«Andate e fate discepoli, battezzando e insegnando» (Mt 28, 19-20) Riscopriamo la bellezza del Battesimo. Convegno diocesano 2012. Relazione del Cardinale Vicario Agostino Vallini

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 13 /06 /2012 - 09:23 am | Permalink | Homepage
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Mettiamo a disposizione on-line la relazione pronunciata da S. Em. il Cardinale Vicario Agostino Vallini nel corso del Convegno diocesano 2012, San Giovanni in Laterano, il 12/6/2012. Per ulteriori testi sull'argomento, vedi la sezione Catechesi e pastorale.

Il Centro culturale Gli scritti (13/6/2012)

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«Andate e fate discepoli, battezzando e insegnando» (Mt 28, 19-20)

Riscopriamo la bellezza del Battesimo. Relazione del Cardinale Vicario tenuta presso la Basilica di San Giovanni in Laterano, 12 giugno 2012 per il Convegno diocesano 2012

Cari fratelli e sorelle !

1. Vi saluto con affetto e vi ringrazio per la vostra presenza, che testimonia la comune passione di servire il Vangelo nella nostra città. Sentiamo tutti di vivere una stagione difficile; siamo nel mezzo di una crisi profonda che ferisce tante persone e che ci angustia: una crisi non solo economica ma di sistema, le cui radici e gli effetti spirituali, morali e culturali sono più che evidenti. Ma tutto ciò non indebolisce la nostra fede, l’azione evangelizzatrice e la nostra presenza nella società, anzi la rafforza, perché - fondati sul mandato di Gesù Risorto - crediamo fermamente nell’opera dello Spirito Santo che trasforma i cuori e ci rende cooperatori efficaci del disegno di salvezza e del cammino storico del nostro Paese nel quale dignità, equità, solidarietà, integrazione, desideriamo che siano valori che muovano le persone nel loro vivere sociale.

2. Rinnovo al Santo Padre, anche questa sera, la nostra profonda gratitudine per averci guidato e fortificato con il suo magistero. Ringrazio di cuore quanti in Vicariato e nelle parrocchie - in particolare i Parroci - si sono adoperati perché questo nostro convenire pastorale possa portare frutti.

3. Oggetto del nostro convegno - ulteriore tappa del progetto pastorale iniziato nel 2009 come ho detto ieri sera nel saluto al Santo Padre, è di ripensare il modo di generare alla fede nel contesto culturale e sociale odierno. E’ uno dei cinque ambiti della pastorale ordinaria che abbiamo deciso di potenziare, attraverso un’approfondita riflessione, per ricentrare e “aggiornare” (nel significato che al termine ”aggiornamento” è stato dato dal Concilio Vaticano II[1]) la missione della Chiesa a Roma, dopo aver portato la nostra attenzione sull’Eucarestia domenicale e la testimonianza della carità (2010).

4. Lo scorso anno - ricorderete - abbiamo cominciato a riflettere sull’iniziazione cristiana, precisandone i termini, con l’intesa di analizzare la prassi attuale sulla base di un sussidio predisposto allo scopo dagli Uffici del Vicariato. Un argomento che tutti riconosciamo impegnativo, ma al tempo stesso essenziale e appassionante. Un tema a cui continuamente ci richiama il Santo Padre. Lo scorso 31 dicembre 2011, durante la celebrazione di ringraziamento della diocesi e della città di Roma per l’anno che si chiudeva, il Papa, ricordando il nostro percorso di approfondimento dell’iniziazione cristiana, ci diceva che “annunciare la fede… è il cuore della missione della Chiesa e l’intera comunità ecclesiale deve riscoprire con rinnovato ardore missionario questo compito imprescindibile” .
Ma quale fede vogliamo annunciare? Non in un dio generico ma nel Dio di Gesù Cristo, per diventare suoi discepoli e dare forma evangelica alla vita; è la fede secondo cui la nostra esistenza non è in balia del caso e degli eventi ma è guidata dalla sapienza infinita di un Padre che ci ama e ci apre alla comunione dei santi; è la fede di chi consapevolmente riconosce il suo peccato e dal Signore invoca misericordia; è la fede che fa vivere la Chiesa e la spinge alla missione; è la fede che squarcia i veli della storia e fa intuire l’eternità. La Provvidenza ha voluto che questa fede fosse annunciata ai cristiani di Roma dagli apostoli Pietro e Paolo. E questa medesima fede la Chiesa di Roma da allora ha sempre annunciato con esemplarità e ancora oggi sente di dover annunciare. L’ormai prossimo Anno della Fede è una grazia che ci stimolerà ancora di più. 

5. L’intento di questa mia relazione è di raccogliere quanto è emerso nel cammino di preparazione delle parrocchie e di indicare un percorso pastorale con indicazioni concrete per le assemblee di prefettura di questi giorni, in vista di successive determinazioni.
Un punto acquisito fin dal Convegno dell’anno scorso è che generare alla fede è un processo che comincia con la nascita e la richiesta del sacramento del Battesimo da parte dei genitori.
Noi tutti, in verità, non facciamo fatica ad accettare questo principio, ma dobbiamo riconoscere che la prassi pastorale per lo più non ha incorporato il Battesimo nei percorsi di iniziazione cristiana, che nel sentire comune si limitano solo alla prima Comunione e alla Cresima. Il Battesimo, sebbene rappresenti la porta della fede e di ingresso nella comunità cristiana, non ha ricevuto grande attenzione, e da molti genitori è considerato un atto buono di affidamento a Dio del loro bambino. (Altra cosa naturalmente è l’iniziazione cristiana degli adulti, la cui prassi del catecumenato ripristinata recentemente ha bisogno di essere consolidata e pone semmai altri problemi). 

