Il Battesimo dei bambini. Note di prassi celebrativa, di Adelindo Giuliani
Riprendiamo quasi integralmente dalla rivista Culmine e fonte 3/2012, pp. 18-21, un articolo di Adelindo Giuliani. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (11/7/2012)
La costituzione Sacrosanctum Concilium (nn. 67-68) aveva prescritto la redazione di un rito specifico per il battesimo dei bambini. Chi non ha ricordi diretti del periodo precedente e non ha molta pratica con la storia liturgica potrebbe stupirsi nel leggere una tale prescrizione: prima del Concilio forse non si battezzavano i bambini? In realtà fin dall’epoca carolingia (sec. IX) in Europa si battezzavano solo bambini: con le cristianizzazioni di massa dell’alto medioevo, praticamente completate (purtroppo anche in maniera cruenta) da Carlo Magno, salvo poche nicchie sui confini orientali, non esistevano più adulti non battezzati.
Il rito liturgico però non aveva seguito il cambiamento di destinatari ma si era soltanto, per dir così, liofilizzato addensando in un unico atto liturgico della durata di una mezz’oretta (o anche meno) testi e gesti destinati in origine a scandire un periodo lungo (pluriennale) di conversione dell’adulto, di allontanamento da uno stile di vita incompatibile con la fede (di qui l’accompagnamento della comunità con preghiere di esorcismo), e di progressiva adesione consapevole a Cristo.
Fino al Concilio quindi si battezzavano i bambini, ma con un rito nato per gli adulti, sedimentato nel tempo e confluito senza sostanziali revisioni nel Rituale Romanum post-tridentino. Questo spiega la presenza di orazioni esorcistiche imperative, che suonano sconcertanti a un ascoltatore non preparato: si pensi a come rimarrebbero due giovani genitori che stringono orgogliosi tra le braccia un neonato che ispira solo sentimenti di amore e di tenerezza, sentendosi dire dal sacerdote: «Exi ab eo, immunde spiritus – Esci da lui, spirito immondo» e «Exorcizo te, immunde spiritus, […] ut exeas, et recedas ab hoc famulo Dei: ipse enim tibi imperat, maledicte damnate, qui pedibus super mare ambulavit… – Ti esorcizzo, o spirito immondo […] perché tu esca e ti allontani da questo servo di Dio; te lo ordina, dannato maledetto, colui che camminò sul mare…».
Solo l’uso della lingua latina (non più capita dagli astanti) aveva reso possibile il permanere nel rito di queste formule, tanto che il Consilium incaricato da papa Paolo VI di organizzare e guidare la riforma liturgica le espunse ancor prima che fosse redatto il nuovo rito, non appena fu data facoltà di amministrare i sacramenti nella lingua parlata dai fedeli.
Con la redazione di un nuovo rito furono anche riqualificati i luoghi della celebrazione (il fonte battesimale prima di tutto). Ma tutto ciò non ottiene per spontanea conseguenza l’oblio di una prassi stratificata e trasmessa per secoli e non genera ipso facto uno stile celebrativo adeguato.
Inoltre il rito uscito dalla riforma liturgica, anche se pensato esplicitamente per i bambini, anche se valorizza la scelta del nome e la liturgia della Parola, anche se coinvolge e interpella direttamente i genitori e i padrini (si pensi che prima la rinuncia a satana e la professione di fede veniva fatta interrogando i bambini, che ovviamente non potevano rispondere e che venivano sostituiti in ciò dai padrini), mantiene una giustapposizione di preghiere e gesti che in origine erano distribuiti su una scansione temporale ben più ampia.
E se i momenti rituali non sono distribuiti in più luoghi, se i segni vengono compiuti in maniera frettolosa e abitudinaria, la celebrazione assomiglierà a una seduta dal dentista. Lì il paziente siede e il medico ha vicino a sé una vaschetta con strumenti dall’uso ignoto, ma piuttosto inquietanti, che usa di volta in volta nella bocca del paziente. Qui i genitori siedono con il bambino in braccio, il sacerdote ha accanto a sé un tavolino con oggetti disparati (una conchiglia spesso metallica, candeline, ovatta, panni, tra i quali uno che, una volta spiegato, sembra un bavaglino, due recipienti metallici sui quali è scritto CAT e CHR (?!) e, a sbirciarci dentro, mostrano un tampone di colore indescrivibile,…); ogni tanto si prende qualcuno di questi oggetti e si compie qualche operazione sul bambino.
[...]
Proviamo a enucleare alcuni punti importanti che vanno valorizzati perché il rito parli ai presenti.
