Triduo pasquale: frammenti (di A.L.)
Adorazione nella notte del Giovedì santo
Nella notte, mentre gli apostoli dormono, si compie la salvezza. Nella notte, mentre dormi, cioè qualcosa che non fai tu, piuttosto ciò che è l’opera di Dio!
Già in Genesi Eva è tratta da Adamo mentre dorme. Egli la riceve, non la fa. La scopre, se ne meraviglia. Può ringraziare, non farla.
Siamo troppo abituati ad identificare l’esperienza con ciò che “facciamo”. Quando si parla di proporre delle esperienze si ha spesso in mente il fatto di fare gruppo, di discutere, di fare laboratorio, di costruire insieme.
Qui l’esperienza è la passività!
Come quando si ascolta Mozart. Ascolti il Don Giovanni: che esperienza! E non hai fatto nulla, non hai suonato, non ti sei mosso!
Così sarà anche la notte di Pasqua. Nessuno sarà presente, tutti dormiranno, ma l’evento supremo avverrà.
Avendo amato i suoi che erano nel mondo, Gesù li amò sino alla fine (Gv13,1). C’è un unico cristianesimo, non tanti cristianesimi, come dicono gi sciocchi. L’unico cristianesimo riconosce che non esiste, né mai esisterà, un amore più grande. Questo è il motivo della fede! È perché non esisterà mai un amore più grande che si crede a questo amore; è perché questo è l’unico amore fino alla fine che si diventa cristiani, che nasce la fede in questo Dio.
Questo vuol dire anche, in secondo luogo, uno sguardo nuovo e diverso su noi stessi e sulle persone. Nessuno ci amerà mai tanto quanto il Cristo ci ha amato. Noi, sempre assetati di ulteriore amore, finalmente ci rassereniamo ed accettiamo che gli altri ci amino di un amore non assoluto!
Non solo! Ci rassegniamo –ma con gioia!- all’evidenza che un altro, il Cristo, amerà l’altro che amiamo più di quanto lo amiamo noi. Cominciamo a star bene, a trovarci bene, se non all’ultimo posto, almeno al secondo.
Essere creature e non creatore vuol dire anche questo: che l’amore degli altri per noi ed il nostro per gli altri non è assoluto come pretenderemmo, ma è dipendente dal suo.
Abbà, Padre: dalla preghiera di questa notte, tutto il Credo. Il Simbolo di fede che professiamo –Credo in Dio padre onnipotente ed in Gesù Cristo su unico figlio, credo nello Spirito, credo la resurrezione dei morti, il perdono dei peccati, ecc.- non è altra cosa dalla preghiera di questa notte che ci rivela l’amore del Figlio per il Padre e l’amore del Padre per il suo unico Figlio.
Le stazioni della Via crucis
Noi vorremmo talvolta allungare la vita, avere più giorni, più tempo, avere più ore in una giornata. Non ci è concesso; dobbiamo obbedire al tempo che Dio ha fatto. Ma altre volte vorremmo, invece, abbreviarlo, vorremmo andarcene prima, soprattutto quando la fatica si fa sentire. Neanche questo ci è concesso: vivere tutte le ore, questa è la nostra vocazione. Vivere tutte le stazioni, vivere tutto il dolore.
Qui appare chiara l’espressione della lettera agli Ebrei che non a caso la liturgia legge nella liturgia della Passione del Signore il venerdì santo: “Cristo, pur essendo figlio, imparò tuttavia l’obbedienza dalle cose che patì”.
Non bastò a lui essere figlio una volta per tutte –poiché lo è sempre stato e, per questo, è sempre stato obbediente. Ma dovette impararlo ora dopo ora, stazione dopo stazione, finché tutto il suo “tempo” fosse riempito della misericordia di Dio che in Lui amava. Lo era dall’inizio, ma questo non bastava: era tutto il tempo della sua umanità, dell’umanità che aveva assunto, che doveva portare questa obbedienza di figlio.
