Educazione, autorità e cultura: la Chiesa aiuti i genitori, di Giuseppe Angelini
Riprendiamo dal sito del VII Incontro mondiale delle famiglie - che si è svolto a Milano sul tema «La famiglia: il lavoro e la festa» tra il 30 maggio e il 3 giugno 2012 - l'XI riflessione scritta dal teologo Giuseppe Angelini in preparazione all'incontro il 7/5/2012. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la loro presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (17/7/2012)
Ingrediente assolutamente necessario perché si produca la crescita, e più precisamente l’educazione, è l’autorità. Essa, quanto al suo primo insorgere, è un corredo del tutto naturale nel rapporto dei genitori con i figli; non c’è madre né padre che agli occhi del figlio bambino non appaia autorevole. Ad ogni genitore è concesso dal figlio il credito del sapere e del potere necessari perché il suo cammino sia possibile. Sia addirittura facile. Con piena persuasione il figlio si affida alle istruzioni e alle raccomandazioni dei genitori per trovare la via della vita.
Viene da chiedersi se questo credito sia giustificato. Sia sempre giustificato. Se esso non sia da considerare addirittura come un pericolo. Se lo chiedono per primi i genitori stessi, lusingati certo dal credito loro concesso dai figli, ma anche spaventati.
Lo spavento viene a galla soprattutto nel momento in cui i figli propongono interrogativi cosmici, ai quali appare arduo rispondere. È il caso degli interrogativi religiosi. Ma quale interrogativo non è religioso? Gli interrogativi dei piccoli sono sempre religiosi; sempre infatti riguardano la vita e la morte, lo scandalo del male, tutti i temi connessi alle questioni ultime della vita. A fronte di tali interrogativi, forte è la tentazione del genitore di rimandare a qualche esperto.
Davvero esistono gli “esperti”? quando si tratti della via della vita, quando si tratti di sapienza, esperti non ci sono; soltanto quando si tratti di questioni analitiche, sulle quali ha qualcosa di dire la scienza, si possono trovare esperti. Quando gli interrogativi vertono sui significati sommi della vita, e non serve la scienza; serve la sapienza. E in tale materia non c’è nessuno più competente di una madre e di un padre. Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti dà il Signore, tuo Dio (Es 20, 12); soltanto loro possono mostrarti la strada che prolunga il primo cammino magico dell’infanzia; essi soli conoscono la sapienza.
Per essere all’altezza dell’onore loro tributato dai figli, per dunque essere in grado di onorare l’autorità loro accordata dai figli, i genitori hanno però bisogno di cultura. Mi riferisco non alla cultura che si apprende a scuola, ma a quella iscritta nelle forme del vivere comune; la si chiama cultura in senso antropologico. Solo da pochi decenni se ne conosce l’esistenza e se ne parla. Appunto questa è la cultura che manca. Più cautamente, minaccia di mancare, nella situazione civile presente, nel presente regime di rapporti tra famiglia affettiva e società mercantile..
Questa cultura non può essere ridotta a un sistema di idee, a una serie di principi e valori suscettibili d’essere insegnati mediante discorsi. Questa cultura si realizza e insieme si comunica attraverso i rapporti quotidiani. Ha indispensabile bisogno di testimonianza personale per essere compresa. Non può passare di generazione in generazione altro che attraverso la testimonianza dei genitori.
Perché possa prodursi una tale tradizione, c’è bisogno di genitori che non siano soli; per articolare il messaggio cosmico da essi trasmesso ai figli nella prima età della vita hanno bisogno di un contesto sociale consonante. Se un papà vive il rapporti personale col figlio su uno sfondo abitato da molti altri padri più facilmente diventa padre, e non semplicemente papà, agli occhi del figlio. Se manca questo contesto, la realizzazione di quel profilo cosmico sarà assai più ardua. E oggi questo contesto di fatto manca; i discorsi stessi che si fanno in pubblico a proposito di educazione ignorano l’autorità e il suo mistero.
La difficoltà di padri e madri ad articolare la loro autorità nativa investe anche il compito dell’educazione cristiana, come subito si capisce. A tale difficoltà non si rimedia certo con un supplemento di prediche o di istruzioni religiose in genere. Occorre invece elaborare un costume e quindi realizzare un sistema di rapporti, che renda quel costume operante nella vita del singolo. Di questo, prima e più che di catechesi, deve occuparsi oggi la Chiesa per aiutare i genitori e la loro autorità presso i figli.