta ho fatto il ritiro sulle 7 lampade della santificazione ». 7 virtù, voleva dire e cioè fede, speranza, carità, prudenza, giustizia, fortezza, temperanza. Chissà se lo Spirito Santo aiuta il povero Papa oggi ad illustrare almeno una di queste lampade, la prima: la fede.

Qui, a Roma, c'è stato un poeta, Trilussa, il quale ha cercato anche lui di parlare della fede. In una certa sua poesia, ha detto: «Quella vecchietta ceca, che incontrai / la sera che mi spersi in mezzo ar bosco, / me disse: - se la strada nun la sai / te ciaccompagno io, che la conosco. / Se ciai la forza de venimme appresso / de tanto in tanto te darò na voce, / fino là in fonno, dove c'è un cipresso, / fino là in cima, dove c'è una croce. / Io risposi: Sarà... ma trovo strano / che me possa guidà chi nun ce vede... / La ceca, allora, me pijò la mano / e sospirò: - Cammina -. Era la fede».

Come poesia, graziosa; come teologia, difettosa. Difettosa perché quando si tratta di fede, il grande regista è Dio, perché Gesù ha detto: nessuno viene a me se il Padre mio non lo attira. S. Paolo non aveva la fede, anzi perseguitava i fedeli. Dio lo aspetta sulla strada di Damasco: «Paolo - gli dice - non sognarti neanche di impennarti, di tirar calci, come un cavallo imbizzarrito. Io sono quel Gesù che tu perseguiti. Ho disegni su di te. Bisogna che tu cambi! ». Si è arreso, Paolo; ha cambiato, capovolgendo la propria vita.

Dopo alcuni anni scriverà ai Filippesi: «Quella volta, sulla strada di Damasco, Dio mi ha ghermito; da allora io non faccio altro che correre dietro a Lui, per vedere se anche io sarò capace di ghermirlo, imitandolo, amandolo sempre più». Ecco che cosa è la fede: arrendersi a Dio, ma trasformando la propria vita. Cosa non sempre facile.

Agostino ha raccontato il viaggio della sua fede; specialmente nelle ultime settimane è stato terribile; leggendo si sente la sua anima quasi rabbrividire e torcersi in conflitti interiori. Di qua, Dio che lo chiama e insiste, e di là, le antiche abitudini, «"vecchie amiche" - scrive lui -; e mi tiravano dolcemente per il mio vestito di carne e mi dicevano: "Agostino, come?!, tu ci abbandoni? Guarda, che tu non potrai più far questo, non potrai più far quell'altro e per sempre!"». Difficile! «Mi trovavo - dice - nello stato di uno che è a letto, al mattino. Gli dicono: "Fuori, Agostino, alzati!". Io invece, dicevo: "Sì, ma più tardi, ancora un pochino!". Finalmente il Signore mi ha dato uno strattone, sono andato fuori. Ecco, non bisogna dire: Sì, ma; sì, ma più tardi. Bisogna dire: Signore, sì! Subito! Questa è la fede. Rispondere con generosità al Signore. Ma chi è che dice questo sì? Chi è umile e si fida di Dio completamente!».

Mia madre mi diceva quand'ero grandetto: da piccolo sei stato molto ammalato: ho dovuto portarti da un medico all'altro e vegliare notti intere; mi credi? Come avrei potuto dire: mamma non ti credo? Ma sì che credo, credo a quello che mi dici, ma credo specialmente a te.

E così è nella fede. Non si tratta solo di credere alle cose che Dio ha rivelato ma a Lui, che merita la nostra fede, che ci ha tanto amato e tanto fatto per amore nostro. Difficile è anche accettare qualche verità, perché le verità della fede son di due specie: alcune gradite, altre ostiche al nostro spirito.

Per esempio, è gradito sentire che Dio ha tanta tenerezza verso di noi, più tenerezza ancora di quella che ha una mamma verso i suoi figlioli, come dice Isaia. Com'è gradito e congeniale. C'è stato un grande vescovo francese, Dupanloup, che ai rettori dei seminari era solito dire: con i futuri sacerdoti, siate padri; siate madri. È gradito. Con altre verità, invece, si fa fatica. Dio deve castigare; se proprio io resisto. Egli mi corre dietro, mi supplica di convertirmi ed io dico: no!, quasi sono io a costringerlo a castigarmi. Questo non è gradito. Ma è verità di fede.

E c'è un'ultima difficoltà, la Chiesa. S. Paolo ha chiesto: Chi sei Signore? - Sono quel Gesù che tu perseguiti. Una luce, un lampo ha attraversato la sua mente. Io non perseguito Gesù, manco lo conosco: perseguito invece i cristiani. Si vede che Gesù e i cristiani, Gesù ela Chiesa sono la stessa cosa: inscindibile, inseparabile.

Leggete San Paolo: «Corpus Christi quod est Ecclesia». Cristo e Chiesa sono una sola cosa. Cristo è il Capo, noi, Chiesa, siamo le sue membra. Non è possibile aver la fede, e dire io credo in Gesù, accetto Gesù ma non accetto la Chiesa. Bisogna accettare la Chiesa, quella che è, e come è questa Chiesa? Papa Giovanni l'ha chiamata «Mater et Magistra». Anche maestra. San Paolo ha detto: «Ognuno ci accetti come aiuti di Cristo ed economi e dispensatori dei suoi misteri».

