Educare i giovani all’ascolto della Parola e alla preghiera come innamoramento di Cristo, di Carlo Maria Martini
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Riprendiamo dal sito Presbiterio Romano la trascrizione di una meditazione del cardinale Carlo Maria Martini con l’introduzione che la presentava. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Su Martini maestro della Parola di Dio vedi su questo stesso sito anche:
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Il Centro culturale Gli scritti (4/9/2012)
Il testo è stato tratto direttamente dalla registrazione e non è stato rivisto dall’autore. Anche la sistemazione del testo è nostra e ha il solo scopo di facilitarne la lettura online. Trascrizione a cura di Giulia Balzerani.
Io vivo quasi sempre ormai a Gerusalemme e sono immerso in quella realtà, ma su questo tema parlerò in modo non teorico, grazie alla mia esperienza a Milano. Userò un metodo narrativo, racconterò delle storie. Inizierò da un ricordo che mi riguarda personalmente, perché Giovanni Paolo II, nel suo libro “Alzatevi, andiamo”, parla del vescovo come seminatore e servitore della Parola e dice: "Compito del vescovo, infatti, è di farsi servitore della parola. Proprio come maestro egli siede sulla cattedra, quel seggio posto emblematicamente nella Chiesa detta " Cattedrale “. Egli vi siede per predicare, per annunciare e per spiegare la parola di Dio".
Il Papa aggiunge che ci sono diversi collaboratori del Vescovo nell'annuncio della Parola: i sacerdoti, i diaconi, i catechisti, i maestri, i professori di teologia e anche laici colti e fedeli al Vangelo. Ma prosegue (e questo mi tocca più da vicino):
"Tuttavia nessuno può sostituire la presenza del Vescovo che si siede sulla Cattedra o che si presenta all'ambone della sua chiesa vescovile e personalmente spiega la parola di Dio a coloro che ha radunato attorno a sé. Anch'egli, come lo scriba divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche. Mi piace qui menzionare il cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo emerito di Milano, le cui catechesi nella cattedrale della sua città attiravano moltitudini di persone, alle quali egli svelava il tesoro della parola di Dio. Il suo non è che uno dei numerosi esempi che provano come sia grande nella gente da fame della parola di Dio. Quanto è importante che questa fame venga saziata! Sempre mi ha accompagnato la convinzione che se voglio saziare negli altri questa fame interiore, occorre che, sull'esempio di Maria, ascolti io per primo la parola di Dio e la mediti nel mio cuore ".
Ho citato questa pagina perché mi ricorda momenti bellissimi vissuti nella cattedrale di Milano, in particolare con migliaia e migliaia di giovani in ascolto silenzioso della parola di Dio. Vorrei anche ricordare le parole dette da Benedetto XVI in piazza S. Pietro, quando si è messo a spiegare ai giovani in modo bellissimo la lectio divina e poi mi ha citato come un esempio presente in Italia.
Io ricordo bene il periodo tra marzo e aprile 1980, quando io ero arrivato a Milano da qualche mese ed ero incerto, non sapevo bene cosa fosse un vescovo, cosa fosse un programma pastorale e quale fosse il cammino da proporre. Mi si avvicinarono alcuni giovani e mi dissero: “Ci insegni un po’ come pregare a partire dalla Parola di Dio”. Io accettai e dissi loro di prendere un appuntamento per maggio, avrei fatto una spiegazione e mi ricordo che in quel maggio 1980 si radunarono circa duecento giovani nella sede del seminario antico di Milano in corso Venezia, seduti sul prato.
Io spiegai come pregare a partire dalla Parola e alla fine della mia spiegazione dissi: “Bene, ora siamo a maggio, l’estate è imminente e molti partiranno per le vacanze, se volete a settembre ci rivediamo”. Pensavo che su duecento sarebbe stato un successo se almeno cento si fossero ricordati di questo appuntamento e quel primo giovedì di settembre andai nel Duomo senza guardare la gente, non volevo vedere se c’erano vuoti e mi diressi all’altare. C’erano almeno cinquecento persone, io feci la mia spiegazione della Scrittura e pensai: “Adesso c’è l’effetto novità, al prossimo incontro si dimezzeranno”, ma la volta successiva erano migliaia e così fu in un crescendo continuo, fino ad arrivare in poco tempo a riempire il Duomo di Milano che contiene, solo per i posti a sedere, circa seimila persone, senza contare tutti quelli che si sedevano per terra, sugli altari, sui gradini.
