La “statuetta del Buon Pastore”, la Fronte di sarcofago con il Buon Pastore e il collegio apostolico e il Frammento di sarcofago con Cristo e gli Evangelisti su una nave, di Umberto Utro (tre opere paleocristiane in esposizione al Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione)
Riprendiamo sul nostro sito il testo delle tre schede preparate dal dott. Umberto Utro dei Musei Vaticani in occasione del Sinodo sulla Nuova evangelizzazione e pubblicate sul Bollettino ufficiale del Sinodo stesso l’8/1/2012. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti sul periodo paleocristiano, vedi le sezioni Arte e fede e Roma e le sue basiliche.
Il Centro culturale Gli scritti (21/10/2012)
La nuova evangelizzazione, ripartendo dalle origini della fede cristiana. E’ questo il senso dell'esposizione allestita nell'atrio dell'Aula Paolo VI e curata dai Musei Vaticani in occasione della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Tre i reperti cristiani antichi che "accompagneranno" il lavoro dei Padri Sinodali e degli altri partecipanti all'assise sinodale. Le opere, dall'alto valore storico ed artistico, provengono dalle catacombe e rappresentano immagini simboliche del Cristianesimo primitivo; la loro scelta è stata curata dal Museo Pio Cristiano, dove le opere sono conservate.
1/ La “statuetta del Buon Pastore”, di Umberto Utro
fine del III - inizi del IV sec. d.C., marmo bianco, cm 100 x 36 x 27
Dal complesso delle catacombe di S. Callisto a Roma (ante 1764),
Città del Vaticano, Musei Vaticani, Museo Pio Cristiano, inv. 28590
La statuetta del Buon Pastore è il reperto più celebre della collezione di reperti cristiani antichi custoditi nei Musei Vaticani ed è senz'altro, tout court, una delle immagini simboliche del Cristianesimo primitivo.
Questo splendido monumento fa parte di un gruppo di opere acquisite per liberalità del papa Clemente XIII Rezzonico (1758-1769), che le destinò alla collezione di antichità cristiane contenute nel Museo Sacro o Cristiano della Biblioteca Apostolica Vaticana, fondato nel 1756 per illuminata volontà di papa Benedetto XIV (1740-1758), predecessore di Clemente. Tra queste opere vanno ricordati soprattutto una serie di sarcofagi cristiani dei primi secoli ornati da rilievi figurati, entrati nel Museo Sacro della Biblioteca attraverso acquisti dello scultore Giuseppe Angelini (1735-1811), effettuati nel fiorente mercato antiquario di antichità cristiane che allora era attivo nella città di Roma, in seguito ai ritrovamenti nelle catacombe che s'andavano esplorando proprio fra Sei e Settecento.
Tutte le opere giunte al Museo furono opportunamente restaurate e integrate: le fronti dei sarcofagi istoriati furono spesso distaccate dalle casse integre ritenute inservibili in quanto prive di rilievi, anche per permetterne l'affissione alle pareti alte del Museo. In alcuni casi i "restauri" furono vere e proprie rilavorazioni, al punto da non distinguere più i tratti stilistici originari; talvolta si trasformò persino l'aspetto dell'opera, travisandone l'originaria destinazione, come nel caso della celebre opera che qui presentiamo.
Val la pena, per comprendere l'operazione dell'Angelini, rileggere le sue stesse parole, così come sono riportate nei conti da lui presentati per ricevere il suo compenso: "Essendomi capitato un pezzo di Fragmento di Bassorilievo rappresentante la figura del Buon Pastore è stato da me ristaurato [ ... ], ed essendo approvati li modelli si è eseguito il lavoro di Marmo, quale è stata ridotta ad una buona figurina di Proporzione palmi 4 ½ ed il tutto importa Scudi cento" (Archivio Segreto Vaticano, Sacri Palazzi Apostolici, Computisteria 309, Reg. 216 (anno 1764), p. 2). Come risulta evidente da un'attenta lettura, il nostro 'Buon Pastore' in verità non era dunque in origine una statua, bensì un "fragmento di Bassorilievo", la cui forma, in seguito all'intervento, "è stata ridotta ad una buona figurina" a tutto tondo, alta circa un metro.
Se si osserva con attenzione l'opera, si può apprezzare, eliminando idealmente le aggiunte stesse, la sagoma piuttosto bidimensionale della figura, coerente con la sua realtà di "bassorilievo", o più propriamente, d'altorilievo. Esempi analoghi permettono oggi di ricostruire l'aspetto originario del reperto quale frammento, appunto, di un monumentale sarcofago, verosimilmente strigilato, secondo la ricostruzione ipotetica [...].