6. Il Consiglio dei Parroci Prefetti nei mesi passati ha riflettuto a lungo su tutto l’itinerario di iniziazione cristiana nella nostra diocesi ed è giunto alla determinazione che, nel contesto culturale di oggi, non sarebbe stata una scelta oculata ed efficace affrontare tutti i problemi del lungo e impegnativo cammino. Per questa ragione si è deciso di limitare quest’anno la nostra attenzione alla prima tappa, quella del Battesimo dei bambini fino ai sette anni. La Chiesa di Roma sceglie di impegnarsi a far riscoprire l’inestimabile ricchezza del Battesimo, perché ama la vita e i genitori che scelgono di far nascere nuovi figli, e ama Dio Padre della vita che nel Battesimo li fa rinascere in Cristo come suoi figli.

Le principali ragioni di un impegno rinnovato

7. Le principali ragioni di un rinnovato impegno della pastorale battesimale possono compendiarsi nelle seguenti: la necessità di potenziare la responsabilità della parrocchia nel generare alla fede; la debolezza educativa della famiglia; l’urgenza di proposte per l’accompagnamento post-battesimale; la ricerca di nuove risorse pastorali.

La riscoperta della responsabilità della parrocchia

8. Dalla lettura delle relazioni emerge che molti fedeli non percepiscono la parrocchia come la “comunità-madre” che genera alla fede e alla grazia e accoglie per vivere insieme i doni di Dio, ma forse soltanto come la struttura religiosa deputata a dare i sacramenti. Non dovrebbe essere così.
Il Battesimo fin dalle origini cristiane fu conosciuto e praticato come il segno attraverso il quale quanti credevano in Gesù, Figlio di Dio e Salvatore, entravano a far parte della comunità dei discepoli. “Non esiste una fede come scelta del singolo. Una fede che non comportasse l’essere assunti concretamente nella Chiesa, non sarebbe fede cristiana… La comunità dei credenti, a sua volta, è una comunità sacramentale, vale a dire che vive di ciò che non si dà essa stessa … La fede nasce dalla Chiesa e porta ad essa”[2]. Per questo il rito ha avuto fin dall’antichità delle costanti: l’annunzio del Risorto da parte della Chiesa, l’invito alla conversione e alla fede in lui, il gesto battesimale, il dono dello Spirito e l’inserimento nella comunità[3]. Ieri Mons. Crispino Valenziano ce lo ha mostrato a sufficienza.
Questa verità di fede ha dato forma all’esperienza cristiana. La Chiesa particolare, “nella quale è veramente presente e agisce la Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica e apostolica”[4], è articolata in parrocchie, cioè comunità ecclesiali affidate dal Vescovo ad un parroco, le quali su un determinato territorio – insegna il Concilio Vaticano II - “rappresentano in certo modo la Chiesa visibile stabilita su tutta la terra”[5]. Nella concretezza e quotidianità della vita la parrocchia è via alla Chiesa. Essa è la comunità – grande o piccola è secondario – e il luogo dove si rinnova il miracolo della presenza di Dio e dove Dio è accessibile a tutti. Il fonte battesimale parrocchiale è il grembo dove si nasce alla fede e si è accolti in una concreta comunità ecclesiale, chiamata a farsi carico con i genitori e i padrini della crescita nella vita cristiana dei bambini battezzati. 

9. Questa coscienza di appartenenza alla Chiesa in una concreta comunità parrocchiale, cioè la comunità ecclesiale dove la famiglia del battezzato vive e dove il bambino crescerà o una eventuale parrocchia di elezione, a Roma purtroppo non è sentita da tutti. Al riguardo vorrei evidenziare due aspetti.
Il primo è che, nel contesto culturale di oggi, come dirò più avanti, dobbiamo esser consapevoli che il parroco non può più presumere sempre che la famiglia trasmetta la fede, la nutra e la faccia crescere, così che la comunità parrocchiale possa accontentarsi della preparazione prossima e della celebrazione del Battesimo. Si tratta dunque di avviare una pastorale battesimale e soprattutto post-battesimale, che confido vivamente abbia inizio a partire proprio da questo convegno. Incoraggio tutti a compiere uno sforzo affinché ciò avvenga. Questa prospettiva educativa è in piena sintonia con il programma pastorale della Conferenza Episcopale Italiana per questo decennio, Educare alla vita buona del Vangelo.
In secondo luogo, è un dato di fatto che non pochi genitori considerano il sacramento come un evento religioso isolato, a sé stante, un rito che non impegna far parte della comunità ecclesiale. Questa mentalità, di fatto, mette fuori gioco la parrocchia e il suo compito di comunità educante.

