Chi è l’autore cercato dai sei personaggi? Me lo ha spiegato una diciassettenne, di Giovanni Fighera

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 08 /01 /2013 - 00:21 am | Permalink | Homepage
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Riprendiamo dal sito della rivista Tempi un articolo di Giovanni Fighera pubblicato il 30/12/2012.  Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (8/1/2013)

Avete mai capito chi cercano i sei personaggi di Pirandello? La semplicità del cuore e la purezza dello sguardo sanno cogliere la verità più di tanti discorsi e di tante elucubrazioni di eruditi e di intellettuali. Con questa affermazione non intendo certo svilire gli studi letterari, la seria critica letteraria, la filologia in nome di un soggettivismo nella lettura delle opere. Intendo, però, sottolineare che la letteratura nasce da un uomo e parla di un uomo e dell’uomo. E per comprenderla, quindi, dobbiamo interrogarla e incontrarla come si incontra una persona e mettere in campo non solo le nostre conoscenze e competenze, ma tutta la nostra persona e la nostra umanità.

Ecco brevemente che cosa è accaduto l’altro giorno a scuola durante un’ora di Caffè letterario. Il Caffè letterario si tiene una volta al mese su un libro assegnato come lettura. Dopo una discussione guidata su alcuni punti che maggiormente hanno colpito segue un breve momento conviviale di assaggio di dolci preparati dagli studenti. Il libro assegnato per il mese era il dramma di Pirandello Sei personaggi in cerca d’autore. Tra le domande più significative emerse nel dialogo con gli studenti eccone una: chi cercano i sei personaggi? Ovvero qual è l’autore di cui hanno bisogno perché la loro esistenza si tramuti in vita, perché loro possano vivere, compiersi, realizzarsi?

Con sicurezza tanto quanto con semplicità una ragazza alza la mano e dice: «L’autore è il maestro di cui abbiamo tutti bisogno nella vita. Ma l’autore è anche Dio, è di Lui che abbiamo bisogno, è Lui che cerchiamo». Questa è la stessa conclusione a cui è arrivato lo scrittore e drammaturgo Giovanni Testori che tra l’altro ha scritto un’opera teatrale dedicata ai Promessi sposi sull’impalcatura dei Sei personaggi in cerca d’autore pirandelliani, ovvero I promessi sposi alla prova, nella cui conclusione l’autore presenta la necessità per ogni uomo di avere un maestro. Dando una sua personale interpretazione all’opera teatrale di Pirandello, Testori arriva poi ad affermare che l’autore di cui i personaggi sono alla ricerca è Dio, cancellato dalla cultura odierna.

Vale la pena ora ricordare che quando il dramma I sei personaggi in cerca d’autore uscì nel 1921 non venne compreso. Se leggiamo recensioni e possibili interpretazioni dell’opera nei decenni successivi, per lo più si incontrano letture dal punto di vista meta teatrale, si utilizza la distinzione tra persona e personaggio, si parla di critica al teatro borghese e ancora di riflessione sull’incomunicabilità tra gli esseri umani.

Nella prefazione apposta all’edizione del 1925 Pirandello scrive: «Io ho voluto rappresentare sei personaggi che cercano un autore. Il dramma non riesce a rappresentarsi appunto perché manca l’autore che essi cercano; e si rappresenta invece la commedia di questo loro vano tentativo, con tutto quello che essa ha di tragico per il fatto che questi sei personaggi sono stati rifiutati».

Al di là delle molteplici interpretazioni che sono state date al testo, ci sembra che la chiave di lettura più efficace sia quella profetica. Il genio di Pirandello aveva percepito nei primi decenni del Novecento la perdita della figura del padre nella cultura contemporanea e ne descrive le tragiche conseguenze. Nella conclusione del dramma Pirandello anticipa il baratro e l’istinto autodistruttivo che attirano l’uomo contemporaneo. Ora facciamo un passo indietro e ripercorriamo le linee essenziali dell’opera.

