1/ Nozze gay: dietro lo scontro tra anglicani e governo inglese. Il vero obiettivo, di Carlo Cardia e 2/ Matrimonio e omosessuali: i «laici» argomenti dei cattolici, di Francesco D'Agostino
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1/ Nozze gay: dietro lo scontro tra anglicani e governo inglese. Il vero obiettivo, di Carlo Cardia
Riprendiamo da Avvenire del 13/6/2011 un articolo scritto da Carlo Cardia. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (16/6/2012)
Di nuovo si sta sviluppando un contenzioso in Europa, con il tentativo di snaturare l’istituto del matrimonio, aprendolo giuridicamente e socialmente alle coppie non eterosessuali. È la volta dell’Inghilterra, dove il progetto di Cameron di approvare il matrimonio gay, che già trova resistenza nel partito del premier britannico, è stato contestato in un importante documento della Chiesa Anglicana. Il cuore della contestazione riguarda il concetto stesso di matrimonio che, si sottolinea, per sua natura sancisce l’unione solidale di vita tra uomo e donna, aperta alla procreazione e educazione delle nuove generazioni.
Estendendolo ad altri tipi di relazioni si svuota il matrimonio del suo significato naturale e sociale, se ne promuove un uso 'consumistico', lo si piega a finalità individualistiche, privandolo di quel valore generale che ne fa un cardine della società umana. Per la Chiesa anglicana, così operando, il matrimonio non costituirebbe più un istituto di diritto naturale cui l’uomo e la donna si conformano per il raggiungimento di scopi connaturati alla propria essenza antropologica e all’incontro delle due identità sessuali, ma diverrebbe uno strumento plasmato dallo Stato per conseguire utilità individuali del tutto diverse. Un ritorno indietro formidabile sul piano sociale e della cultura giuridica: non sono più le realtà naturali a precedere lo Stato, che le riconosce e le favorisce, ma è lo Stato che le trasforma, e deforma, sottoponendole a leggi arbitrarie. Un salto indietro, e fuori, della storia che cancella la concezione umanistica del diritto, ne sancisce l’origine statocratica.
La Chiesa anglicana aggiunge un’altra obiezione al progetto Cameron, quando osserva che attualmente questo progetto non prevede l’obbligo per la Chiesa di celebrare il matrimonio dei gay, e tuttavia, per un gioco di specchi frequente nel mondo del diritto, questo obbligo può divenire l’esito di una riforma satura di conseguenze. Poiché la Chiesa anglicana celebra matrimoni validi civilmente, può accadere che, con ricorsi a tribunali inglesi o alla Corte europea di Strasburgo, sulla base di letture o interpretazioni fuorvianti del principio di eguaglianza, qualche giudice stabilisca il dovere delle autorità anglicane di consentire in ambito religioso l’esercizio di un diritto che lo Stato riconosce con le proprie leggi.
Saremmo di fronte, così, a uno di quegli esempi, di cui si è parlato anche di recente su Avvenire, in cui lo Stato finisce con l’imporre alle Chiese comportamenti contrari ai princìpi di fede e di morale su cui esse si fondano, ai quali devono rimanere fedeli. La densità del documento, la sostanza delle ragioni che la comunità anglicana oppone al progetto Cameron lasciano intravedere un contenzioso decisivo che si va estendendo da tempo in Europa. La controversia britannica infatti va inserita in un orizzonte più vasto, se si considera che già l’ideologia zapaterista ha realizzato in Spagna lo stesso obiettivo, di esso ha parlato il presidente Hollande in Francia, e non può escludersi che sia prospettato in altri Paesi.
I progetti analoghi a quello inglese dimostrano ormai che il loro obiettivo non è garantire chiunque contro le discriminazioni per le proprie tendenze sessuali, né di assicurare alle coppie non eterosessuali alcuni diritti individuali, ma di conseguire un risultato ideologico di valore simbolico, capace di incrinare il concetto e la sostanza del matrimonio, come consegnatici dall’eredità classica e dalla tradizione cristiana, senza curarsi delle conseguenze che ne derivano per la società, la crescita e l’educazione delle nuove generazioni.
È questo il cuore di una riflessione che deve farsi per il futuro di una Europa che sta vivendo una delle crisi più dure della propria storia, dal punto di vista economico, dei valori ispiratori, delle idealità etiche e spirituali. In questa crisi di cui stiamo cercando di decifrare dimensioni e contenuti, si vuole insinuare un cuneo, provocare la metamorfosi e l’involuzione dell’istituto del matrimonio che chiunque nel mondo considera fulcro e base naturale della società umana.
Siamo di fronte a una macroscopica operazione di trasformismo relativistico che si sta dispiegando nella società moderna, i cui esiti patologici sono oggi incalcolabili, si proiettano nel tempo e ricadono sulle nuove generazioni. Per questa ragione, le Chiese cristiane, altre confessioni religiose, persone e movimenti ispirati ai valori dell’umanesimo laico e cristiano, si impegnano perché la famiglia e il matrimonio possano svolgere il proprio ruolo nella società, per il benessere umano e morale delle sue componenti, in primo luogo per i giovani e il loro futuro.