La debolezza educativa della famiglia 

10. La popolazione italiana in larga maggioranza continua a dichiararsi cattolica e guarda alla Chiesa come ad un “importante punto di riferimento identitario e morale”[6]; nondimeno cresce “l’analfabetismo religioso” e lo scollamento nel sentire di tante persone e famiglie che si dichiarano distanti dalle posizioni del Magistero, soprattutto in campo etico-morale, rivendicando un’autonomia di giudizio e di orientamento personale, in una prospettiva di individualismo religioso, pur continuando a chiedere il Battesimo e gli altri sacramenti.
Si aggiunga che Roma, città moderna, ha perso un’identità collettiva. Le famiglie popolano in modo pressoché anonimo i grandi quartieri, soprattutto di periferia, formatisi come agglomerati urbani dalle periodiche ondate migratorie che hanno trasformato in maniera strutturale la fisionomia della città (in 60 anni Roma ha acquistato più di un milione di abitanti). In questi quartieri, la gente spesso abita ma non vive e non socializza. Le famiglie giovani poi, molte delle quali non sono radicate nel quartiere, non hanno legami con la parrocchia e non si sentono attratte da essa. Né va dimenticato un altro crescente fenomeno: mi riferisco alla presenza di nuclei familiari di immigrati, molti dei quali sono cristiani, o comunque si avvicinano alla parrocchia per varie ragioni. 

Verso una nuova azione pastorale

11. Si pone dunque una questione di fondo: in che modo oggi la comunità parrocchiale può favorire il percorso di fede delle famiglie che chiedono il Battesimo per i propri bambini? E come facilitare il loro inserimento nella comunità così che gradiscano un accompagnamento nell’avventura educativa a cui sono chiamate? Si tratta, certo, di un percorso tutt’altro che scontato ed esposto a molti ostacoli; ma la stessa richiesta del Battesimo da parte dei genitori è la porta che si apre sulla possibilità di iniziare o perfezionare un itinerario di vita cristiana.
Come procedere? A me pare che anzitutto bisognerebbe tenere in considerazione tre elementi o criteri[7]: gli atteggiamenti dei genitori, cioè i loro orientamenti di fondo verso la fede, frutto della formazione e visione della vita, prospettando loro un discernimento sul vissuto, stimolato anche dalla nascita di un figlio. “La fede – scrive il Papa - cresce quando è vissuta come esperienza di un amore ricevuto e quando viene comunicata come esperienza di grazia e di gioia”[8]. Bisogna perciò promuovere vie e forme di incontro con Dio per plasmare la vita in senso cristiano. Solo dopo nascerà il desiderio di appartenere alla Chiesa in modo stabile e responsabile.
Un secondo elemento riguarda i contenuti della fede. A partire da Gesù Cristo, centro della fede, è necessario offrire percorsi che abbiano lo scopo di far superare l’analfabetismo delle verità centrali della fede cristiana mediante la conoscenza e l’interiorizzazione della Parola di Dio, del mistero celebrato nella liturgia, soprattutto nell’Eucarestia domenicale, e delle verità morali. Il Catechismo della Chiesa Cattolica e il Catechismo per gli adulti della CEI, La verità vi farà liberi, sono preziosi sussidi al riguardo. Occorre dare alla formazione la caratteristica di un “secondo annuncio”, mediante forme kerigmatiche e esperienze vive e convincenti. “Il Vangelo non è soltanto una comunicazione di cose che si possono sapere, ma è una comunicazione che produce fatti e cambia la vita”[9].
Infine, è importante orientare a compiere delle scelte, cioè a decisioni che modellano la vita quotidiana e non soltanto suscitano buoni propositi. 

12. Tenendo presenti questi criteri, dobbiamo mirare sia alla formazione cristiana dei genitori che alla loro preparazione a trasmettere la fede al proprio bambino. Da un lato, dunque, si devono aiutare i genitori a vivere da cristiani e dall’altro supportarli nell’opera educativa.

I genitori anzitutto

1) In primo luogo, è importante far sentire ai genitori l’abbraccio accogliente della Chiesa-madre del loro bambino e con lui di tutta la famiglia. La comunità gioisce con loro per il dono grande della vita e per la decisione di battezzare il loro figlio. Dovremmo riuscire a trasmettere che la nostra gioia nasce dal legame profondo fra la nascita e la rinascita, fra l’evento stupendo della generazione umana e l’evento ancora più mirabile della redenzione e della santificazione attraverso il dono della vita divina[10].

2) Nella frammentarietà della vita moderna, la formazione dei genitori comincia col sostenere la loro comunione di vita, che nei primi anni di matrimonio è spesso più bisognosa di cura e di accompagnamento, perché cresca la loro relazione sponsale e genitoriale. Poiché il contesto culturale contemporaneo disorienta e mette in discussione il “per sempre” del matrimonio, in un relativismo “che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie”[11], si deve puntare a far comprendere che nessuno viene al mondo per caso, ma che Dio ha creato gli sposi l’uno per l’altro, perché si amino e la loro unione completi e consolidi lo sviluppo della persona di ciascuno con la transizione dalla centralità dell’io alla persona del coniuge[12]. In forza del sacramento del matrimonio, i coniugi sono rafforzati nell’amore reciproco e diventano ministri della santificazione e dell’educazione dei figli. Ciò può essere reso più credibile con la testimonianza di catechisti - coppie di sposi e di genitori esemplari - il cui matrimonio in Dio è un’esperienza di vita piena e felice. La qual cosa vale ancora di più – se così posso dire – per le coppie di fatto o quelle in situazioni irregolari, divorziati-risposati, che si avvicinano alla parrocchia proprio in occasione del Battesimo del loro figlio. La circostanza è provvidenziale per far nascere un rapporto di amicizia con il parroco e i catechisti e far sentire – come ha detto il Papa recentemente a Milano – “che la Chiesa le ama... Mi sembra un grande compito della parrocchia, …, di fare realmente il possibile perché esse sentano di essere amate, accettate, che non sono fuori anche se non possono ricevere l’assoluzione e l’Eucarestia”[13]. C’è da augurarsi che percorsi personalizzati possano portare – quando è possibile – a sanare la loro posizione.