Se la romantica figura della statuetta è allontanata, così, dal nostro immaginario, non va invece sminuita la straordinaria valenza iconografica di tale opera. La raffigurazione di un pastore con un agnello sulle spalle, così come di scene genericamente pastorali, era assai diffusa nell'arte antica, riferita ad una pluralità di temi positivi, fra i quali il più significativo appare quello della filantropia (humanitas, in latino): il dio Mercurio, infatti, ma anche l'eroe Ercole, conducevano pietosamente le anime dei defunti nell'aldilà, caricandosele sulle spalle come appunto un pastore porta un agnello. Immagini di pastori "criòfori" (in greco, "portatori di un ariete") erano, pertanto, frequentissime nelle espressioni artistiche dell'antichità greco-romana, intese come personificazioni virtuose della bontà verso il genere umano.
I cristiani dei primi secoli trovarono del tutto naturale utilizzare queste stesse immagini artistiche per veicolare attraverso di esse un contenuto nuovo: la rivelazione, appunto, di Gesù quale Buono (e Bel) Pastore, secondo le parole di Giovanni. L'immagine evangelica del Pastore richiama, a sua volta, uno dei temi più significativi della cultura biblica ebraica. Dio stesso, infatti, nell'Antico Testamento si rivela pastore del suo popolo (cfr. Ez 34; Sal 23) ed i profeti promettono che egli farà germogliare dal suo popolo un pastore di sua scelta, dal nome simbolico di Davide che esprime la regalità del Messia: "Susciterò per loro un pastore che le pascerà, Davide-mio-servo. Egli le condurrà al pascolo, sarà il loro pastore; io, il Signore, sarò il loro Dio e Davide-mio-servo sarà principe in mezzo a loro" (Ez 34, 23-24). Quando Gesù si definisce "buon pastore" rivendica, dunque, la sua identità messianica e la sua figliolanza divina e si rivela guida del popolo della Nuova Alleanza.
I Padri della Chiesa spiegano estesamente il significato profondo di questo straordinario antico simbolo che noi chiamiamo semplicemente il "Buon Pastore", giocando soprattutto sulle espressioni linguistiche della discesa e dell'ascesa, come si può desumere di quel "casto Pastore" di cui si dichiara discepolo Abercio, nella celebre iscrizione, "il quale pascola greggi di pecore per monti e pianure".
La discesa verso la pianura diventa, infatti, simbolo dell'incarnazione di Gesù: "una discesa straordinaria dovuta a un eccesso di amore per gli uomini, per ricondurre, secondo l'espressione misteriosa della divina Scrittura, ‘le pecore perdute della casa di Israele’ discese dai monti" (Origene, Contro Celso, 4, 17).
La discesa (katabasis, in greco) del pastore diviene immagine della sua kénosis, cioè del suo "abbassamento", "umiliazione": Egli - sostiene san Paolo - "pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce" (Fil 2, 6-8).
Come Origene in Oriente, anche Ireneo di Lione (fine del II sec.) riprende la parabola sinottica del "buon pastore", quella cioè della pecorella smarrita (cfr. Mt 18, 12-14; Lc 15, 3-7): "Il Signore è venuto a cercare la pecora che si era perduta, ed è l'uomo che si era perduto" (Dimostrazione della predicazione apostolica, 33).
Ma la "discesa" del Pastore divino nella sua incarnazione è anche la sua discesa nella morte, compimento estremo della sua kénosis: la parabola della pecorella smarrita è compresa, allora, come "parabola della Passione" (Pseudo Cipriano, Sulla centesima parte, 10), indicando come Cristo, morendo, "è disceso nelle profondità della terra per cercarvi la pecorella smarrita" (Ireneo, Contro le eresie, 3, 19, 3).
Proprio Ireneo, però, riprendendo un'immagine della lettera agli Ebrei (“ha fatto risalire dai morti il grande pastore delle pecore”: 13, 20), porta a pieno compimento la ricca simbologia del pastore, mostrando infine la sua ascesa (anabasis, in greco), la sua risalita dai morti, la Risurrezione: "dopo essere disceso per noi nelle profondità della terra per cercarvi la pecorella smarrita [ ... ], risale in alto per offrire e ridare al Padre suo l'uomo così ritrovato" (Contro le eresie, 3, 19, 3).
E conclude Origene: "Per una sola piccola pecora che si era smarrita, egli è disceso sulla terra; l'ha trovata; l'ha presa sulle spalle e riportata in cielo" (Su Giosuè, 7, 16).
