E Solov’ëv accusò Tolstoj sull’Anticristo, di Mario Iannaccone
Riprendiamo da Avvenire del 5/11/2010 un articolo scritto da Mario Iannaccone. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (7/11/2012)
Nel 1991, il cardinale Giacomo Biffi pubblicava un libretto che non ha perso di attualità: «Attenti all’anticristo! L’ammonimento profetico di S.V. Solov’ëv». che illuminava, in particolare, il dialogo fra Vladimir Solov’ëv e Tolstoj, profeta senza fede. Non pare che Tolstoj, fino alla morte avvenuta il 7 novembre del 1910, abbia reagito alla critica che il primo aveva mosso ne «Il racconto breve dell’Anticristo», a quel 'Vangelo tolstojano' che prevedeva cinque regole (pacifismo, castità, ripudio del giuramento, non violenza, umanitarismo), ma ripudiava il Cristo risorto. Eppure il riferimento a Tolstoj come 'tipo' di neocristiano, in quel testo, era chiarissimo.
Nel 1900, vicino alla morte, Solov’ëv aveva profetizzato che il nuovo secolo avrebbe portato guerre, repressioni sanguinose per i cristiani e persecuzioni di nuovo tipo: «la fede sarà perseguitata, forse meno brutalmente che ai giorni di Nerone, ma più sottilmente e crudelmente: per mezzo della menzogna, dell’inganno, della falsificazione».
Ne «Il racconto breve dell’Anticristo», dello stesso 1900, anticipava in modo impressionante l’avvento di un certo attuale spiritualismo, evangelico ma anticristiano. Quello di chi si arruola apparentemente al servizio del bene e della nostra salvezza, ammantandosi del Vangelo e dei suoi valori; di chi usa un linguaggio abbastanza conforme a quello di Gesù «così da indurre in errore, se possibile, anche gli eletti» (Mt 24,24) e forma dei «falsi apostoli» che si «mascherano da discepoli di Cristo» (2Cor 11,13). Di chi usa un linguaggio umanitario, inclusivo, antropocentrico, libertario, che abolisce ogni differenza, che nega soprattutto la presenza del male.
Nella finzione del racconto di Solov’ëv, l’Anticristo è un uomo di genio che conquista il potere nei futuri Stati Uniti d’Europa presentandosi come 'un convinto spiritualista', umanitario, attento a fare soltanto il bene di tutti, perché memore degli insegnamenti di Cristo. È pacifista, ecologista, filantropo, animalista, crede nei benefici della scienza e nel perdono per tutti.
Le masse, conquistate dal suo messaggio, lo seguono. Rimane dubbioso, in disparte, un 'piccolo resto' di cattolici, ortodossi, e qualche protestante che intuisce che qualcosa non va, che non è soddisfatto, che infine riconosce l’ultimo papa, Pietro II quando s’accorge dell’inganno supremo.
Non li ha convinti il fatto che quell’uomo di pace, quello spiritualista tolstojano, dimostri avversione per tre cose: che Gesù abbia diviso gli uomini secondo il bene e il male; che Gesù si sia proclamato l’unico Salvatore (dice l’Anticristo di Soloviev: «Egli è uno dei tanti… il salvatore perfetto e definitivo sono io, che ho purificato il suo messaggio da ciò che è inaccettabile per l’uomo di oggi»); che, soprattutto, sia creduto vivo, che sia vivo, tanto da ripetere istericamente: «Lui non è tra i vivi e non lo sarà mai. Non è risorto, non è risorto! È marcito, marcito nel sepolcro…».
Il cristianesimo senza Resurrezione di Tolstoj, dopo cent’anni, è diffusissimo, ha preso mille nomi e si è vestito delle mille, cangianti iridescenze del Serpente. Ma non è difficile da riconoscere.