3) Offrire ai genitori un accompagnamento spirituale che li aiuti a scoprire la bellezza del mistero di essere genitori e che l’aver cooperato con Dio nel mettere al mondo un figlio è una vocazione alla pienezza e alla santità che fa bella la loro vita. E’ questa la via che “trafiggerà il loro cuore” e farà desiderare di crescere spiritualmente, alimentando così il benessere del loro bambino.

4) È Dio che educa il suo popolo[14], ma si serve anzitutto dei genitori, e di tutti e due insieme, come suoi alleati, per far comprendere che la fede corrisponde alla verità dell’uomo nella sua interezza.
I genitori educano sempre, anche quando non parlano ai figli. È sbagliato pensare che si possa restringere l’educazione ai momenti di rapporto diretto con i bambini. Se ci pensiamo: i bambini sono sereni, perché c’é serenità in casa; imparano a perdonare, perché vedono il papà e la mamma che si perdonano; giudicano un programma televisivo stupido o intelligente, perché vedono i genitori che ne discutono tra loro e ne danno un giudizio. Essi ci guardano sempre! Così imparano a credere in Dio, ad amare e a pregare perché mamma e papà credono, si scambiano l’amore e pregano insieme. Sicché l’opera educativa finalizzata a suscitare la fede nel bambino non è separata da quella volta alla sua formazione umana integrale e i genitori devono offrirsi come modelli. L’educazione umana e cristiana comincia in casa e fin dalla culla. 

5) L’educazione propone la verità con autorità, perché solo la verità rende liberi (cfr. Gv 8,32). Non si nasce liberi, ma lo si diventa conoscendo la verità. L’educazione deve avvenire fin dalla più tenera età, perché i bambini non trovano il bene da soli. Non basta lasciare libero qualcuno, perché trovi il bene da solo. Dire: io non gli propongo niente per paura di influenzarlo, significa lasciare che qualcun’altro lo influenzerà. Educare è presentare con passione tutto il bene che si conosce, mostrando il fascino del vero e del bello, pur sapendo che negli anni critici dell’adolescenza tutto ciò potrà essere messo in discussione. Questo vale in maniera incomparabilmente più vera per la fede. Un genitore credente non dice al figlio che è la stessa cosa credere o non credere. Presenta con gioia la sua fede e continuerà ad amare suo figlio se, da adolescente, abbandonerà la fede.

6) L’educazione non è opera di specialisti, ma di chi dona la vita. E’ questo un punto molto importante. L’educazione, che è un compito – forse meglio un’arte - insieme semplice e difficile, bellissimo e faticoso, spetta anzitutto a chi dona la vita, cioè ai papà e alle mamme. Il bambino si fida di loro, non perché sono specialisti, ma perché sono i suoi genitori.
Ai tanti genitori scoraggiati, tentati di sentirsi inadatti al loro compito, la Chiesa di Roma dice: siete i migliori papà e le migliori mamme che i vostri figli possano avere! Nessuno potrà sostituirvi! Riscoprite con fiducia la vostra responsabilità educativa: amate i vostri figli, curate gli affetti, crescete nella fede e nella carità, sarete degli ottimi educatori[15]! 

Elementi fondamentali dell’educazione religiosa dei bambini.

13. Quanto sto per dire vuol essere di riferimento ad un itinerario formativo dei bambini alla scoperta della fede da modulare secondo l’età e le circostanze concrete di ciascuno. Sono idee che i genitori dovrebbero tenere presenti, aiutati dai catechisti.

1) La Chiesa antica ha maturato nel catecumenato un’esperienza di trasmissione della fede. Quattro – come sappiamo - sono i pilastri dell’azione educativa catecumenale: il Credo come sintesi della storia della salvezza, la vita liturgica, la vita vissuta secondo i dieci comandamenti e il precetto dell’amore, e l’insegnamento del Padre nostro. Il Catechismo della Chiesa Cattolica, di cui ricorre quest’anno il 20° anniversario della pubblicazione, riprende queste quattro dimensioni. Orbene, se il bambino le vedrà vivere dai genitori e dalla comunità cristiana, crescerà con esse e gradualmente le comprenderà.

2) L’importanza della preghiera e del rito. A differenza degli adulti, nei quali la riflessione sull’identità della fede precede la preghiera, la liturgia e la vita morale, il bambino si incammina verso Dio innanzitutto con il rito. Anche se non comprende ancora le parole, percepisce che il segno di croce con cui i genitori lo benedicono da piccolo è un segno differente da tutti gli altri gesti di affetto. Quando vede i genitori inginocchiarsi, pregare, leggere il Vangelo, oppure cantare in chiesa, intuisce che essi sono dinanzi a qualcosa di diverso, anche se non è in grado di esprimere tutto ciò. Nell’educazione dei bambini, dunque, la preghiera e il rito hanno un posto centrale, ancor prima dell’apprendimento catechetico. È soprattutto l’anno liturgico ad essere la grande scuola della sua fede. Attraverso le feste cristiane egli imparerà a conoscere e ad amare Gesù.