2/ Matrimonio e omosessuali: i «laici» argomenti dei cattolici, di Francesco D'Agostino
Riprendiamo da Avvenire del 15/5/2012 un articolo scritto da Francesco D'Agostino. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (16/6/2012)
Anche Pierluigi Battista (si veda la sua rubrica dal titolo inequivocabile «Il matrimonio gay non è una minaccia», apparsa ieri sul Corriere della Sera), prende posizione, palesemente favorevole, in merito alla legalizzazione delle unioni omosessuali. Posizione ovviamente rispettabile, anzi, tanto più rispettabile in quanto lo stile di Battista è tra i più lucidi e garbati.
Proprio per questo, però, dispiace dover rilevare come anche lui assuma una posizione argomentativa preconcetta e infondata, quella di chi pensa che i cattolici, convinti che questo tema costituisca «un’offesa alla religione cristiana», si oppongano per ragioni confessionali al riconoscimento dei diritti civili delle coppie gay. Di qui l’esortazione (sgradevolmente paternalistica) da lui rivolta ai credenti a smetterla di avvertire, quando si parla di questo argomento, un’«aura di sulfureo, peccaminoso, intollerabilmente anomalo». Le cose non stanno così.
I cattolici (nella loro stragrande maggioranza) sono ben più maturi di come sembra ritenerli Battista; non si sentono «minacciati» né «offesi» da nessuno, né avvertono alcun’aura di sulfureo, quando ascoltano le tante (banali e monotone) istanze favorevoli al matrimonio gay. Semplicemente, essi vorrebbero non essere oggetto di fin troppo facili e infondate ironie e soprattutto che i loro argomenti (tante volte ribaditi su Avvenire con rigore e pacatezza) fossero presi sul serio. È esagerata questa richiesta? O è il minimo che si possa pretendere, in un dibattito pubblico di questa portata?
Riassumiamo la questione in pochi punti essenziali. Primo punto: il matrimonio eterosessuale non è un’invenzione della Chiesa; è un istituto giuridico, finalizzato a garantire l’ordine delle generazioni, riscontrabile in tutte (ripeto: tutte) le culture e in tutti (ripeto tutti) i tempi. Corollario: difendendo il matrimonio eterosessuale, la Chiesa difende non un dogma di fede o un principio della propria dottrina, ma una dimensione del bene umano oggettivo.
Secondo punto: si può ben procreare, come Battista ci ricorda, al di fuori del matrimonio (questo lo sanno perfino i cattolici!), ma la funzione del matrimonio è proprio quella di porre un rigoroso ordine sociale nella procreazione, a garanzia delle nuove generazioni.
La crisi del matrimonio - fenomeno ciclico, ma in questo momento storico particolarmente acuto - va considerata con grande preoccupazione, perché è la causa fondamentale della crisi della famiglia, fattore insostituibile di stabilità intergenerazionale e di tutela sociale dei soggetti deboli. Corollario: piuttosto che riconoscere il matrimonio gay, naturalmente sterile, la società dovrebbe operare per un efficace sostegno delle famiglie (e in particolare di quelle numerose) e dovrebbe supportare, cosa che fa solo in minima parte, l’impegno delle famiglie a favore dei minori, dei malati, degli anziani.
Terzo punto: i diritti che secondo Battista dovrebbero essere attribuiti alle coppie gay sono molto meno eclatanti di quanto non possa apparire quando li si qualifica come «diritti civili»: essi non solo sono facilmente attivabili con quello che la scienza giuridica chiama il «diritto volontario» (reversibilità della pensione, subentro nel contratto di locazione, assistenza ospedaliera, diritti successori), ma in gran parte sono già ampiamente fruibili a seguito di interpretazioni estensive delle leggi vigenti fatte dalla Cassazione. Corollario: la vera posta in gioco, quando si dibatte sul matrimonio gay, è simbolica, non è giuridica né sociale; i suoi fautori vorrebbero che il diritto riconoscesse situazioni affettive, di cui nessuno vuole negare l’autenticità "privata", ma che non hanno però in sé e per sé, alcun rilievo "pubblico", e questo proprio in un momento storico in cui da parte di tanti ci si batte per allentare ulteriormente i vincoli istituzionali, che nascono dai legami matrimoniali (si pensi al "divorzio breve", ecc.).
Esiste una spiritualità del matrimonio, che i cattolici hanno carissima, quando riflettono sul carattere sacramentale riconosciuto da Gesù a questo vincolo. Non è però il matrimonio-sacramento che oggi è in crisi e che va difeso, ma il matrimonio "civile", come credo ben emerga dai punti che ho indicato. È su questi punti, privi di qualsiasi rilievo confessionale, che insistono da anni i cattolici, in quanto hanno a cuore il bene di tutti, credenti e non credenti. Perché non si forniscono loro risposte convincenti, anziché deformare le loro argomentazioni per poter farne oggetto di ironia?