Roma, bambina sfrontata, di Marina Corradi

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 25 /09 /2012 - 15:42 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo dal sito della rivista Tempi un articolo di Marina Corradi pubblicato nel n. 38 del 2012.  Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Di Marina Corradi vedi su questo stesso sito la pagina Articoli di Marina Corradi.

Il Centro culturale Gli scritti (25/9/2012)

Roma, settembre. Appena tre ore e il FRECCIAROSSA allunga il suo elegante muso rosso da serpente dentro la stazione Termini, ansante della corsa a duecento all’ora. Fuori il sole abbaglia chi viene da Milano. (È diverso il sole, da noi, all’inizio dell’autunno. Più pallido, come già arreso, e la luce più gentile e più chiara).

Qui, è estate piena. Sotto ai cappelli i turisti sono paonazzi: storditi dal caldo o forse dalla troppa bellezza. Conquisti un taxi, declini un indirizzo. L’autista parte di corsa e al primo incrocio pianta una grande frenata. “Te possino…”: sibila all’indirizzo di un furgone al quale pure, stando al codice della strada, doveva la precedenza. Ma tu non osi farglielo notare.

Il tassista preme sull’accelleratore: tu, inquieta, ti aggrappi a una maniglia mentre l’auto sobbalza sui sampietrini. Incrociamo una pattuglia di vigili che sembra non notare che andiamo a ottanta all’ora. Il tassista poi nemmeno li guarda. Sperando di indurlo a rallentare balbetti qualcosa sul tempo. Il tassista: “Ma questi der meteo ce provano, so’ tre giorni che dicono pioggia a Roma, e invece c’è il sole: magari ar quarto ce azzeccano pure”. E tu dietro sorridi; sei a Roma da tre minuti e già sorridi.

“E quella volta l’inverno scorso che ha nevicato e la città è impazzita? Ma ora le avete comprate le catene?” domandi. “Guardi - replica l’autista - io a Roma la neve l’ho vista du’ volte nella vita: a quindici anni e a quaranta l’anno scorso. Ora quindi per artri venticinqueanni non nevica più, Che le compro a fa le catene?”. Sorridi ancora; Roma, ogni volta , riesce a farti sorridere. È una bambina sfrontata, che se ne frega di ciò che è corretto e per bene, e a cui si perdona tutto, perché è così viva.

Da Milano, un’altra galassia. Nel caos mediterraneo, negli oleandri sgargianti che si sporgono profumati dai cancelli dei giardini: e in quell’alito sottile e costante di vento, dal mare. Roma, che ha costruito le sue case in mezzo. E anche sopra ai ruderi millenari, senza alcuna soggezione per quei resti orgogliosi: anzi camminandoci addosso, in confidenza. Ruderi su cui i glicini e edere si sono abbarbicati, ricoprendo i vecchi muri; dai quali sbuca spesso un gatto dal passo pigro, indolente- come di chi stia in casa sua, e non tema nessuno. E pigro è il Tevere, che senza una increspatura oggi scorre lento sotto ai ponti: della città quasi l’anima, placida, imperturbabile nella sua eternità.

Roma bella come una donna, di una bellezza abbondante, sensuale. Chissà perché, ti chiedi, proprio lei scelta per fondare, sopra a una pietra, la chiesa di Cristo? Forse perché Cristo voleva abitare in strade profondamente terrestri, per niente ascetiche ma colme invece di odori e di profumi: voleva la sua Chiesa in mezzo agli uomini, per strade strette, storte, echeggianti di voci e grida e giochi di bambini. (Giocano ancora, in certe piazzette verso il ghetto, i ragazzini a Pallone). Forse perché il Verbo voleva come sua casa, delle città del mondo, la più gloriosa di vecchie dimenticate vittorie: la più splendidamente carnale.