Sei personaggi (il padre, la madre, la figliastra, il figlio, il giovinetto, la bambina) si presentano al capocomico pretendendo che venga rappresentato il loro dramma. La loro storia è, infatti, stata scritta, ma non è stata rappresentata. L’autore li ha abbandonati dopo averli creati. Il padre esclama: «L’autore che ci creò, vivi, non volle, poi, o non poté materialmente metterci al mondo dell’arte. E fu un vero delitto […] perché chi ha la ventura di nascere personaggio vivo può ridersi anche della morte. Non muore più!».

Più avanti ancora, rivolgendosi al capocomico che vuole il copione, insiste: «Il dramma è in noi; siamo noi; e siamo impazienti di rappresentarlo, così come dentro ci urge la passione!». L’uomo ha urgenza di vita, non vuole solo esistere, ma vuole vivere, profondamente e drammaticamente vivere, con entusiasmo.

A causa della loro insistenza il capocomico dapprima interrompe la rappresentazione dell’opera in corso, poi chiede alla strana nuova compagnia di dare indicazioni agli attori sulla rappresentazione del loro dramma. Dopo aver mostrato insofferenza per la mancata corrispondenza della recita alla loro storia, i personaggi pretendono e ottengono di essere loro stessi a recitare o meglio a vivere.

Sulla scena i sei personaggi così mettono in scena la loro storia. Scopriamo che un uomo (padre) ha sposato una donna (madre) generando un figlio. Col tempo, però, scema l’amore tra i due sposi. Innamoratasi del segretario del marito, la madre si allontana dalla famiglia per costituire un’unione col nuovo amante. Da questa nasceranno tre figli (la figliastra, il giovinetto, la bambina).

Dopo alcuni anni muore il segretario e la donna si trova sola con l’onere del sostegno dei figli. La madre ritorna al paese del primo marito senza dirgli nulla. La figlia maggiore (figliastra) inizia a lavorare nell’atelier di Madama Pace su suggerimento della madre. Lì ben presto per arrotondare si trova a fare la prostituta. Un giorno, però, si presenta come cliente il primo marito della madre. L’incesto è impedito solo all’ultimo momento.

A questo punto, forse preso dal rimorso o dal desiderio di risarcire in qualche modo la famiglia, il padre accoglie in casa la moglie e i tre figli non legittimi. Si crea, però, nella casa un clima surreale, di forte disagio. La convivenza è, infatti, un motivo di ricordo costante dei due drammi familiari. La figliastra, il fanciullino e la bambina hanno perso il padre (segretario), ma non riescono a vedere nella nuova figura maschile un personaggio paterno. La tragedia è alle porte. Un giorno il fanciullino trova la sorellina annegata in una vasca, si spara un colpo di rivoltella e muore. Il pubblico pensa che sia solo una finzione teatrale, ma non è così. La tragedia si è compiuta davvero!

Nell’opera compaiono alcuni segnali interni che permettono di comprendere chi sia l’autore che ricercano i personaggi. La storia raccontata è, infatti, quella di un padre assente e di personaggi che non riescono a vivere, perché sono stati abbandonati dal loro «autore». Pirandello mette a tema una delle perdite più drammatiche dell’epoca contemporanea. L’anatema che grava sull’uomo contemporaneo è pesante. L’umanità senza padre (tradizione, radici, origine, Dio) perde la sua identità e smarrisce la strada. Rischia, così, l’autodistruzione. Senza padre la bambina e il bimbo si suicidano.

La gioventù odierna (non tutta, fortunatamente!) cerca spesso il sonno e la distrazione, nel peggiore dei casi l’annientamento e l’autodistruzione nella forma di suicidi palesi o celati (droghe, alcool, corse spericolate, …). Il suicidio è la seconda causa di morte tra i giovanissimi. La prima causa di mortalità è rappresentata dagli incidenti stradali che nascono spesso da una volontà di rischio, di trasgressione, di annichilimento. L’incidente stradale è spesso un suicidio travestito. Senza padre, oggi, i giovani perdono l’energia vitale, appaiono abulici, sempre più inetti e incapaci ad affrontare la sfida della realtà.