Ecco quale ricchezza di significati si cela in quel pastore con un agnello sulle spalle.
Ecco per qual motivo il simbolo pagano della filantropia poté ben esprimere la filantropia di Dio, rivelata in Cristo: "Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna" (Gv 3, 16). Poco importa di stabilire se le figure di pastori "criofori" che ci sono giunte da quel momento prezioso di contatti culturali e spirituali, quale fu il III secolo, siano state realmente sempre create in ambiente cristiano: noi possiamo riconoscere in ogni caso, con la guida delle scritture bibliche e patristiche, senza paura di sbagliare, il vero Pastore del quale esse ci parlano.
In qualche caso l'identificazione appare comunque più sicura, ad esempio laddove la figura del Pastore, ormai idealizzata, assunse - come in questo, che è il più celebre fra tutti gli esempi - il volto di Apollo, dio fallace della bellezza e dell'eloquenza, il quale si piega tuttavia, in quella libertà espressiva già apprezzata, ad illustrare un' antica immagine biblica riferita al Messia: "Tu sei il più bello tra i figli dell'uomo, sulle tue labbra è diffusa la grazia, ti ha benedetto Dio per sempre" (Sal 45, 3).
2/ Fronte di sarcofago con il Buon Pastore e il collegio apostolico, di Umberto Utro (Musei Vaticani)
ca. 375-400 d.C. marmo bianco, cm 60 x 221 x 11 Dal Cimitero di Ciriaca (o S. Lorenzo)?;
quindi nella basilica di S. Lorenzo fuori le Mura;
poi a Santa Maria Nuova (S. Francesca Romana);
dal 1757 nel Museo Cristiano di Benedetto XIV;
dal 1854 nel Museo Pio Cristiano Città del Vaticano, Musei Vaticani, inv. 31534 (ex 177)
L'ampia fronte di sarcofago, oggi isolata dalla cassa originaria e priva del coperchio, è interamente ornata di rilievi: al centro è la figura di Cristo, con il volto apollineo nimbato, raffigurato come "buon pastore" in atto di carezzare alla sua destra un agnello; ai suoi fianchi si dispongono, su ciascun lato, due teorie di sei personaggi virili in tunica e pallio, variamente atteggiati (gli apostoli, fra cui si distinguono, a destra e a sinistra di Cristo, i tratti fisionomici di Pietro e di Paolo) e, ai loro piedi, di sei agnelli, comprendendo il primo alla destra di Cristo. Alle estremità del campo iconografico, due altri pastori (dal volto non caratterizzato) si prendono cura di altri ovini, entro un paesaggio agreste.
Il sarcofago è un pregevole esempio dell'arte aulica a Roma nell'età dell'imperatore Teodosio (379-395), che vide la produzione di manufatti scultorei raffinati, sempre più attenti a rappresentare in immagini la nuova consapevolezza della comunità ecclesiale la quale, dall'età della Pace costantiniana, era ormai giunta, alla fine del secolo, al ruolo di unico referente religioso riconosciuto dallo Stato (editto di Tessalonica, 380).
Si moltiplicano così, sulle fronti dei sarcofagi, le scene che mostrano la dignità regale del Cristo, circondato dagli apostoli come da dignitari; si diffondono le immagini enfatiche della maiestas Domini e della traditio Legis; s'ingigantiscono, nel partito decorativo, le scene bibliche dalla valenza trionfale, come l'ingresso in Gerusalemme, la presentazione a Pilato (dove Cristo si manifesta quale vero re), la guarigione del paralitico di Bethesda (con la figura centrale del Cristo taumaturgo), o ancora il grandioso Passaggio del Mar Rosso (con Mosè che vi prefigura Cristo, guida e salvatore del nuovo popolo).
Ma al di là del sostrato sociale, è il pensiero teologico della comunità stessa - che si fa più approfondito e sistematico - a manifestarsi nelle opere d'arte prodotte nel suo seno. Così, la fronte di sarcofago qui considerata costituisce anche una pagina mirabile, scritta in immagini, della Cristologia e dell'Ecclesiologia del tardo IV secolo, che qui desideriamo tratteggiare.
Si consideri, innanzi tutto, la figura del Pastore. Se le scene pastorali e 1'immagine già "pagana" del pastore criòforo ("che porta un agnello") avevano popolato le fronti dei sarcofagi fra la metà del III e il primo IV secolo, veicolando - in un passaggio interculturale di sorprendente naturalezza - la figura evangelica del Buon Pastore (cfr. Gv 10, 11), la libertà espressiva seguita alla Pace di Costantino ne aveva causato una progressiva scomparsa, in favore delle più esplicite scene dei miracoli di Cristo, che meglio evidenziavano la potenza salvifica del Salvatore.