La preghiera per il popolo ebraico nella Preghiera universale del Venerdì Santo
L’attuale polemica sulla forma di questa preghiera nel vecchio Messale non deve far perdere di vista, anzi deve spingere a focalizzare ancora meglio, la prospettiva che comunque hanno le dieci preghiere che la Chiesa eleva a Dio dopo aver ascoltato il racconto della passione del Signore.
“Ascolta la preghiera della tua Chiesa, perché il popolo primogenito della tua alleanza possa giungere alla pienezza della redenzione”. In un equilibrio perfetto la preghiera dice il bene immenso che c’è –il popolo primogenito della tua alleanza- e quello che manca, poiché per la redenzione piena si prega. Per ogni cristiano è ovvio che la redenzione non consiste tanto in una forma più perfetta di purificazione del cuore e delle opere compiuta dall’uomo stesso, quanto nella rivelazione e nell’accoglienza della misericordia del Cristo. Perché la pienezza della redenzione è Cristo stesso.
La preghiera del venerdì santo dice così lo sconfinato rispetto e tutta la riconoscenza della chiesa nei confronti del popolo ebraico ed insieme ciò che ad esso manca per la sua piena gioia, secondo lo sguardo proprio della fede cristiana.
Lo stesso sguardo a due fuochi viene espresso nelle preghiere del venerdì santo anche verso i credenti di altre religioni e verso i non credenti.
Per i non cristiani la chiesa prega dicendo: “Dio onnipotente ed eterno, fa’ che gli uomini che non conoscono il Cristo possano conoscere la verità camminando alla tua presenza in sincerità di cuore”; dove è evidente l’apprezzamento di ogni sincerità del cuore ed, insieme, la preghiera per la conoscenza della verità (cioè del Cristo!).
Per coloro che non credono in Dio, la preghiera viene introdotta, invece, in questo modo: “Per coloro che non credono in Dio perché, vivendo con bontà e rettitudine di cuore, giungano alla conoscenza del Dio vero”. Anche qui la chiesa esprime nella sua lex orandi un apprezzamento straordinario –la possibilità della bontà e della rettitudine di cuore- ed, insieme, una mancanza, la conoscenza del vero Dio che ancora non è lì e che sola potrà dare pace a quella nostalgia di Lui.
La compresenza nella preghiera del Venerdì santo del ricordo del bene esistente e di quello invocato da Dio dice l’amore della chiesa, che dinanzi alla morte del Signore, viene istruita proprio da quell’amore e da nient’altro ad uno sguardo di bene su tutti.
Nessuno viene dimenticato in quella preghiera. E la Chiesa invoca Dio perché conservi il bene che già a tutti ha donato e lo renda perfetto e pieno nell’accoglienza di quel crocifisso salvatore che è il Signore Gesù, l’unico capace di discernere e togliere tutto il male e di donare la pienezza di Dio.
Dajenu, Ci sarebbe bastato
Questo straordinario canto ebraico della festa di Pasqua esprime in maniera unica la situazione dell’uomo. Se Dio ci avesse dato molto meno di ciò che ci ha donato, sarebbe bastato per amarlo, per credergli. Se gli altri ci avessero donato molto meno di quanto ci hanno dato e tuttora ci danno, sarebbe bastato per essere riconoscenti, per voler loro bene e per capire che siamo da loro amati.
Spesso, invece, siamo incontentabili. Non siamo mai capaci di dire: “Ci basta”. Esattamente questo è il motivo della nostra infelicità.
Invece, è decisivo imparare a dire: “Basta. Mi basta”.
Certo c’è la bellezza della ricerca, dell’amore che si approfondisce, della fede che deve crescere. Ma bisogna pure imparare a dire: “Mi basta”. Spesso, infatti, il non saper dire “Dajenu” non è segno –come pretenderemmo- del cercare una fede ed un amore più profondi, ma molto più semplicemente del nostro egoismo e della nostra incapacità di riconoscere il bene e di goderne in santa pace.
Le sette letture veterotestamentarie della veglia pasquale con la lettera ai Romani ed il vangelo della resurrezione: contemplare
Contemplare. Forse questa è l’espressione giusta dell’atteggiamento che richiede e propone la veglia pasquale. L’uomo è invitato a ricordare, a soffermarsi. Come quando qualcuno si ferma a rievocare alla mente i passaggi più belli della propria vita e, ricordandoli, si riempie il cuore di dolcezza. Ricorda le svolte, le persone che lo hanno amato, il bene che ha cercato di realizzare e che di fatto ha compiuto, riconosce l’opera di Dio nella propria storia.