3) L’importanza di far conoscere la fede senza renderla infantile. Generare alla fede non è una scelta di ripiegamento su ciò che è infantile, quanto piuttosto il bisogno degli adulti di trasmettere a chi viene dopo i doni ricevuti. I bambini sono sorprendenti anche per la loro curiosità intellettuale che se non è certo quella di un adulto, è però viva e vera. Quando il bambino domanda: “Chi è Dio?”, “Chi ha creato il mondo?”, “Dove sta ora la nonna che è morta?”, “Perché quella persona è cattiva?”, “Dove ero io prima di nascere?”, e così via, pone domande a cui gli adulti debbono saper rispondere non in maniera banale e approssimativa. E ciò non è facile. Non si deve attendere il cammino più strutturato di preparazione all’Eucarestia per far conoscere loro la fede cristiana. È un diritto dei bambini apprendere la fede pian piano, fin dai primissimi anni, proporzionalmente al maturare della loro intelligenza. Il sussidio che sarà pubblicato questa estate dal Vicariato fornirà suggerimenti più concreti a questo scopo.

4) L’educazione al bene per imparare ad amare. Educare alla fede vuol dire aiutare i bambini a seguire la via del bene. Il rispetto dell’altro, la disponibilità a condividere le cose, sia pure faticosamente, con gli altri fratelli, l’amore agli anziani, far emulare gli stessi gesti di carità fatti dai genitori, non è un’aggiunta esteriore alla crescita, ne è costitutiva, serve a iniziare a maturare il senso morale, perché il rapporto con gli altri è parte essenziale del vivere. Seguire il bene vuol dire semplicemente essere uomini! Questa educazione comincia fin da piccolissimi. I genitori debbono sostenere i “no” che propongono, ma debbono pian piano aprire ai “sì” che danno significato ai divieti che insegnano.

Indicazioni operative

14. Poniamoci ancora una domanda. In che modo tutto ciò potrà essere realizzato? Naturalmente nessuno ha la bacchetta magica per rendere efficaci queste linee pastorali, ma riteniamo che alcune indicazioni concrete possano facilitarle.

1) Ho già detto che alla base di una efficace pastorale battesimale è da porre un elemento che potrebbe apparire scontato, ma che tale non è, e cioè la capacità di stabilire una relazione cordiale ed accogliente della Chiesa-madre con i genitori che chiedono il Battesimo per i loro bambini. E’ proprio così. Se il parroco o qualche collaboratore, che ha il primo contatto con loro, riesce a far scoccare la scintilla della simpatia e della cordialità così da far sentire una immediata e calda accoglienza, un tratto semplice e personale e un ambiente alla loro portata, le persone saranno aiutate ad accogliere le indicazioni per la preparazione al Battesimo, sarà più facile incoraggiarle a celebrare il sacramento in parrocchia e a continuare l’itinerario post-battesimale. Dunque manifestare la gioia per la loro decisione di battezzare il bambino deve essere evidente da subito. Burocrazia, freddezza, contatti di routine, che fanno percepire scarsa attenzione alle persone, sono la tomba di ogni successiva proposta pastorale.
Al contempo fin dai primi contatti si dovrebbe far capire che comincia o si intensifica - se c’è già in qualche misura - un rapporto durevole che, come nella vita fisica, desidera accompagnare la famiglia a sviluppare il dono battesimale mediante l’educazione alla fede e alla vita cristiana del bambino, affinché il sacramento possa sviluppare i suoi frutti[16]

2) Oggi purtroppo le condizioni dei genitori sono molto diversificate e non di rado provocano non pochi interrogativi. Insieme alla fragilità psicologica e affettiva delle relazioni di coppia, allo stress causato da abitudini e ritmi imposti dalla vita moderna e ai condizionamenti veicolati dalla cultura di massa e dai media, alcuni hanno fede, altri no; alcuni partecipano assiduamente alla vita ecclesiale, altri sono lontani dalla Chiesa da molto tempo; alcuni hanno il desiderio di Dio, altri non sembrano interessati affatto; c’è chi vive felicemente la vita di coppia, e chi è in lite continua; chi ha il desiderio e la disponibilità ad una buona preparazione, e chi vuole solo il rito. Ci sono famiglie nate dal sacramento del matrimonio e coppie di fatto o di divorziati risposati in disagio verso la Chiesa. Non possiamo trattare tutti allo stesso modo, ma tutti vanno accolti con disponibilità, comprensione e fiducia, senza pregiudizi, cercando di immedesimarci nelle loro difficoltà e preoccupazioni e, d’altra parte, dobbiamo condurli pazientemente a comprendere che domandare il Battesimo significa far entrare il bambino a pieno diritto nella comunità cristiana e a educarlo nella fede a mano a mano che cresce. Ma questo modo di pensare il più delle volte è tutto da costruire, convinti che “battezzare i bambini deve essere considerata una grave missione” e “questo dono non deve essere differito”[17]. Bisogna quindi avere grande attenzione ad aprire spazi di dialogo per un’azione pastorale che si spera efficace.

3) Per la preparazione prossima al Battesimo è consuetudine di tenere alcuni incontri con i genitori. Avviene con modalità diverse. Per lo più prevede un incontro dei genitori con il parroco e poi gli incontri con i catechisti; talvolta a casa, spesso in parrocchia, insieme ad altre coppie di genitori di battezzandi. Quando è possibile si invitano anche i padrini. L’obiettivo è di presentare loro la fede battesimale, di introdurli alla celebrazione del sacramento, di invitarli alla preghiera per il dono della maternità e paternità e di far prendere coscienza della responsabilità genitoriale. L’esperienza ci dice che si tratta di una preparazione appena sufficiente e che la dichiarazione di buona volontà di perseverare il più delle volte non ha seguito. D’altra parte, con sano realismo dobbiamo riconoscere che per la celebrazione del sacramento non si può chiedere molto di più.