Io facevo questa spiegazione e poi chiedevo dieci minuti di silenzio per mettersi a contatto con il testo. Tutti avevano a disposizione il testo scritto e una matita per scrivere note e in quei dieci minuti non volevo nemmeno musica, solo silenzio. Era un silenzio meraviglioso che riuscivamo ad ottenere anche nei momenti più difficili, quando il Duomo di Milano d’inverno diventa una sorta di frigorifero e si deve stare con la giacca a vento. Non c’era comunque nessuno che parlasse. Era bellissimo vedere tanti giovani arrivare a migliaia da ogni parte della Diocesi, poi cominciarono ad arrivare da altre Diocesi, poi dalla Svizzera italiana e dalla Svizzera francese per vedere il metodo che usavo.
Questa esperienza meravigliosa è durata circa sei-sette anni, poi ci siamo resi conto che la cattedrale non bastava più, era necessario seminare questo metodo altrove e abbiamo scelto circa 70 grandi chiese della Diocesi dove con lo stesso tema, alla stessa ora, si facevano questi incontri di lectio divina. La cosa è continuata per parecchi anni e credo continui ancora adesso, anche se non lo so esattamente e mi ha mostrato che i giovani si innamorano della Parola. Mi sono chiesto e mi chiedo davanti a voi, anzi spesso mi hanno anche chiesto: “Qual era il segreto di tutto questo?”.
Non c’era alcun segreto particolare, è chiaro che l’invito personale del vescovo giocava un certo ruolo, non escluderei questo aspetto, però l’elemento fondamentale era l’appello alla loro intelligenza e alla loro creatività. Io non facevo né una catechesi, né una esegesi, né una spiegazione del testo, ma lo presentavo, così che loro potessero, mediante le domande che io ponevo loro, rileggerlo e penetrarlo. Anzi, a volte dicevo loro: “Quando voi arrivate a dire che quella pagina che state leggendo parla di voi, avete raggiunto il risultato e potete andare avanti da soli! Meglio ancora, quando arrivate a dire che parla a voi, avete raggiunto il risultato della lectio divina personale”. Mi sforzavo di aiutarli a raggiungere questo risultato, e devo dire che ancora adesso ricevo lettere da giovani che mi dicono che sono stati a quegli incontri e che da allora hanno intrapreso un cammino forte di vita cristiana.
La cosa era semplicissima, quando entravano c’era un primo canto, poi si leggeva un salmo, magari con qualche breve spiegazione metodologica per la preghiera, poi veniva la lettura del testo, fatta da uno di loro e infine la mia introduzione alla lectio che appunto non era né una catechesi, né una esegesi, ma si sforzava di metterli a contatto con il testo. Poi c’era il silenzio assoluto per dieci minuti e dovevano concentrarsi sul testo e rispondere alle domande e la conclusione con qualche canto.
Questo metodo sembra facile, ma è molto difficile, infatti quando ho iniziato a chiamare i preti e i laici per prepararli a fare gli incontri, nel periodo in cui abbiamo dovuto estendere ad altre chiese della Diocesi questa iniziativa, mi sono reso conto di quanto sia difficile per i preti non fare una catechesi, un’omelia. Per loro è spontaneo, invece io volevo che si desse solo l’input, il trampolino di lancio. Ho elaborato un piccolo metodo che ho spiegato in tanti libri, che non è l’unico metodo di lectio divina, ma io cercavo qualcosa che si potesse imparare a memoria e si potesse far usare anche alle persone più semplici. Mi sono così concentrato su tre parole: lectio, meditatio e contemplatio, spiegandole però bene.