Analogo è l’itinerario proposto dalle letture. Invita a guardare non distrattamente il creato, con le creature secondo le loro specie, le loro sementi, i loro frutti, per soffermarsi su ognuna di esse. E poi chiede di ricordare le tappe della rivelazione e della fede che si sono lentamente succedute nella storia ed, insieme, le promesse che sempre hanno accompagnato le cadute. Infine, la realtà che supera ogni attesa e preparazione, l’evento più grande della stessa promessa.
Solo chi non sa contemplare si annoia. Serve calma interiore ed uno sguardo riconoscente per vivere la veglia di Pasqua. O forse, meglio, è la veglia di Pasqua che genera questa pace e questo sguardo.
Felix culpa
Prima di dire che è felice, bisogna essere chiari: è colpa. Ed è la causa di tutti i mali che sono nel mondo, di tutti i mali che dobbiamo sopportare, di tutto il peccato che avvilisce il mondo. Quella colpa ci merita il male: non solo non meritiamo il redentore –egli è grazia- ma il nostro peccato, il peccato dell’uomo, merita realmente la condanna!
Piuttosto è la potenza di Dio che non ha pari, che non ha il male come pari a sé, che sola è capace di trarre il bene anche dal male: “felice colpa che meritò un così grande redentore”.
Resurrezione spirituale e fisica
Noi siamo già risorti con Cristo. Noi risorgeremo con Cristo. Se è vero che si può dimenticare che la resurrezione ci attende ancora, che essa avverrà dopo la nostra morte, è anche vero che possiamo dimenticare che spiritualmente ci è già data una vita nuova. Tutta la vita cristiana testimonia –e deve testimoniare-questa vita nuova. Ci è ora possibile quell’amore, quella fede, quella speranza che prima neanche immaginavamo. La nostra resurrezione non è solo poi, ma è. Già ora.
Nella notte, mentre gli apostoli dormono, si compie la salvezza. Nella notte, mentre dormi, cioè qualcosa che non fai tu, piuttosto ciò che è l’opera di Dio!
Già in Genesi Eva è tratta da Adamo mentre dorme. Egli la riceve, non la fa. La scopre, se ne meraviglia. Può ringraziare, non farla.
Siamo troppo abituati ad identificare l’esperienza con ciò che “facciamo”. Quando si parla di proporre delle esperienze si ha spesso in mente il fatto di fare gruppo, di discutere, di fare laboratorio, di costruire insieme.
Qui l’esperienza è la passività!
Come quando si ascolta Mozart. Ascolti il Don Giovanni: che esperienza! E non hai fatto nulla, non hai suonato, non ti sei mosso!
Così sarà anche la notte di Pasqua. Nessuno sarà presente, tutti dormiranno, ma l’evento supremo avverrà.
Avendo amato i suoi che erano nel mondo, Gesù li amò sino alla fine (Gv13,1). C’è un unico cristianesimo, non tanti cristianesimi, come dicono gi sciocchi. L’unico cristianesimo riconosce che non esiste, né mai esisterà, un amore più grande. Questo è il motivo della fede! È perché non esisterà mai un amore più grande che si crede a questo amore; è perché questo è l’unico amore fino alla fine che si diventa cristiani, che nasce la fede in questo Dio.
Questo vuol dire anche, in secondo luogo, uno sguardo nuovo e diverso su noi stessi e sulle persone. Nessuno ci amerà mai tanto quanto il Cristo ci ha amato. Noi, sempre assetati di ulteriore amore, finalmente ci rassereniamo ed accettiamo che gli altri ci amino di un amore non assoluto!
Non solo! Ci rassegniamo –ma con gioia!- all’evidenza che un altro, il Cristo, amerà l’altro che amiamo più di quanto lo amiamo noi. Cominciamo a star bene, a trovarci bene, se non all’ultimo posto, almeno al secondo.