Qui invece la figura di Cristo, Buon Pastore, torna al centro della raffigurazione, il suo volto umano, prestatogli dal fallace dio della bellezza e dell'eloquenza, ne manifesta la natura celeste, così come il nimbo circolare, mutuato proprio in quegli anni dall'iconografia pagana. Questa figura del Pastore va, tuttavia, compresa in collegamento al collegio apostolico che lo affianca, in un sorprendente accostamento iconografico.
I Dodici appaiono, infatti, raffigurati canonicamente in sontuose vesti, in gesto di acclamazione o di adlocutio, o semplicemente reggenti un rotolo, tutti rivelandosi "discipuli" in dialogo con il loro "magister". Ma è qui la sorpresa: il Maestro che altre raffigurazioni sugli stessi sarcofagi ci hanno abituato a riconoscere in una figura ugualmente e riccamente panneggiata si presenta qui invece umilmente vestito da pastore, con la sua tunica corta e la mantellina abbottonata sulle spalle. Anzi, egli mostra di accarezzare il primo di una serie di dodici agnelli, i quali, posti ai piedi degli apostoli, si manifestano non altro che immagine ribadita degli apostoli stessi, in quella che è forse la più comune delle "sostituzioni zoomorfe" paleocristiane, che traducono in simbolici animali i personaggi biblici (si pensi al Gesù pesce, o appunto agnello; agli apostoli agnelli o altrove colombe, eccetera). Solitamente, le teorie di agnelli/apostoli si rivolgono, però, a un agnello centrale, Cristo, rappresentato di solito sul monte apocalittico, come in molte raffigurazioni conosciute.
Sul nostro sarcofago si è dunque operata la fusione di due diverse tipologie iconografiche: il collegio apostolico presieduto dal Maestro "filosofo" e gli agnelli/apostoli che si volgono all'agnello/Cristo. Il trait d'union concettuale di questa singolare, duplice composizione è proprio nella sua figura centrale: la teologia giovannea del Buon Pastore, cardine di tanta parte del pensiero cristologico delle origini cristiane, si fonde qui a una considerazione ecclesiologica sul collegio apostolico e sul servizio pastorale nella comunità cristiana del tardo IV secolo.
Se la missione degli apostoli è quella di pascere il gregge affidato loro dal Signore (cfr. 1 Pt 5, 2) ammaestrando i fedeli nella verità del suo Vangelo, è pur vero che questo munus pastorale deriva loro dall'ufficio di Gesù stesso, "il pastore supremo" (1 Pt 5, 4), il Buon Pastore appunto raffigurato al centro (cioè a capo) di questo collegio. Proprio in tal senso, nel gesto di tenerezza che Gesù rivolge all'agnello alla sua destra, in corrispondenza dell'apostolo Pietro, si può udire l'eco delle parole rivolte a lui dal Risorto: "pasci i miei agnelli" (Gv 21, 15-17).
Pietro, il corìfeo degli apostoli, come il Vangelo rivela in più punti e come l'iconografia sottolinea ponendolo come primo alla destra del Signore, viene esplicitamente indicato come 1'agnello/pastore degli altri agnelli/pastori suoi compagni. Non è fuori luogo un riferimento all'organizzazione sempre più definita, in questo tempo, della struttura gerarchica della Chiesa, e della coscienza primaziale della "sede apostolica" di Roma, favorita proprio dai due papi della seconda metà del IV secolo, Damaso (366-384) e Siricio (384-399).
Si osservi, infine, alla sinistra di Cristo, la presenza di Paolo, che ha ormai sostituito nell'iconografia l'apostolo traditore, imponendosi nell'immaginario ecclesiale sul Mattia degli Atti (cfr. At 1, 26) e collocandosi definitivamente quale corrispettivo simmetrico di Pietro, come già nelle scene di maiestas e traditio (per ribadire in tal modo le origini apostoliche della Chiesa romana, luogo del martirio dei due apostoli, ma anche l'unità delle anime occidentale ed orientale della cristianità).
I pastori che accarezzano gli agnelli alle estremità della fronte del sarcofago chiudono, infine, la raffigurazione (anche come pendant iconografico del Cristo/pastore centrale) e forniscono la chiave interpretativa ultima per le due teorie di apostoli: essi sono infatti "inviati" (come dice il loro nome) a pascere il suo popolo con amore, e ascoltano dal loro grande "pastore" l'invito che costituisce l'explicit del Vangelo di Matteo: "Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro fissato. Quando lo videro, gli si prostrarono innanzi [ ... ]. E Gesù, avvicinatosi, disse loro: "Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo!" (Mt 28, 16-20).
