Porre alcune tipiche espressioni del cattolicesimo contro il cattolicesimo stesso: la strana sorte del romanico, di Dante, di Michelangelo, di Caravaggio, ecc. ecc. secondo alcuni critici (di L.d.Q.)

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 22 /04 /2008 - 23:36 pm | Permalink | Homepage
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Dario Fo ha scritto alcuni anni fa un libro sulla storia del duomo di Modena per dimostrare l’assunto che quel duomo è stato voluto dal popolo contro l’imperatore, contro il papa ed il vescovo stesso. L’argomentazione poggia sulla situazione di sede vacante nella quale sarebbe stata presa dalla popolazione la decisione della costruzione del duomo. Le raffigurazioni dei musici, dei giullari, ecc. ecc. nei capitelli starebbero a dimostrare la libertà di quell’operazione anti-ecclesiale. Lo straordinario è che, però, gli stessi personaggi sono rappresentati in tutte le cattedrali romaniche! E che quelle cattedrali richiesero decenni e decenni per essere realizzate, proprio come il duomo di Modena, con il consenso evidente di generazioni succedutesi nel tempo. È così difficile ammettere che, allora, si deve piuttosto mutare l’idea della chiesa medioevale che ci si è fatta e che essa sia stata di una libertà e bellezza differenti da quelle che si cerca di presentare, esaltando una singola costruzione come eccezione luminosa perché anti-cattolica?

Talvolta si pretende, allo stesso modo, che la possibilità di criticare le istituzioni ecclesiastiche sia nata in età moderna e che questo atteggiamento sia stato assolutamente anatematizzato nel Medioevo. Che dire allora di Dante e della sua Commedia? E dei papi da lui posti all’Inferno? E dei suoi scritti sul rapporto fra papato ed impero? Si noti bene ancora: la scorciatoia di opporre Dante al cattolicesimo, come se egli avesse scritto di queste cose perché svincolato dalla chiesa, è assolutamente falsa! Egli scrive così proprio perché uomo pienamente medioevale, esattamente come i costruttori del duomo di Modena. Egli può criticare i pontefici ed insieme dire di Bonifacio VIII:
E se non fosse ch’ancor lo mi vieta
la reverenza de le somme chiavi
che tu tenesti ne la vita lieta,
io userei parole ancor più gravi
(Canto XIX dell’Inferno, vv.100-103).
È così difficile riconoscere che il cattolicesimo medioevale era così libero? Così fedele al papa e perciò così libero?

Strane appaiono anche certe riletture del Rinascimento romano e del barocco. Michelangelo sarebbe stato così grande perché amico di Vittoria Colonna (cioè secondo alcuni critici, perché un po’ protestantico)? O non è piuttosto da rivedere la concezione che i critici si fanno dell’ambiente culturale pontificio che era capace non solo di apprezzare la libertà michelangiolesca, ma anzi se ne faceva promotrice in prima persona? Quei pretesi vincoli iconologici e culturali che lo avrebbero costretto sono davvero tali oppure una visione storicamente più aderente alla realtà del cattolicesimo dell’età rinascimentale mostra quanto gli spazi espressivi fossero ben più ampi di quanto si cerca di accreditare? E Michelangelo, dunque, non è proprio una delle espressioni del cattolicesimo del suo tempo?

Il discorso potrebbe proseguire all’infinito. Si può ricordare però ancora almeno il caso di Caravaggio. Nello studio pubblicato nel catalogo della straordinaria mostra Caravaggio, l’ultimo tempo (1606-1610), Ferdinando Bologna, del Comitato scientifico della mostra stessa, più volte cerca di collegare la figura del pittore ad ambienti che si sarebbero opposti alla chiesa ufficiale. Rilegge in questa chiave alcuni documenti relativi alle Opere di misericordia commissionato al Caravaggio dal Pio Monte della Misericordia di Napoli e, più in generale, cerca di accreditare una lettura dell’opera caravaggesca che confermi le parole del Villari che è esplicitamente citato: “La questione va considerata nel quadro dell’ultima resistenza interna all’indirizzo della Controriforma, una resistenza che è alimentata tanto dalle zone di indisciplina e di licenza morale, quanto dal tentativo di riaprire all’interno della Chiesa il dibattito teologico e filosofico” (F.Bologna, Caravaggio l’ultimo tempo (1606-1610), in AA VV, Caravaggio. L’ultimo tempo (1606-1610), Electa, Napoli, 2004, p.19).
È così difficile, anche qui, adottare una prospettiva più corretta per accorgersi che Caravaggio è, piuttosto, un protetto dell’ambiente pontificio che ama il suo genio, pur contestandolo talvolta, e fa di tutto per salvargli la vita e restituirlo al suo lavoro di pittore? È Caravaggio, insomma, a dover essere riletto come testimone di un segreto anti-cattolicesimo e questa sua distanza o addirittura avversione sarebbe la chiave di lettura per comprendere la sua poetica? Oppure piuttosto deve mutare la pre-comprensione che taluni critici e storici hanno dei primi anni del ‘600 per accorgersi che è l’ambiente culturale del cattolicesimo di quel tempo ad essere ben diverso dagli stereotipi con i quali lo si comprende e che saltano, invece, dinanzi all’evidenza di un Caravaggio che trova naturale cercare rifugio presso i “crociati” del tempo, i cavalieri di Malta in lotta contro i Turchi nel Mediterraneo, e che, una volta fuggito da Malta godendo evidentemente di appoggi adeguati, continua a lavorare liberamente e pubblicamente in Sicilia, mentre a Roma si cerca di revocargli, con successo, la condanna a morte che ha ricevuto per omicidio?