4) Sarebbe auspicabile – come suggerito da qualche relazione – che l’attenzione ai genitori cominciasse prima della nascita del bambino, fin dal tempo dell’attesa: Dio è già all’opera! I segni di attenzione e di vicinanza della comunità ai futuri genitori hanno un grande valore. Le coppie che vivono questo periodo particolarmente bello e delicato potrebbero essere presentate in qualche celebrazione (occasione propizia potrebbe essere la “Giornata della vita”, il tempo di Avvento, di Pasqua, o altro momento opportuno), essere affiancate già da allora dai catechisti del Battesimo, con l’invito alla comunità di sostenerle con la preghiera.

5) Fatta la preparazione, nel giorno stabilito viene celebrato il sacramento. Un obiettivo da raggiungere è di far percepire l’ecclesialità della celebrazione. In che modo? Sia il parroco - per quanto è possibile – a celebrare il Battesimo[18]. E’ lui il pastore e il padre che accoglie i nuovi nati nel grembo della Chiesa-madre. E’ lui il riferimento e il punto di unità della famiglia parrocchiale. La rilevanza pastorale e umana di questa presidenza sacramentale è del tutto evidente e la gente la apprezza.
In secondo luogo, l’ideale sarebbe che il Battesimo venga celebrato alla presenza della comunità durante l’Eucarestia domenicale, ma realisticamente ciò non è possibile, salvo in alcune programmate occasioni (la Veglia pasquale naturalmente è per sua natura celebrazione battesimale), per non appesantire la liturgia eucaristica e il ritmo pastorale dell’anno liturgico. Si valorizzi allora la presentazione dei battezzandi con i loro familiari alla comunità prima o dopo la Messa, a seconda del momento scelto per la celebrazione del sacramento, e si preghi per i bambini durante la preghiera dei fedeli. Se invece il sacramento è celebrato lontano dagli orari delle Messe (ma non sarebbe da preferire), si curi che la comunità parrocchiale sia in qualche modo rappresentata, oltre che dai catechisti, da altri fedeli.
Mi rendo conto delle difficoltà oggettive al riguardo, ma una oculata scelta del momento celebrativo favorisce il superamento dell’idea che il Battesimo è un fatto privato. La fantasia pastorale del parroco non mancherà di trovare le modalità giuste: ciò che conta è che la dimensione ecclesiale del sacramento non vada perduta. Altri suggerimenti celebrativi verranno indicati nei sussidi diocesani.
La celebrazione comunque deve essere sempre molto curata. Non certamente con un’inflazione di parole, di spiegazioni e di commenti che lasciano poco spazio alla contemplazione del mistero. Bisogna ravvivare la preghiera e far scoprire i segni e i simboli che illustrano il significato profondo della Parola proclamata. C’è una ars celebrandi anche nel Battesimo. Ciò susciterà la gioia nei partecipanti e favorirà il superamento della dispersione celebrativa. Pertanto non sarà opportuno accogliere alla stessa celebrazione un alto numero di battezzandi, per salvaguardare un clima per quanto possibile di raccoglimento.  

6) Ma c’è un secondo aspetto che desidero richiamare. Il nostro obiettivo pastorale è che tutti i bambini, salvo eccezioni per giusta causa, siano battezzati nelle parrocchie di residenza o di elezione. I fatti – come ho già detto - attestano che molte volte avviene diversamente.
Sono convinto che questa abitudine romana non si supera con la proibizione, che addirittura potrebbe allontanare ancora di più dalla comunità, ma impegnandoci a costruire contesti di calda accoglienza, relazioni cordiali, amicizia, dialogo convincente sulla bontà delle motivazioni della legge della Chiesa[19]. Spesso la richiesta di andare altrove è motivata dall’amicizia con un sacerdote che si desidera battezzi il proprio bambino. E’ un giusto desiderio, che può essere soddisfatto invitando il sacerdote in parrocchia.
Naturalmente questa linea a favore della propria parrocchia deve essere promossa da tutti: sia dal parroco, che non dovrebbe essere facile nel concedere permessi, ma soprattutto dai sacerdoti - parroci di altre parrocchie, rettori o responsabili di basiliche o altre chiese e cappelle – a cui i genitori si rivolgono. Anzi proprio a questi ultimi chiedo di sostenere le buone motivazioni a favore della celebrazione nella parrocchia di appartenenza. Il Santo Padre Benedetto XVI, che conosce questo problema, incoraggia molto il nostro orientamento. Adoperiamoci tutti al riguardo. 

7) La sfida vera tuttavia che siamo chiamati ad affrontare è la pastorale post-battesimale. Salvo alcune lodevoli e apprezzate esperienze[20], su questo argomento siamo agli inizi, anche perché il più delle volte le famiglie dopo il Battesimo non sono disponibili a continuare un cammino.
L’obiettivo primo è di puntare – per quanto è possibile – a non perdere il contatto con i genitori. Ciò può avvenire con l’affiancamento stabile dei catechisti che hanno curato la preparazione, diventando loro amici e aiutandoli – come ho detto sopra - a scoprire il vissuto coniugale e familiare come luogo di fede semplice e gioiosa.
Naturalmente il criterio principe da adottare per una pastorale post-battesimale è quello della gradualità, cioè di proporla con piccoli passi, trovando una giusta misura tra il rispetto e le esigenze delle famiglie e le proposte formative. Si tratta di costruire anzitutto un ambiente ecclesiale attrattivo e piacevole per la testimonianza del Vangelo vissuto che promuova in queste giovani famiglie interesse e attenzione, condivisione alle loro gioie e a quanto le preoccupa o è motivo di sofferenza. In una parola, che percepiscano la parrocchia come la casa comune e il luogo dove si sta bene per il benessere della famiglia stessa.