1. I LUOGHI: la porta, l’ambone, il fonte, l’altare.
Il rito prevede (n. 35) che il sacerdote si rechi alla porta della chiesa o al luogo dove sono riuniti genitori e padrini e li accolga. La porta della chiesa, segno cristologico, è il luogo dove confluiscono due movimenti: quello delle famiglie che portano il bambino alla chiesa e quello della Chiesa, presente almeno nel ministro, che corre incontro ai nuovi figli e li accoglie sull’uscio. Il portale potrebbe essere opportunamente ornato (fuori di dubbio che si spalanchi la porta centrale e non si entri da una porta laterale!). Il sagrato funge così da luogo dell’incontro gioioso e il movimento di ingresso diventa processione.
Durante la liturgia della Parola i bambini possono essere portati in un luogo a parte, che consenta agli adulti di seguire la proclamazione e l’omelia (cf. n. 42; ma bisogna che ci siano familiari o parrocchiani fidati che possano prendersi cura dei bambini).
Il battesimo si fa al fonte. Se il fonte è collocato in posizione non a tutti visibile o accessibile, ci si recano processionalmente il ministro, i genitori e i padrini [...]. È incredibile e inaccettabile che ancora si incontrino luoghi nei quali il fonte battesimale è usato come luogo di accantonamento delle sedie e il battesimo è amministrato in una misera ciotola metallica (quanto grande o quanto di metallo prezioso poco importa). Ove possibile, il battesimo può avvenire in acqua corrente, anche per immersione.
Per i riti di conclusione è esplicitamente previsto (n. 75) che si vada all’altare processionalmente, portando la candela accesa dei battezzati. Questo perché con il battesimo si avvia l’iniziazione cristiana, che verrà completata con la confermazione e con la piena partecipazione all’Eucaristia. Il riferimento all’altare indica quest’opera in via di realizzazione, che impegna in prima persona i genitori e i padrini, educatori dei neofiti, che li dovranno accompagnare nel cammino verso la mensa eucaristica.
2. ACQUA, OLIO, RITI ESPLICATIVI
Per contenere gli oli esistono o si possono far realizzare vasi decorosi, in vetro o altro materiale trasparente. Andrebbero decisamente preferiti ai ditali metallici indecifrabili con tampone. A tal proposito, né lo spirito né la lettera del rito prescrivono che ci si debba limitare a intingere il dito in un tampone. Meglio sarebbe se l’olio si vedesse e fosse riconoscibile come tale, opportunamente rinnovato ogni anno con gli oli consacrati dal vescovo nella messa crismale. Che problema ci sarebbe a intingere un dito nell’olio? I vasi si potrebbe stabilmente custodire in una teca presso il fonte, realizzata ovviamente in modo da evitare ogni confusione con il tabernacolo (porta trasparente, scritta “oli santi” etc.).
Oltre alle foto, due segni rimangono al bambino e alla sua famiglia dopo la celebrazione: la veste bianca e il cero. Se questi segni sono inconsistenti o dozzinali (veste dozzinale e candela votiva filiforme riciclata [...]), finiranno accantonati o addirittura gettati [...]. Addirittura qualcuno finisce per simulare il rito in due modi: o modificando la formula: «Questa veste bianca che indossi…» [...]. Un rito così immiserito rivela tirchieria, incomprensione del segno, scarsa capacità celebrativa. Due piccoli suggerimenti: della veste si potrebbe già parlare ai genitori e ai padrini durante la preparazione, spiegandone il senso e invitando a confezionarne una proprio per il loro bambino. La veste sarà allora non un oggetto anonimo, ma il regalo di una persona casa, magari cucito o ricamato per l’occasione dalla madrina, dalla nonna… Un oggetto tale non verrà gettato insieme con i vestitini che non entrano più.
Il cero potrebbe essere il dono della parrocchia (perché tutti fanno un dono ma la comunità cristiana, che accoglie questi nuovi fratelli, non dona nulla?). Un bel cero, di dimensioni rilevabili e con inciso un simbolo battesimale (basta il chrismon, il monogramma di Cristo, senza troppe sdolcinature). A distanza di tempo, si potrà chiedere che i bambini ritornino in chiesa con la loro candela battesimale per rinnovare la professione di fede.
3. LA PASCHA ANNÒTINA
Così nell’antichità si chiamava l’anniversario del battesimo, ovvero la pasqua (personale) che torna di anno in anno. Anche con i moderni mezzi di comunicazione […] si potrebbe trovare il modo per fare gli auguri e per ricordare ai genitori che quella data non va dimenticata, ma va inserita nel calendario della famiglia, magari decorata da un piccolo regalino e scandita da una visita in chiesa per una preghiera davanti al fonte battesimale.