L’islam e la parità uomo-donna. Tunisia pronta a un’altra rivolta, di Camille Eid
Riprendiamo da Avvenire del 15/8/2011 un articolo scritto da Camille Eid. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (17/9/2012)
Migliaia di persone sono scese in piazza a Tunisi lunedì sera per contestare il partito islamico Ennahda al potere e protestare contro il principio della “complementarietà dei sessi” che potrebbe essere inserito nella nuova Costituzione tunisina. I manifestanti chiedono il ritiro della contestata bozza dell’articolo 28, già approvato da una Commissione parlamentare, secondo cui lo Stato si impegna a «garantire la protezione dei diritti della donna sulla base del principio di complementarietà con l’uomo in seno alla famiglia e in quanto associata all’uomo nello sviluppo del Paese».
«Popolo svegliati, Ennahda ti sta derubando. Siamo pronti a una nuova rivoluzione», urlava la gente in piazza nella capitale. Secondo numerose organizzazioni della società civile e partiti moderati, l’articolo incriminato mette in serio pericolo il principio di uguaglianza tra i sessi garantito dal Codice di statuto personale adottato nel 1956. E dire che circa un anno fa, l’Alta Commissione incaricata di preparare le elezioni dell’Assemblea Costituente, tenutesi il 24 luglio 2011, aveva adottato una decisione storica stabilendo il principio di parità tra uomini e donne nella composizione delle liste, i cui nomi dovevano comparire alternati.
La Tunisia, insieme alla Turchia, è da tempo all’avanguardia nel mondo islamico nel rispetto dei diritti della donna. Le cifre dell’emancipazione parlano chiaro: le donne rappresentano il 30% della popolazione attiva, il 42% del mondo associativo (ci sono 140 associazioni femminili), il 44% delle forze dell’industria, il 25% dei magistrati, il 30% degli insegnanti nei licei, il 50% dei medici, il 30% dei farmacisti, il 30% dei giornalisti, il 55% degli studenti universitari. Tutto ciò è stato possibile grazie a una lettura riformista dell’islam.
Preso alla lettera, il Corano sancisce infatti la superiorità dell’uomo sulla donna affermando che «gli uomini sono preposti alle donne, a causa della preferenza che Allah concede agli uni rispetto alle altre e perché spendono (per esse) i loro beni».
Le disparità vanno dalla poligamia, con la possibilità per l’uomo di contrarre contemporaneamente fino a quattro matrimoni, al divieto per la donna di contrarre matrimonio con un non musulmano, al ripudio unilaterale del coniuge da parte del marito. Inoltre, la sharia stabilisce l’attribuzione ai figli maschi di una quota doppia dell’eredità rispetto a quella riconosciuta alle femmine e considera la testimonianza di due donne al tribunale equivalente a quella di un solo uomo. In particolare, le donne devono essere sempre soggette alla tutela di un uomo, sia esso il padre, il fratello o il marito.
Di queste norme coraniche il primo presidente della Tunisia, Habib Bourghiba, aveva proposto un adattamento della lettera alla modernità, ricorrendo talvolta alle scappatoie giuridiche. Non solo ha concesso il diritto di voto alle donne già nel 1956, ma ha anche abolito la poligamia. Davanti alla protesta generale degli ulema ha risposto che la poligamia nel Corano è condizionata all’equità di trattamento per le varie mogli. Ma siccome, aggiungeva Bourghiba, in un altro versetto si afferma che l’uomo non può mai essere equo, allora non resta che sposarne una sola.