Lectio: lettura e rilettura del testo così da metterne in risalto la struttura, gli elementi portanti, i soggetti, gli aggettivi che indicano i sentimenti, le azioni, il contesto. Qui mi rivolgo soprattutto ai preti, non dite: “Io questo testo lo conosco, so cosa dire in proposito”. No! “Questo testo non lo conosci, lo devi leggere più volte, sottolineare le parole, gli aggettivi, i verbi, perché il testo riprenda vita, ritorni come nuovo”. Adesso consiglio a chi ha il computer, di mettere il testo sul computer e lavorarci sopra, cercare di vederne la struttura, chiedersi qual è la parola centrale del testo, quali i temi fondamentali. La lectio diventa un far rivivere il testo, per cui quando ho davanti una pagina biblica è come se la vedessi per la prima volta e la rielaboro così da leggervi veramente cose nuove. Raccomando questo tipo di lectio ai preti per ritrovare la novità di ogni brano della Bibbia.
Meditatio: nella lectio si cerca di rispondere alla domanda su cosa dice il testo, nella meditatio mi chiedo cosa mi dice il testo, cioè i valori perenni del testo. Qui c’è modo di presentare quali sono i valori che valevano allora, ma valgono anche oggi. Ieri dovevo tenere una lectio su At 17, il discorso di Paolo all’Areopago, che sembrerebbe un discorso fuori dalla nostra realtà. Invece ho fatto notare come sia un discorso contro gli idoli, che oggi ci sono, e sono tanti, ci sono quelli visibili, che possiamo denunciare, guadagno, sessualità, ambizione, e quelli invisibili, quelli pericolosi che lavorano dentro e creano persuasioni sbagliate senza che ce ne accorgiamo. E lì ho cominciato a spiegare la teoria del filosofo del 1500 Francesco Bacone, sulla suddivisione in idola tribus, idola specus, idola fori e idola theatri. Un politico è molto sottomesso agli idola theatri, cioè quando deve parlare in pubblico sembra che abbia il permesso di dire bugie, di fare false promesse. Per gli idola tribus pensiamo alla schiavitù, parte integrante della mentalità della stirpe, per cui una stirpe inferiore poteva essere schiavizzata. Tutti questi idoli che sono alla base di peccati sociali sono menzionati da Paolo, ma hanno valore anche oggi e la meditazione ci porta al momento presente.
Sto leggendo il libro su Gesù di Benedetto XVI, molto bello, anche se secondo me il titolo è sbagliato, perché non dovrebbe essere Gesù di Nazaret, ma, Gesù di Nazaret ieri e oggi, perché il papa percorre tutta la storia della Chiesa, parla di Chernobil, della schiavitù, dell’economia dei Paesi poveri, è una vera meditatio che arriva ad applicare il testo biblico all’oggi.
Contemplatio: è la cosa più difficile da fare in pubblico, la risposta alla domanda: “Che cosa dico a Gesù che mi ha parlato nel testo?”
È una lettura che porta alla preghiera, e su questo Benedetto XVI ha detto parole bellissime. Lettura che porta alla preghiera, altrimenti diventa una lettura scientifica, esegetica, invece deve portare alla familiarità con Gesù. Questo è un punto veramente fondamentale, ne parla anche Giovanni Paolo II nella Novo millennio ineunte, dove dice che questa lectio divina orienta e plasma l’esistenza, quindi ha un’efficacia per cambiare la vita, perché viene assimilata con la preghiera e si esprime in propositi pratici. Altri documenti, a partire dal Concilio Vaticano II in poi parlano di questa lectio divina. Voglio citare solo una frase del mio predecessore Sant’Ambrogio, il quale diceva che deve potersi svolgere un colloquio tra Dio e l’uomo, perché parliamo con Dio quando preghiamo e lo ascoltiamo quando leggiamo gli oracoli divini. Quindi una lettura che deve introdurre al dialogo.
Devo dire che nella mia esperienza di vescovo a Milano ho visto i frutti di tale preghiera fatta a partire dalla Scrittura, soprattutto in moltissimi giovani e in tanti adulti che hanno trovato in questa familiarità con la Bibbia la capacità di orientare la loro vita secondo la volontà di Dio, anche in una grande città moderna, anche in un ambiente secolarizzato. Il mondo cosiddetto postmoderno, che ha rovesciato tutti i valori, che ha rigettato la metafisica, che ha messo come valore principale il momento presente, l’esperienza, non è così lontano dalla ricchezza, dalla forza, dalla effettività e dalla affettività delle parole di Dio, che sono parole concrete, che penetrano, che vanno da persona a persona, che non danno mai definizioni astratte, ma riferiscono sempre fatti che inducono a pensare. Basterebbe riflettere sul concetto di Dio.
