La famiglia che cambia e il modello di società, di Antonio Golini
Riprendiamo da Il messaggero del 13/7/2012 un articolo scritto da Antonio Golini. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (4/8/2012)
Siamo ormai tutti consapevoli della grave crisi economica qual è quella che conosciamo attraverso le notizie su disoccupazione, imposte e quant'altro che ogni giorno ci raggiungono e ci colpiscono. Ad essa si aggiunge la conoscenza di una diffusa crisi sociale per effetto delle notizie che oggi ci raggiungono tramite l'Istat e che ci informano come da un lato il numero di matrimoni si vada abbassando di anno in anno e quello di separazioni e divorzi vada invece sensibilmente aumentando.
Ancora una quindicina di anni fa si celebravano in Italia 290 mila matrimoni e si avevano 52 mila separazioni all'anno (con 27 mila divorzi); nel 2010 invece (ultimo anno per il quale si hanno i dati) i matrimoni sono scesi a 218 mila - mai così pochi, nemmeno durante la seconda guerra mondiale - e le separazioni salite a 88 mila (con i divorzi a 54 mila). Da un lato si può registrare quindi una non piccola disaffezione nei confronti del matrimonio — specie quello celebrato in chiesa — con un sensibile aumento delle unioni coniugali libere e dall'altro lato una non moderata crescita dell'instabilità coniugale: ormai il 31% dei matrimoni - uno su tre – finisce con una separazione (e il 18% con un divorzio).
La crisi dell'istituto matrimonio è un argomento ricorrente da oltre un centinaio di anni. Si ripete da sempre che il matrimonio è finito, che è una forzatura della libertà individuale, che non è necessario per vivere insieme in coppia, ma poi quando si fanno le indagini di opinione è proprio il matrimonio che dai giovani viene indicato come il modo migliore per vivere insieme e formare famiglia. E pur tuttavia pare che ci si muova - non solo in Italia, ma in tutta la civiltà occidentale - verso un nuovo modello di società. Un nuovo modello del tutto rivoluzionato nelle relazioni interpersonali, che sembrano prescindere dall'istituto del matrimonio, almeno per come lo abbiamo conosciuto fin dall'antichità.
Tenendo anche conto che i figli nati fuori dal matrimonio sono ormai arrivati nel nostro Paese a oltre il 25% (cioè un nato su 4, mentre un secolo fa erano uno su 20) sembra di poter dire che siamo in epoca «post-matrimoniale», quasi che - come ha sottolineato qualche studioso - sposarsi o non sposarsi sia la stessa cosa e quasi che ci sia una sorta di nebbia dovuta alla non condivisione generalizzata dell'importanza del matrimonio e della famiglia. Il punto è che per molte persone il termine famiglia è una etichetta obsoleta o priva di significato in quanto un gran numero di esse - la maggioranza ormai? - considera la famiglia come un semplice insieme di esigenze individuali.
E invece se si vuole che la coppia sopravviva, essa deve avere una sua identità. Insomma se volessimo dare una semplice rappresentazione grafica potremmo immaginare che una coppia coniugale possa essere rappresentata da una A maiuscola: alla base ci sono i due individui con le loro specifiche identità, convincimenti, comportamenti; poi c'è l'apice della A che è la coppia in quanto tale che dovrebbe costituire una identità a se stante, frutto della volontà dei due individui nel costruirla e nel farla sopravvivere.
Oggi parrebbe che questa volontà si sia largamente attenuata, con gli individui che stanno insieme nella famiglia mediamente, come misura l'Istat, circa 15 anni. Questo tempo è come se fosse quello «normale» per stare insieme da parte delle coppie che vogliono continuare a vivere congiuntamente; anche molto tempo fa un matrimonio aveva più o meno la stessa durata e veniva poi sciolto dalla morte di uno dei coniugi, lasciando un largo numero di orfani.
Oggi, con la formidabile riduzione della mortalità, gli orfani biologici sono quasi del tutto scomparsi e sono stati rimpiazzati dagli «orfani sociali», i figli di coloro che si sono separati. Certamente qualche forma di maggiore attenzione e sostegno sociale andrebbe dedicata a questi ragazzi, tra l'altro perché non sappiamo che genitori essi stessi diventeranno una volta divenuti adulti. Così come qualche forma di sostegno sociale andrebbe dedicato alle persone separate che sono diventate tali contro la loro volontà. Questo sostegno andrebbe in particolare rivolto ai maschi che si vanno dimostrando più fragili delle donne e che non infrequentemente arrivano a uccidere la ex moglie o compagna.
Certamente questo crescente numero di separazioni e divorzi porta con sé anche un gran numero di conseguenze economiche, a parte quelle delle parcelle degli avvocati: la rottura di una unione comporta infatti la necessità di una nuova abitazione, di nuovi mobili, di nuovi elettrodomestici, e così via. In una certa misura funziona da volano per l'economia. Ma non si vorrebbe davvero che sia questo, che ha dei costi sociali non trascurabili, lo stimolo all'economia di cui si ha gran bisogno in questo periodo di crisi.