Quando l’Africa era Occidente. Un legame che si ruppe dopo il VII secolo con la conquista araba, di Edoardo Castagna
Riprendiamo da Avvenire del 16/6/2012 una recensione di Edoardo Castagna al volume di Antonio Ibba, L’Africa mediterranea in età romana, Carocci. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (16/6/2012)
Quando l’Africa era Occidente. Anche le civiltà migrano: la nostra trecento anni fa ha d’un tratto abbracciato l’America, e da “europea” è diventata “occidentale”. Mille anni prima un analogo balzo: quando, con quell’immane rimescolamento geopolitico che fu l’Alto Medioevo, la linea di faglia che separa “noi” da “loro” slittò verso nord di un migliaio di chilometri, ed enucleò l’Europa.
Prima di allora, nel mondo classico, i confini erano differenti: ciò che stava al di là del limes, la linea Reno- Danubio, era barbarie; per contro, a sud il Mediterraneo non era divisione ma collegamento, e la civiltà romana proseguiva ininterrotta ad abbracciare il Nordafrica. Si fermava soltanto più in là, di fronte alle invalicabili sabbie del Sahara.
A quell’Africa, pienamente inglobata nella civiltà classica, Antonio Ibba dedica questa sua monografia, incorniciata da rigidi confini cronologici. A monte, il 202 avanti Cristo, quando con la battaglia di Zama Scipione stabilì una testa di ponte del dominio romano al di là del mare; a valle, il 442 dopo Cristo, quando i Vandali di Genserico scacciarono le ultime legioni e fecero di Cartagine la capitale del loro regno.
Sei secoli di civiltà latina che in Nordafrica non fu ospite né tanto meno colonizzatrice, ma altrettanto metropolitana di quella che s’installò in Italia, in Gallia, in Spagna. Urbem fecisti, quod prius orbis erat , “Hai fatto una città di ciò che prima non era che un mondo”: nelle città dell’Africa romana l’epitaffio di Rutilio Namaziano si respirava quotidianamente.
Leptis Magna, Oea, Sabratha erano altrettanto romane di Roma stessa, e le loro grandiose rovine ancora oggi lo mostrano. La narrazione di Ibba ne ripercorre la parabola con precisione: è un saggio denso e asciutto, questo, che nulla concede ai fronzoli para-letterari che oggi vanno per la maggiore. Un merito, tanto più che non per questo viene meno la profondità dell’analisi, anzi. L’Africa romana andava dall’Atlantico alla Tripolitania; oltre, da Cirene in poi, la tradizione era greca, e a tale retaggio sarebbe sempre rimasta fedele fino alla divisione dell’impero romano.
L’Africa d’Occidente entrò nell’orbita latina con la seconda e la terza guerra punica; fu teatro della scontro con Giugurta, della guerra civile tra Mario e Silla, di quella tra Cesare e i pompeiani. Eventi centrali della storia di Roma, dunque, che in terra d’Africa visse pagine fondamentali.
Accanto e intorno alle battaglie, procedeva l’evoluzione del sistema sociale, economico e culturale del territorio, sempre nel quadro imperiale pur con caratteristiche regionali proprie; qui sperimentarono le proprie riforme Caligola e Vespasiano, e da qui – da Leptis Magna – mosse l’ascesa di Settimio Severo fino al trono imperiale, che tenne dal 193 al 211.
Con il Basso impero anche l’Africa fu segnata dalle crisi e dai conflitti intestini che travagliarono l’intero mondo romano, ma al tempo stesso vide l’affermarsi della nuova fede cristiana, che proprio qui toccò alcune delle sue vette più alte. Sant’Agostino, nato a Tagaste, nell’odierna Algeria, nel 354, non fu solo un altro figlio, ma un padre dell’Africa romana: «A giusto titolo – scrive Ibba – il periodo posteriore alla conversione, coincidente con l’ascesa al potere dei Teodosio, può essere definito come l’età di Agostino, giacché attraverso la sua penna abbiamo notizia dei principali fatti accaduti in Africa, e non a caso questa fase si chiuse con la sua morte, coincidente con l’assedio dei Vandali a Ippona. Meno di dieci anni dopo cadrà anche Cartagine e con lei finirà, di fatto, il controllo politico di Roma sulle città dell’Africa».
Si conclude nello stesso istante anche la narrazione dello storico dell’Università di Sassari, sebbene anche con il Regno dei Vandali l’Africa avrebbe continuato a essere Occidente. Non solo perché il loro dominio si estendeva anche su terre europee quali la Sicilia, la Sardegna, la Corsica e le Baleari, ma soprattutto perché, come ogni regno romanobarbarico, aveva nell’elemento latino una delle sue architravi. Soltanto con la conquista bizantina, nel 534, e soprattutto con quella araba, dal 647, l’Africa si staccò dall’Occidente e il Mediterraneo, da ponte che era stato, divenne frontiera.