Quando noi, che siamo chiamati dagli ebrei Goim, perché provenienti dal paganesimo, pensiamo a Dio, istintivamente ci rifacciamo alla tradizione aristotelica, razionale, filosofica, e quindi vogliamo dare di Dio una bella definizione. Non troverete nessuna definizione nella Scrittura, la Scrittura non dà definizioni di Dio, non dà nomi, ma parla di Dio attraverso verbi, aggettivi e il nome ma come metafora. Innanzitutto i verbi, ciò che l’ebraico sa dire di Dio è ciò che Dio fa.
E ci sono cinque sei verbi fondamentali che designano l’azione divina: Dio crea, Dio chiama, manda, libera, guida e nutre. Di Dio è colto non tanto ciò che è nel mistero, ma ciò che è per noi, quindi una concezione molto intima, amichevole, familiare, in cui Dio è colui che è entrato a far parte della mia vita, anzi io mi definisco come colui che Dio ha amato, ha scelto, ha inviato, e continuamente guida, perdona, rilancia.
La Bibbia dà questa visione concreta e poi dai verbi passa agli aggettivi che sono dei tentativi di dire in maniera generale ciò che si è sperimentato di Dio. Gli aggettivi si trovano numerosi in Es 32 e in Es33 a descrivere ciò che è imprendibile, che sfugge sempre alle nostre prese, non è definibile dall’esterno.
Si arriva poi ai nomi, ma sono tutti nomi metaforici, o nomi che indicano una guida: re, vittorioso, messia, nomi che implicano una direzione da seguire, oppure nomi che indicano una cura: padre, madre, pastore. La Bibbia ha questa ricchezza di immediatezza e di metafora che supera tutte le obiezioni fatte da Heidegger e da coloro che lo hanno seguito sulla cosiddetta onto-teologia, su quella teologia che metafisicamente pretende di imbrigliare il mistero di Dio. La Scrittura è fuori da tutto questo, ci porta a un contatto con il Dio vivo che, come bene esprime Benedetto XVI nel suo libro, è poi il Gesù risorto, che mi tocca, mi è vicino, è presente nella mia vita, mi assiste, mi chiama, mi perdona.
Questo è il motivo per cui chi capisce la Bibbiain questo modo vi trova gioia e vi trova anche orientamento in tempi difficili. Io ho potuto sperimentare a Milano come molti fedeli impegnati e molti preti hanno trovato e trovano nella lettura orante della Scrittura il modo per assicurare una certa unità di vita in un’esistenza spesso frammentaria, lacerata da molte diverse esigenze. Ancora magari confusa, non si sa bene neanche dove vadala Chiesa, non si sa dove trovare un punto fermo di riferimento, e questo punto di riferimento è il disegno di Dio presentatoci dalla Scrittura che ha il suo culmine in Gesù Cristo risorto e presente nell’Eucarestia. Così è possibile unificare tutta la nostra vita nel quadro del disegno divino.
La familiarità orante con la Bibbiaci aiuta ad affrontare anche una delle più grandi sfide del nostro tempo che definirei come: vivere insieme come diversi, rispettando le diversità, non riducendole con la violenza, ma nemmeno alzando le mani, rinunciando al dialogo. Le persone devono fermentarsi reciprocamente, guai se non c’è questo fermento comune, la visione comune oggi è dire che l’altro vada pure per la sua strada purché non leda la mia libertà. Invece occorre stimolarsi mutuamente per una maggiore autenticità di vita.