Essere creature e non creatore vuol dire anche questo: che l’amore degli altri per noi ed il nostro per gli altri non è assoluto come pretenderemmo, ma è dipendente dal suo.
Abbà, Padre: dalla preghiera di questa notte, tutto il Credo. Il Simbolo di fede che professiamo –Credo in Dio padre onnipotente ed in Gesù Cristo su unico figlio, credo nello Spirito, credo la resurrezione dei morti, il perdono dei peccati, ecc.- non è altra cosa dalla preghiera di questa notte che ci rivela l’amore del Figlio per il Padre e l’amore del Padre per il suo unico Figlio.
Le stazioni della Via crucis
Noi vorremmo talvolta allungare la vita, avere più giorni, più tempo, avere più ore in una giornata. Non ci è concesso; dobbiamo obbedire al tempo che Dio ha fatto. Ma altre volte vorremmo, invece, abbreviarlo, vorremmo andarcene prima, soprattutto quando la fatica si fa sentire. Neanche questo ci è concesso: vivere tutte le ore, questa è la nostra vocazione. Vivere tutte le stazioni, vivere tutto il dolore.
Qui appare chiara l’espressione della lettera agli Ebrei che non a caso la liturgia legge nella liturgia della Passione del Signore il venerdì santo: “Cristo, pur essendo figlio, imparò tuttavia l’obbedienza dalle cose che patì”.
Non bastò a lui essere figlio una volta per tutte –poiché lo è sempre stato e, per questo, è sempre stato obbediente. Ma dovette impararlo ora dopo ora, stazione dopo stazione, finché tutto il suo “tempo” fosse riempito della misericordia di Dio che in Lui amava. Lo era dall’inizio, ma questo non bastava: era tutto il tempo della sua umanità, dell’umanità che aveva assunto, che doveva portare questa obbedienza di figlio.
La preghiera per il popolo ebraico nella Preghiera universale del Venerdì Santo
L’attuale polemica sulla forma di questa preghiera nel vecchio Messale non deve far perdere di vista, anzi deve spingere a focalizzare ancora meglio, la prospettiva che comunque hanno le dieci preghiere che la Chiesa eleva a Dio dopo aver ascoltato il racconto della passione del Signore.
“Ascolta la preghiera della tua Chiesa, perché il popolo primogenito della tua alleanza possa giungere alla pienezza della redenzione”. In un equilibrio perfetto la preghiera dice il bene immenso che c’è –il popolo primogenito della tua alleanza- e quello che manca, poiché per la redenzione piena si prega. Per ogni cristiano è ovvio che la redenzione non consiste tanto in una forma più perfetta di purificazione del cuore e delle opere compiuta dall’uomo stesso, quanto nella rivelazione e nell’accoglienza della misericordia del Cristo. Perché la pienezza della redenzione è Cristo stesso.
La preghiera del venerdì santo dice così lo sconfinato rispetto e tutta la riconoscenza della chiesa nei confronti del popolo ebraico ed insieme ciò che ad esso manca per la sua piena gioia, secondo lo sguardo proprio della fede cristiana.
Lo stesso sguardo a due fuochi viene espresso nelle preghiere del venerdì santo anche verso i credenti di altre religioni e verso i non credenti.
Per i non cristiani la chiesa prega dicendo: “Dio onnipotente ed eterno, fa’ che gli uomini che non conoscono il Cristo possano conoscere la verità camminando alla tua presenza in sincerità di cuore”; dove è evidente l’apprezzamento di ogni sincerità del cuore ed, insieme, la preghiera per la conoscenza della verità (cioè del Cristo!).
Per coloro che non credono in Dio, la preghiera viene introdotta, invece, in questo modo: “Per coloro che non credono in Dio perché, vivendo con bontà e rettitudine di cuore, giungano alla conoscenza del Dio vero”. Anche qui la chiesa esprime nella sua lex orandi un apprezzamento straordinario –la possibilità della bontà e della rettitudine di cuore- ed, insieme, una mancanza, la conoscenza del vero Dio che ancora non è lì e che sola potrà dare pace a quella nostalgia di Lui.