8) In questo progetto pastorale distinguerei tre periodi: quello della primissima infanzia del bambino, cioè dal Battesimo fino a 3 anni; il secondo, dai 3 ai 6 anni; il terzo, dai 6 ai 7 anni. 

a) Nel primo periodo i destinatari unici sono i genitori e le proposte possono essere varie e da modulare secondo le esigenze, i contesti e le tradizioni parrocchiali. Già da questo primo periodo si possono suggerire due forme concrete.
La prima consiste nell’invitare in parrocchia le famiglie a periodici incontri (una volta ogni due-tre mesi o più spesso), in orari a loro comodi, per un dialogo coinvolgente e formativo su tematiche di vita cristiana da modulare secondo i loro interessi, illustrate con la Parola di Dio e la dottrina della Chiesa, che arricchiscano il loro vissuto. Questi gruppi dovrebbero essere guidati da bravi catechisti, con la presenza – quando è possibile – del parroco o di un sacerdote. Una specie di laboratori in cui mettere a confronto la vita di coppia e le piccole esperienze di iniziazione dei loro bambini alla scoperta del Signore e alla preghiera. E’ anche importante ricordare e festeggiare gli anniversari dei battesimi, invitare le famiglie a partecipare alle feste parrocchiali e ad altri momenti che facciano vivere la gioia della vita ecclesiale. E’ una forma già praticata in alcune parrocchie.
La seconda forma, di maggiore impegno ma più promettente, prevede grosso modo lo stesso itinerario ma in piccoli gruppi familiari (7-8 famiglie al massimo), che periodicamente (una volta al mese o quando dagli stessi partecipanti è ritenuto possibile e desiderato) si riuniscono nelle case, ora dell’una ora dell’altra famiglia. Poiché il contesto è più personalizzante e i rapporti più diretti, si può offrire un vero itinerario formativo che metta insieme Parola di Dio, dottrina, preghiera e vissuto familiare. Decisivi, naturalmente, anche qui sono i catechisti che guidano il gruppo. L’esperienza fatta dice che questa formula ha favorito il rapporto interpersonale, l’amicizia e l’aiuto reciproco tra le famiglie, senza allontanarle dalla parrocchia. Col tempo si sono formate delle piccole e belle comunità familiari. A Roma, dove l’anonimato isola la gente, questa esperienza potrebbe essere una benedizione. 

b) Il secondo periodo (dai 3 ai 6 anni), l’itinerario formativo e di sostegno delle famiglie, vede la presenza anche di altri soggetti, come la scuola dell’infanzia, l’oratorio, ecc. In questa fase, accanto ai momenti formativi per i genitori nella linea già indicata, sono decisive le alleanze educative a servizio della formazione dei piccoli. Ogni educatore deve sostenere le altre persone coinvolte. Solo se il bambino si fida di chi lo educa, scoprirà il bene che gli viene proposto ed accetterà la fatica che tutti gli chiedono. Molte scuole dell’infanzia sono dirette da Istituti religiosi femminili che si prodigano con passione e competenza all’educazione dei piccoli. Desidero esprimere loro gratitudine per la testimonianza e la dedizione apostolica. Sussidi utili sono i Catechismi della CEI e quelli che cercheremo di produrre nella nostra diocesi, con l’aiuto di esperti[21] .

c) Il terzo periodo (6-7 anni) intensifica la collaborazione tra famiglia, parrocchia e scuola. Nel rispetto dei ritmi educativi, delle capacità e delle differenze di ciascuno, insieme agli itinerari di fede per i genitori, cresce il sostegno alla formazione dei figli, utilizzando i sussidi diocesani e altri[22]. Grande importanza in questo periodo ha ovviamente la scuola. La Chiesa di Roma apprezza e si rallegra per l’impegno di tanti laici cristiani che svolgono il proprio lavoro nella scuola con autentico spirito di servizio. Vi incoraggio, cari amici, a testimoniare la passione educativa che vi anima attraverso la competenza professionale e la dedizione ai vostri piccoli alunni.
La legge italiana prevede l’insegnamento della Religione cattolica fin dalla scuola dell’infanzia, perché riconosce che la dimensione religiosa è necessaria per una completa formazione umana e culturale[23]. La domanda religiosa infatti si manifesta nei bambini e l’insegnamento della religione sviluppa questa innata sensibilità spirituale: non è catechesi, ma un insegnamento scolastico a pieno titolo, che aiuta a comprendere la specificità della persona umana nell’universo e a conoscere la fede cristiana. Ciò favorisce, fra l’altro, l’integrazione dei tanti bambini immigrati: il mondo occidentale secolarizzato rischia di essere troppo angusto per tanti stranieri divenuti italiani, provenienti da culture per le quali è inconcepibile un uomo senza religione e senza una visione morale[24].
Sui sussidi diocesani che supporteranno tutto l’itinerario post-battesimale, sia negli incontri parrocchiali che nei gruppi familiari, ci parlerà fra poco Mons. Andrea Lonardo, Ma anche le famiglie che non parteciperanno ad alcuna iniziativa sarà bene che ricevano questi sussidi, attraverso i catechisti o in altra forma. 

