Ridate loro la parola, di Tommaso Spinelli

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 25 /08 /2012 - 09:39 am | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito un articolo scritto da Tommaso Spinelli. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (25/8/2012)

È sorprendente come nonostante i grandi progressi del mondo ciò che ci riguarda più da vicino, e cioè la definizione di uomo, sia ancora molto fragile; molto labile anche nelle definizioni più avvedute è il discrimen che riesca a strappare in modo inequivocabile l’uomo alla sua ferinitas e a renderlo pertanto degno del suo nome.

Il fatto è che labile e incerto è lo statuto stesso di questo essere che Dante pone conteso tra l’abisso infernale e la sconfinata bellezza del cielo perpetuando l’ambiguità delle più antiche ed autorevoli definizioni di chi sarebbe un dio se la sua ferinitas non lo tenesse ancorato alla terra, o un semplice animale se una scintilla divina, un “daimon” (Socrate) non risplendesse in lui accendendo il suo sguardo di methis, trasformando il suo cieco istinto in arethè, colorando i suoi versi confusi con le mille iridescenze di un logos che fa dell’espressione vocale un manufatto del pensiero.

Si resta sempre colpiti a voler leggere, anche solo come storia sintetica dell’umanità, il prologo di Giovanni, lì dove il Logos, la capacità di pensare e di dire che rende l’uomo così simile a Dio, è colto nel suo essere Dio nel principio e principio stesso di Dio. È questo Logos dice Giovanni che è disceso nelle tenebre della ferinitas risplendendo come la scintilla socratica, illuminando l’uomo in quanto luce di sapienza, infiammandolo di sentimento in quanto fiamma che sprigiona calore. Ecco i due punti centrali per questa discussione inscindibilmente uniti in questa fiamma del logos che conferendo all’uomo la capacità di pensiero e di parola lo rende adatto all’agire sociale, all’interrelazione e dunque all’amore.

Aristotele nella Politica elabora la sua celebre definizione di uomo come animale razionale e sociale, ma proprio poche righe dopo quella che sembrerebbe la definizione meglio riuscita sull’uomo si riaffaccia lo spettro di uno statuto dubbio: «Colui che non vive nella società o è autosufficiente come un dio, o selvaggio come un animale». Questo statuto ambiguo e prodigioso dell’uomo ci da spiegazione dell’atrocità che l’uomo commette ogni qual volta in nome del principio di libertà abdichi alla funzione educativa, e quasi sfidando la natura, si astenga dall’ex-ducere un nuovo individuo dalla propria ferinità verso la propria divinità. Ogni volta che si è voluta dimostrare la naturalità o meno di un fenomeno abdicando alla funzione educativa si è andati incontro non ad un’umanità libera ma ad una ferinitas tragicamente disumana.

Platone già si era reso conto di ciò parlando nella Repubblica dell’educazione. Essa era il cardine dello stato ideale e si basava su un principio elementare: la mimesis, «il rendersi simile nella voce e nel gesto a qualcuno o qualcosa». Poiché l’uomo è per sua natura conteso tra ferinitas e divinitas è solo imitando che svilupperà l’una e sconfiggerà l’altra pur non potendosene mai liberare.

Forse si sta realizzando in noi ciò che già Platone temeva per la propria società: che questa fragile concatenazione di mimesis che perpetuava la vocazione alla divinità di generazione in generazione salvando i posteri dalla ferinitas potesse interrompersi rigettando nell’oscurità e nell’afasia le nuove generazioni.

La domanda che ci stiamo ponendo è: qualcuno sta insegnando alle nuove generazioni ad essere umane nel senso vero della parola?

È chiaro che questa domanda sottintende lo stabilire cosa sia da considerasi educazione all’umanità. Ebbene il nostro tempo ha ritenuto che l’educazione che da secoli la Chiesa dava all’umanità non fosse più conveniente. Furono attuati in diverse regioni dell’Europa ed anche in Italia piani di laicizzazioni volti a strappare all’insegnamento evangelico i campi della scuola, dell’educazione morale e della pedagogia dei bambini. Talvolta questo è avvenuto con effettive svolte politiche, altre volte semplicemente screditando con scandali o volute indifferenze l’autorità della voce evangelica e la figura dei suoi ministri, destituiti dall’antica funzione di maestri e guide delle comunità non solo cristiane ma anche territoriali.

Spesso questo venne fatto pensando di liberare il campo per una nuova e più autentica educazione - con questo scopo ad esempio Hitler non appena salito al potere voltò le spalle alla fede cristiana costruendo un cerimoniale e una ideologia germanica più adatti all’esaltazione della razza ariana e dei suoi valori. Non diverso fu l’imbrigliamento di tutte le associazioni cattoliche e della stessa Azione cattolica operato dal Fascismo italiano.

Gli esiti di questi esperimenti sono tragicamente noti.

Ma forse meno nota è agli occhi di molti la situazione attuale in cui, passate le grandi ideologie e le grandi personalità, la vita politica si è colorata di mille voci diverse e attente al particolare ben lontane dall’antico orizzonte universale (“cattolico” appunto) che era stato proprio dell’azione educativa della Chiesa per quasi due millenni. Tali voci talvolta miopi, pur essendo animate da propositi buoni, mancano della solidità e dell’autorità conferita dall’unità per esser ascoltate e ritenute credibili.

Di fatto nel nostro mondo nessuno parla più alle nuove generazioni, nessuno si fa carico di guidare i giovani nell’ardua lotta contro la ferinitas: da un lato la Chiesa è stata screditata nella sua autorità, defraudata della sua territorialità, e quindi allontanata dalle nuove generazioni quanto basti perché la sua voce non giunga in maniera troppo chiara e decisa; ma d’altro canto l’organizzazione statale nel frattempo ha perso dal suo interno l’unità e la comunione di intenti, ed impegnata in problemi interni non si è più aperta a parlare ai giovani con autorità e forza.

Oggi viene vista addirittura come una scelta di civiltà il non educare, così che il non parlare di fede nella scuola o in famiglia non è più un privare le nuove generazioni degli strumenti adatti a sconfiggere la propria ferinitas, ma anzi sarebbe un modo per lasciare che la libertà faccia fare alla natura il proprio corso. Quante volte abbiamo sentito dire “poi da grande se vorrà farà la cresima”? Ciò che ci chiediamo è se questa assenza educativa aiuti la divinitas o la ferinitas delle persone a cui vogliamo bene.

Un esempio chiaro ci arriva dal passato grazie al Pater Historiae, Erodoto, che ci racconta di cosa accadde quando il faraone Psammetichus, incuriosito riguardo la natura del linguaggio, volle scoprire, affidando due neonati a una coppia di pastori sordomuti, se l’uomo parlasse per natura o per educazione dato che si diceva che il linguaggio fosse una dote peculiare dell’umanità. Questo fu solo il primo caso di una lunga ed atroce serie di bambini usati come cavie negli esperimenti di linguistica per capire, quasi come una sfida, se l’uomo resti tale con le proprie funzioni fondamentali anche in assenza di educazione.

Salimbene da Parma nella sua Cronica ci racconta cosa accadde ai neonati che Federico II destinò a crescere senza udire mai parola umana: «Nonostante ad essi venisse dato cibo e vestiti non solo non parlarono alcuna lingua ma morirono».

È forse questa morte che sta entrando silenziosamente nelle nostre generazioni, rifocillate e ben vestite ma che non hanno mai udito una parola vera e autentica, una parola che parli di vita e di una vita nuova, vissuta nell’accoglienza del Logos: Dio, pensiero, parola, capacità di parlare, di conoscere e di amare l’altro.