3/ Frammento di sarcofago con Cristo e gli Evangelisti su una nave, di Umberto Utro (Musei Vaticani)
ca. 325-350 d.C., marmo bianco, cm 20 x 46 x 7,5
Provenienza sconosciuta; quindi a Spoleto, località Apostoli, riutilizzato quale elemento murario;
acquistato da G.B. de Rossi e donato infine al Museo Pio Cristiano da Natalia Ferraioli de Rossi, 1931.
Città del Vaticano, Musei Vaticani, Museo Pio Cristiano, inv. 31594.
Questo piccolo frammento del coperchio di un sarcofago, degli inizi del IV secolo, si ricollega alle tante raffigurazioni marine frequenti nell'arte antica greco-romana, e spesso utilizzate nella decorazione dei sarcofagi. Vi si riconosce un'imbarcazione dalla prua slanciata e basso scafo, guidata da un nocchiero dalla folta chioma e ricco abito, mentre tre rematori coperti dal solo perizoma ne seguono gli ordini.
La nave si muove su un mare mosso da onde, mentre a destra si vede a malapena una superstite porzione del basamento di un faro. Iscrizioni poste a mo' di didascalia a fianco delle figure ne chiariscono l'identità: il nocchiero a destra è Gesù (Iesus) - di cui s'intuiva l'iconografia del volto apollineo, per quanto parzialmente sberciato - e i rematori sono invece, procedendo verso sinistra, Marcus, Lucas e [Io]annes, i nomi di tre degli evangelisti, che hanno fatto ipotizzare coerentemente, oltre la frattura, la presenza del quarto evangelista, Matteo.
La generica nave che appare su tanti sarcofagi e iscrizioni antiche riceve dunque, su questo frammento, la sua più vera identità: essa rappresenta, infatti, la Chiesa, la quale, come la barca della tempesta sedata (cfr. Matteo 8, 23-27 e paralleli), "sul mare del mondo è scossa dalle onde delle persecuzioni e delle tentazioni, mentre il Signore nella sua pazienza sembra dormire, fino al momento ultimo in cui, svegliato dalla preghiera dei santi, padroneggia il mondo e ridona la pace ai suoi" (Tertulliano, De Baptismo, 12, 8).
All'inizio delle sue Omelie, nella lettera indirizzata a Giacomo (14, 1), anche 1'autore delle Pseudo-Clementine afferma che "il corpo intero della Chiesa somiglia ad una grande nave, che trasporta in una violenta tempesta uomini di provenienze lontane". Egli precisa anche che di questa nave Cristo è il pilota - come proprio il nostro frammento fa ben vedere -, il vescovo è la vedetta, mentre i diaconi, i presbiteri e i catechisti sono i rematori.
Anche Ippolito di Roma riprende (De antichristo, 59) la stessa analogia, ribadendo che "il mare è il mondo; la Chiesa, come una nave, è scossa dai flutti, ma non sommersa: ha infatti con sé un pilota esperto, il Cristo", mentre "ha come timone i due Testamenti".
Altri Padri sottolineano il significato delle varie parti di questa nave, in particolare riferendosi all'albero maestro, che simboleggia nella sua forma la Croce; tuttavia qui ci preme sottolineare il riferimento alle Scritture proposto da Ippolito e l'importanza data da Clemente, nella composizione dell'equipaggio della nave, ai catechisti: questi infatti istruiscono i fedeli nella fede, e primariamente sulla Scrittura e i Vangeli, e sono dei veri protagonisti nell'opera di diffusione e comprensione del “lieto annuncio” della salvezza.
Gli evangelisti che sospingono la barca guidata da Cristo, non possono infatti che riferirsi all'invito che Gesù rivolge ai suoi al termine del racconto evangelico: "Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo" (Marco 16, 15); "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo" (Matteo 28, 19).
La barca condotta dagli evangelisti e guidata da Cristo al porto della salvezza è anche, in conclusione, un' immagine efficace dell'inarrestabile diffusione del messaggio cristiano (il kérygma, con parola greca), di quell'euanghélion, “lieto annuncio”, che, accolto, conduce alla salvezza (il battesimo, come ingresso nella vita nuova), e che, grazie alla capillare diffusione dei testi evangelici, si è propagato - proprio attraverso le vie del mare - sulle rive del mondo antico.