«Guardati dal dimenticare». Memoria e autorità, di Giuseppe Angelini
Riprendiamo dal sito del VII Incontro mondiale delle famiglie - che si è svolto a Milano sul tema «La famiglia: il lavoro e la festa» tra il 30 maggio e il 3 giugno 2012 - la X riflessione scritta dal teologo Giuseppe Angelini in preparazione all'incontro il 2/5/2012. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la loro presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (17/7/2012)
“Il principio di autorità si è ormai dissolto”: una deprecazione del genere è frequente. Finché espressa da persone anziane, scandalizzate dall’arroganza degli adolescenti, essa non stupisce; essa è però ormai espressa anche da persone colte ed esperte in fatto di adolescenza. Soprattutto da psicologi. Molti di loro deprecano che i padri postmoderni non sappiano più proporre divieti ai figli.
Sui muri della Sorbona, nel maggio del 1968, si scriveva: “vietato vietare”; la scritta completa aggiungeva: “La libertà comincia con un divieto: quello di nuocere alla libertà altrui”. La libertà perseguita, o sognata, era dunque la spontaneità originaria del singolo, immune da ogni dipendenza dal rapporto con altri. Oggi invece le persone più pensose, che si occupano di questione giovanile, e se ne occupano (ahimé) in ottica clinica assai più che in ottica educativa, dicono che i giovani soffrono per difetto di divieti. Più precisamente, per difetto di desideri; hanno soltanto voglie. Per apprezzare quel che fanno hanno bisogno di veder saturata la loro voglia, e soprattutto hanno bisogno del consenso ammiccante da chi sta intorno. Proprio a motivo di questa dipendenza mancano di libertà.
Per essere davvero liberi, per essere in grado di volere, avrebbero bisogno di credere cioè in quel che fanno, senza dipendere dalla saturazione delle voglie o dalla conferma dei compagni. Ma per volere davvero, occorrerebbe disporre di criteri di valore non legati all’esperimento immediato del vantaggio. Appunto in questo il desiderio si distingue dal bisogno: esso sopporta la distanza dal proprio oggetto, mentre il bisogno pretende subito la saturazione. Per trasmettere desideri ai minori - dicono gli psicologi - è indispensabile il divieto. Per imporre un divieto, d’altra parte, è indispensabile avere autorità.
In direzione simile va la distinzione, spesso proposta da parte cattolica, tra autorità e autoritarismo. L’autoritarismo mantiene il minore in condizione di dipendenza, mentre l’autorità fa crescere; autorevole è appunto colui che auget, fa crescere. Il divieto fa crescere, in quanto esso costringe a cercare il bene al di là di ciò che riempie la bocca, o gli occhi.
Il divieto è in effetti indispensabile perché prenda forma il desiderio, e il soggetto si stacchi dalla dipendenza succube nei confronti del bisogno compulsivo; perché sappia spendersi per ciò che apprezza senza necessità di vedere saturata la sua voglia. E tuttavia il divieto, per essere convincente, deve trovare giustificazione in una promessa.
Agli occhi del bambino il divieto del genitore appare subito convincente. appunto perché egli vede il genitore come custode del segreto della vita. Più precisamente, custode della promessa nella quale da sempre ha creduto. Perché il divieto rimanga convincente a misura in cui il figlio cresce, è indispensabile che il genitore sappia dare più precisa e articolata configurazione alla promessa aurorale, di cui è ancora inconsapevole interprete nell’età infantile del figlio.
Guardati dal dimenticare, così è formulato l’imperativo nelle Scritture, nel libro del Deuteronomio in particolare. La legge, che oppone un divieto al desiderio arbitrario, obiettivamente ha sempre questa giustificazione, guardati dal dimenticare. Impone cioè la fedeltà ai legami originari della vita. Essi sono stati stretti ancor prima d’essere conosciuti, e quindi anche d’essere stati espressamente voluti. Quei legami sono fondamentalmente quelli stretti mediante l’alleanza familiare. Appunto attraverso la memoria di quelle origini, aggiornata certo secondo quanto esige l’età che cresce, è articolato l’imperativo che solo può edificare il desiderio. Soltanto a condizione che la cultura dell’età adulta appaia appunto come conferma dei legami stretti nella vita familiare può dare forma ferma per sempre a quella autorità del padre e della madre, mediante il quale il figlio ha maturato la prima consapevolezza di sé.