La famiglia luogo della memoria, di Giuseppe Angelini
Riprendiamo dal sito del VII Incontro mondiale delle famiglie - che si è svolto a Milano sul tema «La famiglia: il lavoro e la festa» tra il 30 maggio e il 3 giugno 2012 - la IX riflessione scritta dal teologo Giuseppe Angelini in preparazione all'incontro il 23/4/2012. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la loro presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (17/7/2012)
Nella vita metropolitana dei nostri giorni stentano assai a prodursi quei processi di tradizione da una generazione all’altra, ai quali era un tempo legata l’iniziazione dei figli alla fede, e più in generale ai significati elementari del vivere. Spesso viene denunciata l’assenza di riti di iniziazione nella società secolare; a tale assenza è attribuita la responsabilità del carattere interminabile dell’adolescenza.
In realtà, l’iniziazione del minore chiede non solo né soprattutto riti, ma che la generazione adulta sia testimone in tutta la vita di una visione condivisa dei significati elementari del vivere. Appunto tale testimonianza stenta a prodursi.
Pensare che si possa rimediare mediante la scuola, e dunque attraverso le risorse dell’insegnamento, è molto ingenuo. Nessuno ci crede; e tuttavia spesso così si dice. La cosa è da intendere come uno dei molti artifici retorici ai quali si ricorre per rimuovere problemi che paiono insolubili. I significati elementari del vivere non possono essere ‘insegnati’; debbono essere attestati. E possono essere attestati soltanto mediante la forme della vita quotidiana. La famiglia appare sotto tale profilo il luogo privilegiato della tradizione.
A monte rispetto ad ogni consapevole e deliberata intenzione dei genitori, la vita famigliare appare agli occhi dei figli come documento di una sapienza, di un sapere cioè a proposito del senso di tutte le cose. Tale sapienza è appresa dai figli attraverso la vita effettiva; essa plasma per se stessa un modo di vedere, di giudicare e di apprezzare. E tuttavia l’iniziazione a tale sapienza esige anche la parola.
Appunto mediante la parola è data risposta alla famosa domanda, “Che cos’è?”, che i piccoli pongono con ossessiva frequenza; i più grandi non pongono più in termini espliciti quella domanda, e tuttavia continuano ad averla dentro.
A quella domanda si risponde anche, e certo non marginalmente, raccontando. Una volta o l’altra è capitato a tutti - penso - d’essere stati colpiti dall’insistenza con la quale figli, nipoti o pronipoti, proponevano interrogativi a proposito del passato remoto, dell’infanzia dei genitori, o addirittura dei nonni. Interrogativi di questo genere sono posti, certo, soltanto a condizione che si creino le condizioni propizie. Quando si creino tali condizioni però l’interesse dei piccoli è evidente, e anche vivace. Come interpretarlo?
L’attesa di un racconto a proposito della nascita, o della infanzia, o della giovinezza dei genitori, da parte dei figli è da interpretare come l’espressione della loro tacita domanda a proposito dell’origine. E la domanda circa l’origine vale come domanda a proposito del senso di tutte le cose.
Pare spesso che i piccoli, quasi per un’intuizione arcana e magica, sappiano bene quel che è assolutamente vero, e che la tradizione biblica attesta in maniera chiara: il senso di tutte le cose non può essere detto affidandosi a principi generali ed astratte, a “valori” - come oggi comunemente e stoltamente si dice -, ma soltanto ricordando l’origine. Perché appunto nell’origine è scritta una promessa, e soltanto la memoria delle origini consente di sottrarre la vita di oggi alla contingenza dei giorni.
L’origine che custodisce il senso di tutte le cose, d’altra parte, è quella di cui interpreti assolutamente privilegiati sono appunto i genitori; essi stanno all’origine della vita; e le memorie da essi narrate sono la forma principale attraverso la quale si realizza l’iniziazione al mistero della vita.
I genitori debbono intercettare i segni di tale attesa dei figli. E debbono trovare i tempi giusti per raccontare. Un tempo speciale è quello della sera, quando i bambini vanno a letto; spesso sembra ch’essi vogliano trattenere i genitori all’infinito, quasi temessero che, chiusi gli occhi, il mondo troppo fragile possa dissolversi. Quello è il tempo più indicato per ricordare quel che dura per sempre.