Realtà o immaginazione? L'aborto post-nascita. Dove si abbatte la frontiera che divide la fantascienza dalla scienza, di Luciano Capone
Riprendiamo dal sito “l’Occidentale” un articolo scritto da Luciano Capone e pubblicato il 5/3/2012. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (9/12/2012)
Se una sola uccisione potesse saziare questa mano, non ne avrei perpetrata nessuna. Anche uccidendone due è un numero troppo piccolo per il mio odio. Se qualche creatura si nasconde ancora nel mio grembo, mi frugherò le viscere con la spada e la estrarrò col ferro.
(Medea)
I neonati sono pre-persone, è legittimo ucciderli? È legittimo uccidere neonati? Due ricercatori italiani, sul prestigioso Journal of Medical Ethics, hanno scritto che non è moralmente condannabile e non dovrebbe esserlo nemmeno penalmente. Ma come è possibile legalizzare un omicidio? Basta sostituire il termine “infanticidio” con il termine “aborto post-natale” e il gioco è fatto.
Il titolo dell’articolo di Alberto Giubilini e Francesca Minerva è Aborto post-natale: perché il neonato dovrebbe vivere? Secondo i due lo status morale di un neonato è equivalente a quello di un feto, non può essere considerato una persona: se è possibile sopprimere un feto, è legittimo anche sopprimere un bambino. Secondo gli “scienziati” anche molti ritardati mentali non possono essere considerati “persone”, ma la loro eliminazione è più complicata, evidentemente sopprimerli da piccoli rende la cosa meno problematica. Se a Sparta la morte sul monte Taigeto toccava ai bambini disabili, i due ricercatori vanno oltre e legittimano l’infanticidio per tutti i bambini, senza fare discriminazioni.
Sia chiaro non sono dei sanguinari come Medea, per loro è sempre preferibile il meno traumatico aborto. Ma se cambiano le condizioni psicologiche ed economiche dei genitori e il neonato diventa un peso insopportabile, non è giusto impedire ai genitori di uccidere il proprio bambino. È vero, ci sarebbe l’adozione, ma solo degli integralisti e oscurantisti cattolici non riescono a capire che l’adozione può essere un trauma per la madre; l’infanticidio sembra la soluzione migliore perché non dà i sensi di colpa di una scelta reversibile come l’adozione.
Vi risparmio le altre bestialità scritte, il punto attorno a cui tutto il ragionamento ruota è: essere un “essere umano” non è una ragione sufficiente per avere il diritto alla vita. La dignità di un essere umano non è un valore assoluto, ma una gara a punti, si acquisisce lentamente e si può anche perdere (leggi eutanasia).
Philip Dick aveva previsto tutto. Un suo racconto, Le pre-persone, iniziava così: «Walter stava giocando a nascondino quando vide il furgone bianco e capì subito cos’era: “È il furgone bianco dell’aborto. È venuto a prendere qualche bambino per un aborto post-partum. E forse”, pensò, “l’hanno chiamato i miei genitori. Per me”». Dick è un autore di culto per molte generazioni, è lo scrittore dai cui romanzi fantascientifici sono stati tratti film come Minority Report, Blade Runnner, Atto di forza, Paycheck.
Non era un papaboy né un boyscout, ma un impasticcato, uno che si faceva di anfetamine, un anarco-comunista, un visionario che scriveva di fantascienza per criticare la postmodernità e farsi domande sulla realtà e sull’uomo. Partendo da un’esperienza personale (pare che la moglie abbia abortito contro la sua volontà), Dick scrisse Le pre-persone, un anno dopo la Roe vs Wade, la sentenza che legalizzava l’aborto negli Stati Uniti.
Nel suo racconto aveva previsto i deliri dell’utilitarismo bioetico, immaginando un mondo in cui i bambini sotto i dodici anni vengono considerati pre-persone. «I genitori sfruttano un’estensione della vecchia legge sull’aborto… Un dottore poteva eliminarne un centinaio al giorno, ed era legale perché il bambino non ancora nato non era “umano”. Era una pre-persona… hanno solo spostato in avanti l’età in cui l’anima entra nel corpo. Il Congresso aveva adottato un semplice metro per stabilire con una certa approssimazione questo importante momento: la capacità di comprendere le operazioni matematiche complesse, l’algebra».
Walter, il ragazzino protagonista del racconto, ha paura del camion degli aborti che portano i bambini ad essere “aspirati”, ma viene rimproverato dalla madre «Stammi a sentire… tu hai un’anima; la legge dice che ogni ragazzo dai dodici anni in su ne ha una», ma il bambino non capisce, non si sente diverso rispetto a quando era una pre-persona. Se ha un’anima adesso ce l’aveva anche allora, oppure l’anima non esiste, non l’ha mai avuta e non ce l’ha nemmeno adesso. Se è il governo a decidere quando hai l’anima, non puoi mai essere al sicuro, «metti che modificano il regolamento?» si chiede Walter.
Dick centra il punto del dibattito attorno al diritto alla vita e alla dignità umana «Il vero e primo errore degli abortisti è stata la linea di demarcazione arbitraria che hanno tracciato… Ma dove andava tracciata? Quando il bambino sorride per la prima volta? Quando dice le sue prime parole? Il termine legale fu inesorabilmente spostato sempre più in avanti. Fino alla più selvaggia e arbitraria delle definizioni: la capacità di eseguire operazioni di “matematica complessa». Nel racconto c’è chi si ribella, un padre vuole scappare col figlio, ce n’è un altro che si denuncia per poter essere rinchiuso col figlio, dice di non saper più fare le operazioni algebriche. Il sistema va in crisi, può un laureato in matematica essere “aspirato” e ucciso se ha dimenticato come fare le divisioni? Non vi svelo il finale. Ciò che emerge forte dal racconto è che «Il nome di tutto questo casino è omicidio. Uccidili quando sono delle dimensioni di un’unghia, o quando sono lunghi come una mazza da baseball, o anche dopo, se non li hai ancora fatti fuori, risucchia tutta l’aria dai polmoni di un bambino di dieci anni e lascialo morire».
Il ragionamento dei due ricercatori italiani non fa una grinza: se il feto non è persona, non lo è nemmeno due secondi dopo, per il semplice fatto di essere uscito dall’utero. Riflessioni del genere, che portano alle estreme conseguenze le premesse relativiste ed utilitariste, pongono interrogativi principalmente alla cultura abortista e materialista.
Quando una vita è degna di essere vissuta? Quando si acquisisce il diritto a vivere? A questi interrogativi radicali non si può rispondere con limiti arbitrari o con la libertà di scelta. Sulla vita umana non si possono accettare spostamenti discrezionali della linea di demarcazione: «Sono stato sempre accusato di offendere le persone per quello che scrivo – disse Philip Dick – droghe, comunismo e ora anti-abortismo, mi metto sempre nei casini. Scusate gente, ma sul tema delle pre-persone non ho nulla di cui scusarmi. Come dovrebbe aver detto Martin Lutero: Hier steh Ich; Ich kann nicht anders (qui sto, non posso fare altro)».