La compresenza nella preghiera del Venerdì santo del ricordo del bene esistente e di quello invocato da Dio dice l’amore della chiesa, che dinanzi alla morte del Signore, viene istruita proprio da quell’amore e da nient’altro ad uno sguardo di bene su tutti.
Nessuno viene dimenticato in quella preghiera. E la Chiesa invoca Dio perché conservi il bene che già a tutti ha donato e lo renda perfetto e pieno nell’accoglienza di quel crocifisso salvatore che è il Signore Gesù, l’unico capace di discernere e togliere tutto il male e di donare la pienezza di Dio.
Dajenu, Ci sarebbe bastato
Questo straordinario canto ebraico della festa di Pasqua esprime in maniera unica la situazione dell’uomo. Se Dio ci avesse dato molto meno di ciò che ci ha donato, sarebbe bastato per amarlo, per credergli. Se gli altri ci avessero donato molto meno di quanto ci hanno dato e tuttora ci danno, sarebbe bastato per essere riconoscenti, per voler loro bene e per capire che siamo da loro amati.
Spesso, invece, siamo incontentabili. Non siamo mai capaci di dire: “Ci basta”. Esattamente questo è il motivo della nostra infelicità.
Invece, è decisivo imparare a dire: “Basta. Mi basta”.
Certo c’è la bellezza della ricerca, dell’amore che si approfondisce, della fede che deve crescere. Ma bisogna pure imparare a dire: “Mi basta”. Spesso, infatti, il non saper dire “Dajenu” non è segno –come pretenderemmo- del cercare una fede ed un amore più profondi, ma molto più semplicemente del nostro egoismo e della nostra incapacità di riconoscere il bene e di goderne in santa pace.
Le sette letture veterotestamentarie della veglia pasquale con la lettera ai Romani ed il vangelo della resurrezione: contemplare
Contemplare. Forse questa è l’espressione giusta dell’atteggiamento che richiede e propone la veglia pasquale. L’uomo è invitato a ricordare, a soffermarsi. Come quando qualcuno si ferma a rievocare alla mente i passaggi più belli della propria vita e, ricordandoli, si riempie il cuore di dolcezza. Ricorda le svolte, le persone che lo hanno amato, il bene che ha cercato di realizzare e che di fatto ha compiuto, riconosce l’opera di Dio nella propria storia.
Analogo è l’itinerario proposto dalle letture. Invita a guardare non distrattamente il creato, con le creature secondo le loro specie, le loro sementi, i loro frutti, per soffermarsi su ognuna di esse. E poi chiede di ricordare le tappe della rivelazione e della fede che si sono lentamente succedute nella storia ed, insieme, le promesse che sempre hanno accompagnato le cadute. Infine, la realtà che supera ogni attesa e preparazione, l’evento più grande della stessa promessa.
Solo chi non sa contemplare si annoia. Serve calma interiore ed uno sguardo riconoscente per vivere la veglia di Pasqua. O forse, meglio, è la veglia di Pasqua che genera questa pace e questo sguardo.
Felix culpa
Prima di dire che è felice, bisogna essere chiari: è colpa. Ed è la causa di tutti i mali che sono nel mondo, di tutti i mali che dobbiamo sopportare, di tutto il peccato che avvilisce il mondo. Quella colpa ci merita il male: non solo non meritiamo il redentore –egli è grazia- ma il nostro peccato, il peccato dell’uomo, merita realmente la condanna!
Piuttosto è la potenza di Dio che non ha pari, che non ha il male come pari a sé, che sola è capace di trarre il bene anche dal male: “felice colpa che meritò un così grande redentore”.
Resurrezione spirituale e fisica
Noi siamo già risorti con Cristo. Noi risorgeremo con Cristo. Se è vero che si può dimenticare che la resurrezione ci attende ancora, che essa avverrà dopo la nostra morte, è anche vero che possiamo dimenticare che spiritualmente ci è già data una vita nuova. Tutta la vita cristiana testimonia –e deve testimoniare-questa vita nuova. Ci è ora possibile quell’amore, quella fede, quella speranza che prima neanche immaginavamo. La nostra resurrezione non è solo poi, ma è. Già ora.