Questo vale, a mio avviso, anche per il cammino ecumenico, per l’incontro con le grandi religioni che ovviamente non deve portare a conflitti e steccati, ma nemmeno soltanto alla tolleranza, che è troppo poco, e deve invece spingere uomini e donne sinceramente religiosi a comprendere i tesori degli altri e a far comprendere i propri, così da invitare ciascuno a cambiare vita e a pervenire a una maggiore verità e trasparenza di fronte a Dio e alle sue chiamate. Per questo è interessante vedere come sia importante il discorso della montagna, che non è un discorso confessionale, da fare solo ai cristiani, perché si può con verità chiedere ad ogni uomo e donna di questo mondo di lasciare gli interessi propri, perdonare volentieri, servire gratuitamente, essere capaci di interessarsi degli altri, mantenere la parola data. Questo vale per qualunque religione.
Anche lì dove non si può fare una missione esplicita per motivi contingenti, è possibile vivere della parola di Dio aiutando gli altri e se stessi a cambiare l’esistenza. Se mi interrogo sul perché di tanta forza della parola di Dio, la trovo principalmente nel fatto che questa Parola è quella nella quale tutto è stato fatto, senza la quale niente è stato fatto di tutto ciò che esiste, e nella quale noi siamo nati, siamo stati rigenerati, come dice S. Pietro, non da un seme corruttibile, ma immortale, cioè dalla Parola di Dio viva ed eterna e qui troviamo la nostra verità. Ci riconosciamo così nella nostra comune origine, dignità, fratellanza, sorellanza, al di là di tutte le possibili divisioni.
Ci sono diversi modi concreti per l’animazione biblica della pastorale, in particolare dei giovani. Io ho descritto questo modo dell’incontro mensile con il vescovo, ma poi abbiamo invitato tutte le parrocchie e i gruppi a dare spazio all’energia creativa dei giovani e dei loro pastori, per altre forme di avvicinamento alla Scrittura. Cito le settimane di meditazione serale su un personaggio biblico, su un libro biblico, le catechesi alla radio o alla televisione.
Ho potuto sperimentare la cosiddetta “cattedra dei non credenti”, in cui ci si incontrava con chi non crede, anzi lo si metteva in cattedra facendogli spiegare perché non crede, ma sempre attendendo a capire la sua situazione in riferimento alla Scrittura. Io seguivo queste sessioni, che erano di solito quattro-cinque a novembre-dicembre e poi facevo un ultimo incontro nel quale davo le mie riflessioni su ciò che avevo ascoltato a partire dalla Scrittura per aiutare a ricostruire un quadro e dare un incoraggiamento e una speranza a chi si sentiva la forza dello Spirito che lo invitava a credere. Questo è ciò che mi sembra si possa fare e penso si potrà fare anche di più, voi siete di fronte a un Sinodo sulla Parola di Dio, Sinodo che io auspico da anni e che spero possa essere per tuttala Chiesa un lancio di questo contatto conla Parola, perché ancora c’è moltissima diffidenza perla Parola di Dio nella Scrittura.
Mi ricordo che quando facevo questo raduno nel Duomo, alcuni preti mi dicevano: “Io questa sera porto i giovani in piscina”, criticavano apertamente questo metodo, ritenuto protestante e gnostico, e anche se ora molte critiche sono cadute, c’è ancora molta lontananza dalla Scrittura. Auguro che dal Sinodo venga fuori l’invito a tutti i preti a fare nelle messe feriali spiegazioni di due minuti della Scrittura. È difficile stare in due minuti, è una pagina sola, ma è sufficiente a dire l’essenziale sui testi di ogni giorno. Deve essere fatto perchéla Bibbia non deve essere letta saltuariamente, ma idealmente in una lettura continua e totale, come voleva don Giuseppe Dossetti.
Di fatto la liturgia ci propone una lectio quasi continua, per questo mi affido molto alla lettura liturgica e alla sua spiegazione, perché seguendo la liturgia, sia della messa che del breviario noi veniamo a ripercorrere tutta la storia di salvezza e tutto il cammino della Scrittura.
Come dice Gesù ai suoi primi discepoli: “Vedrete cose maggiori di questo”. Io ho solo iniziato con la mia piccola esperienza, ma sono certo che dalla conoscenza della Parola di Dio scritta, la Chiesa trarrà quell’entusiasmo, quell’energia, quella gioia, quella voglia di proporsi in maniera umile e autentica che risulta dal vangelo e che auguro a voi cordialmente. Grazie!