Un sogno di don Bosco: «Non colle percosse ma colla mansuetudine e colla carità dovrai guadagnare questi tuoi amici. Mettiti adunque immediatamente a fare loro un’istruzione sulla bruttezza del peccato e sulla preziosità della virtù»
Riprendiamo sul nostro sito un racconto autobiografico di San Giovanni Bosco, tratto da Giovanni Bosco, Memorie dell’Oratorio, LAS, Roma, 2011, pp. 62-63. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la loro presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (6/8/2012)
N.B. de Gli scritti
Come è noto, Don Bosco raccontò poi di aver compreso ciò che la Madonna gli aveva rivelato dicendo: «A suo tempo tutto comprenderai». Egli disse al termine della messa celebrata il 16 maggio 1887 all’altare di Santa Maria Ausiliatrice nella nuova chiesa del Sacro Cuore di Gesù al Castro Pretorio in Roma, nel corso della quale era scoppiato in lacrime ben 15 volte: «Avevo così viva innanzi ai miei occhi la scena di allora che a nove anni sognai della Congregazione e vedevo e udivo così bene la mia mamma ed i miei fratelli questionare sul sogno, che non potevo andare più avanti nel santo Sacrificio» (da M. Grechi – G. Scalisi, Il Tempio internazionale del Sacro Cuore di Gesù al Castro Pretorio in Roma, Roma, 1987, pp. 43-44).
A quell’età [9 anni] ho fatto un sogno, che mi rimase profondamente impresso nella mente per tutta la vita. Nel sonno mi parve di essere vicino a casa in un cortile assai spazioso, dove stava raccolta una moltitudine di fanciulli, che si trastullavano. Alcuni ridevano, altri giuocavano, non pochi bestemmiavano. All’udire quelle bestemmie mi sono subito lanciato in mezzo di loro adoperando pugni e parole per farli tacere. In quel momento apparve un uomo venerando in virile età nobilmente vestito. Un manto bianco gli copriva tutta la persona; ma la sua faccia era così luminosa, che io non poteva rimirarlo. Egli mi chiamò per nome e mi ordinò di pormi alla testa di que' fanciulli aggiungendo queste parole: «Non colle percosse ma colla mansuetudine e colla carità dovrai guadagnare questi tuoi amici. Mettiti adunque immediatamente a fare loro un’istruzione sulla bruttezza del peccato e sulla preziosità della virtù».
Confuso e spaventato soggiunsi che io era un povero ed ignorante fanciullo incapace di parlare di religione a que’ giovanetti. In quel momento que’ ragazzi cessando dalle risse, dagli schiamazzi e dalle bestemmie, si raccolsero tutti intorno a colui, che parlava.
Quasi senza sapere che mi dicessi, «Chi siete voi, soggiunsi, che mi comandate cosa impossibile?» «Appunto perché tali cose ti sembrano impossibili, devi renderle possibili coll’ubbidienza e coll’acquisto della scienza». «Dove, con quali mezzi potrò acquistare la scienza? » «Io ti darò la maestra sotto alla cui disciplina puoi diventare sapiente, e senza cui ogni sapienza diviene stoltezza».
— Ma chi siete voi, che parlate in questo modo?
— Io sono il figlio di colei, che tua madre ti ammaestro di salutar tre volte al giorno.
— Mia madre mi dice di non associarmi con quelli che non conosco, senza suo permesso; perciò ditemi il vostro nome.
— Il mio nome dimandalo a Mia Madre. In quel momento vidi accanto di lui una donna di maestoso aspetto, vestita di un manto, che risplendeva da tutte parti, come se ogni punto di quello fosse una fulgidissima stella. Scorgendomi ognor più confuso nelle mie dimande e risposte, mi accenno di avvicinarmi a Lei, che presomi con bontà per mano, e «guarda», mi disse. Guardando mi accorsi che quei fanciulli erano tutti fuggiti, ed in loro vece vidi una moltitudine di capretti, di cani, di gatti, orsi e di parecchi altri animali. «Ecco il tuo campo, ecco dove devi lavorare. Renditi umile, forte, robusto; e ciò che in questo momento vedi succedere di questi animali, tu dovrai farlo pei figli miei».
Volsi allora lo sguardo ed ecco invece di animali feroci apparvero altrettanti mansueti agnelli, che tutti saltellando correvano attorno belando come per fare festa a quell’uomo e a quella signora.
A quel punto, sempre nel sonno, mi misi a piangere, e pregai quello a voler parlare in modo da capire, perciocché io non sapeva quale cosa si volesse significare.
Allora Ella mi pose la mano sul capo dicendomi: «A suo tempo tutto comprenderai».
Ciò detto un rumore mi sveglio.
Io rimasi sbalordito. Sembravami di avere le mani che facessero male pei pugni che aveva dato, che la faccia mi duolesse per gli schiaffi ricevuti; di poi quel personaggio, quella donna, le cose dette e le cose udite mi occuparono talmente la mente, che per quella notte non mi fu possibile prendere sonno.
Al mattino ho tosto con premura raccontato quel sogno prima a’ miei fratelli, che si misero a ridere, poi a mia madre ed alla nonna. Ognuno dava al medesimo la sua interpretazione. Il fratello Giuseppe diceva: «Tu diventerai guardiano di capre, di pecore o di altri animali». Mia madre: «Chi sa che non abbi a diventar prete». Antonio con secco accento: «Forse sarai capo di briganti». Ma la nonna, che sapeva assai di teologia, era del tutto inalfabeta, diede sentenza definitiva dicendo: «Non bisogna badare ai sogni».
Io era del parere di mia nonna, tuttavia non mi fu mai possibile di togliermi quel sogno dalla mente. Le cose che esporrò in appresso daranno a ciò qualche significato. Io ho sempre taciuto ogni cosa; i miei parenti non ne fecero caso. Ma quando, nel 1858, andai a Roma per trattar col Papa della congregazione salesiana, egli si fece minutamente raccontare tutte le cose che avessero anche solo apparenza di soprannaturali. Raccontai allora per la prima volta il sogno fatto in età di nove in dieci anni. Il Papa mi comandò di scriverlo nel suo senso letterale, minuto e lasciarlo per incoraggiamento ai figli della congregazione, che formava lo scopo di quella gita a Roma.