Quando il povero Papa, quando i vescovi, i sacerdoti propongono la dottrina, non fanno altro che aiutare Cristo. Non è una dottrina nostra, è quella di Cristo; dobbiamo solo custodirla, e presentarla. Io ero presente quando Papa Giovanni ha aperto il Concilio l'11 ottobre 1962.

Ad un certo punto ha detto: Speriamo che con il Concilio la Chiesafaccia un balzo avanti. Tutti lo abbiamo sperato; però balzo avanti, su quale strada? Lo ha detto subito: sulle verità certe ed immutabili. Non ha neppur sognato Papa Giovanni che fossero le verità a camminare, ad andare avanti, e poi, un po' alla volta, a cambiare. Le verità sono quelle; noi dobbiamo camminare sulla strada di queste verità, capendo sempre di più, aggiornandoci, proponendole in una forma adatta ai nuovi tempi.

Anche Papa Paolo aveva lo stesso pensiero. La prima cosa che ho fatto, appena fatto Papa, fu di entrare nella Cappella privata della Casa Pontificia; lì in fondo Papa Paolo ha fatto fare due mosaici: San Pietro e San Paolo: San Pietro che muore, San Paolo che muore; ma sotto San Pietro ci sono le parole di Gesù: Pregherò per te, Pietro, perché non venga mai meno la tua fede. Sotto San Paolo, che riceve il colpo di spada: ho consumato la mia corsa, ho conservato la fede. Voi sapete che nell'ultimo discorso del 29 giugno, Paolo VI ha detto: dopo quindici anni di pontificato, posso ringraziare il Signore; ché ho difeso, ho conservato la fede.

È madre anche la Chiesa. Se è continuatrice di Cristo e Cristo è buono: anche la Chiesa deve essere buona; buona verso tutti; ma se per caso, qualche volta ci fossero nella Chiesa dei cattivi? Noi ce l'abbiamo, la mamma. Se la mamma è malata, se mia madre per caso diventasse zoppa, io le voglio più bene ancora.

Lo stesso, nella Chiesa: se ci sono, e ci sono, dei difetti e delle mancanze, non deve mai venire meno il nostro affetto verso la Chiesa. Ieri- e finisco - mi hanno mandato il numero di «Città Nuova»: ho visto che hanno riportato, registrandolo, un mio brevissimo discorso, con un episodio. Un certo predicatore Mac Nabb, inglese, parlando ad Hyde Park, aveva parlato della Chiesa. Finito, uno domanda la parola e dice: belle parole le sue. Però io conosco qualche prete cattolico, che non è stato coi poveri e si è fatto ricco. Conosco anche dei coniugi cattolici che hanno tradito la loro moglie; non mi piace questa Chiesa fatta di peccatori.

Il Padre ha detto: ha un po' ragione, ma posso fare un'obiezione? - Sentiamo - Dice: scusa, ma sbaglio oppure il colletto della tua camicia è un po' unto? - Dice: sì, lo riconosco. - Ma è unto, perché non hai adoperato il sapone, o perché hai adoperato il sapone e non è giovato a niente? No, dice, non ho adoperato il sapone.

Ecco. Anche la Chiesa cattolica ha del sapone straordinario: vangelo, sacramenti, preghiera. Il vangelo letto e vissuto; i sacramenti celebrati nella dovuta maniera; la preghiera ben usata sarebbero un sapone meraviglioso capace di farci tutti santi. Non siamo tutti santi, perché non abbiamo adoperato abbastanza questo sapone. Vediamo di corrispondere alle speranze dei Papi, che hanno indetto e applicato il Concilio, Papa Giovanni, Papa Paolo. Cerchiamo di migliorarela Chiesa, diventando noi più buoni. Ciascuno di noi e tuttala Chiesa potrebbe recitare la preghiera ch'io sono solito recitare: Signore, prendimi come sono, con i miei difetti, con le mie mancanze, ma fammi diventare come tu mi desideri.

Io devo dire una parola anche ai nostri cari ammalati, che vedo lì. Lo sapete, Gesù ha detto: mi nascondo dietro a loro; quello che viene fatto a loro vien fatto a me. Quindi nelle loro persone noi veneriamo il Signore stesso e auguriamo che il Signore sia loro vicino, li aiuti, e li sostenga.

A destra invece ci sono gli sposi novelli. Hanno ricevuto un grande sacramento; facciamo voti che questo sacramento ricevuto sia veramente apportatore non solo di beni di questo mondo, ma più di grazie spirituali. Nel secolo scorso c'era in Francia Federico Ozanam, grande professore; insegnava alla Sorbona, ma eloquente, ma bravissimo! Suo amico era Lacordaire, il quale diceva: «È così bravo, è così buono, si farà prete, diventerà un vescovone, questo qui!». No! Ha incontrato una brava signorina, si sono sposati.

Lacordaire c'è rimasto male, e ha detto: «Povero Ozanam! È cascato anche lui nella trappola!». Ma due anni dopo, Lacordaire venne a Roma, e fu ricevuto da Pio IX. «Venga, Padre, - dice - venga. Io ho sempre sentito dire che Gesù ha istituito sette sacramenti: adesso viene Lei, mi cambia le carte in tavola; mi dice che ha istituito sei sacramenti, e una trappola! No, Padre, il matrimonio non è una trappola, è un grande sacramento!». Per questo facciamo di nuovo gli auguri a questi cari Sposi; che il Signore li benedica!