9) È doveroso accennare anche al caso di bambini con disabilità ed alle loro famiglie. Ad essi la comunità cristiana deve rivolgere una particolare attenzione. In un momento in cui l’avanzata diagnosi pre-natale di queste patologie presenta sempre di più come unica soluzione l’aborto cosiddetto “terapeutico”(!), la comunità parrocchiale diventa il primo luogo in cui la famiglia si sentirà dire che suo figlio non è un peso, “ma è così perché si manifestino in lui le opere di Dio” (Gv 9,3). Questo cammino pastorale - che inizia con l’accoglienza dei genitori in preparazione al Battesimo - è la via principale attraverso la quale il bambino diversamente abile e la sua famiglia scopriranno l’amore di Dio, il sostegno della comunità parrocchiale e questa coglierà la presenza di Dio nel più piccolo, come un tesoro nascosto in vasi di creta. Inoltre, gli altri bambini - fin dalla primissima infanzia - potranno fare esperienza anche in parrocchia (oltre che a scuola) della ricchezza che deriva dall’accettazione della diversità.

10) Molte relazioni – come ho detto - evidenziano infine che molti genitori dichiarano di non saper educare. Mi domando se non sia il caso di pensare a “scuole per genitori” – forse a livello di prefettura o di settore - che sviluppino programmi formativi adeguati. Sarebbero un bel segno per tutti.

I padrini

15. È un problema aperto. La tradizione della Chiesa, regolata dalle norme canoniche[25], prevede che ai genitori si affianchino un padrino e/o una madrina per esprimere la dimensione ecclesiale del Battesimo e il loro coinvolgimento nel percorso di vita cristiana del battezzato. I fatti ci dicono che il più delle volte sono una presenza durante la celebrazione del sacramento per poi scomparire subito dopo. In una rinnovata pastorale battesimale si deve tendere – per quanto è possibile – a che la scelta dei genitori cada su persone che rispondano ai requisiti richiesti dalla Chiesa[26] e che possano sostenere nel tempo l’opera educativa dei genitori con la testimonianza e la vicinanza. Spesso la difficoltà dipende dal fatto che il padrino e la madrina sono scelti prima di chiedere il Battesimo per ragioni di parentela, di amicizia o di convenienza sociale. Dove la famiglia non è in grado di scegliere persone idonee, incoraggio l’iniziativa, già praticata da diversi parroci, di suggerire una persona della comunità – gli stessi catechisti battesimali o coppie cristiane - che si impegni con discrezione ad affiancare i genitori nel compito della crescita cristiana dei loro figli.

I catechisti

16. Quanto ho fin qui detto è, in gran parte, legato ad una condizione, vale a dire che ogni parrocchia possa disporre di catechisti – meglio di giovani coppie di catechisti - sufficienti e preparati da destinare alla pastorale battesimale e post-battesimale. So bene che i parroci faticano già non poco per trovare i catechisti necessari per le tappe della Comunione e della Cresima. Nondimeno se vogliamo far fronte a questa avvincente sfida pastorale, dobbiamo adoperarci per appassionare alla buona causa quanti ci è possibile coinvolgere, giovandoci anche di persone consacrate.
Per fare che cosa? Che cosa chiediamo ai catechisti del Battesimo? Anzitutto di testimoniare la gioia della fede e suscitare nei genitori dei battezzati stupore e amore alla vita, donata e arricchita dalla grazia di Dio. Un bimbo che nasce porta in sé una promessa e una benedizione, un segno di benevolenza di Dio per i genitori, per la Chiesa e per il mondo. I catechisti devono aiutare i genitori a riconoscere il dono con cuore grato.
In secondo luogo, chiediamo di accompagnare i genitori nella loro crescita spirituale, aprendoli al senso della fede, alla preghiera, alla pratica dei sacramenti e all’interesse di conoscere e vivere le verità cristiane mediante l’apprendimento dei contenuti della dottrina cristiana. Fede e dottrina: qui sta il punto. Come ho detto, dinanzi ad un diffuso “analfabetismo religioso”, dobbiamo proporci di accostare i fedeli alle verità della fede e non a teorie e opinioni private e interessarli alla Parola di Dio, così da motivare la decisione di credere. Non dimentichiamo mai che la conoscenza dei contenuti della fede, e non una vaga infarinatura, è necessaria all’interno dell’esperienza cristiana per diventare adulti nella fede. Non è forse proprio una fede anemica e fragile la causa dell’allontanamento di molti dalla Chiesa? Per condurre gli uomini fuori del deserto in cui spesso si trovano verso l’amicizia con Cristo e la gioia dell’appartenenza ecclesiale è necessario puntare più in alto. I già citati, Il Catechismo della Chiesa Cattolica o almeno il Compendio e il Catechismo degli Adulti della CEI La verità vi farà liberi, sono strumenti preziosi da valorizzare.
In terzo luogo chiediamo che i catechisti diventino amici delle giovani famiglie, così da favorirne l’inserimento e la partecipazione alla vita parrocchiale.
Chi forma questi catechisti? Compito degli Uffici del Vicariato, dal prossimo autunno, è di aiutare i parroci nella formazione dei catechisti con stage e itinerari idonei allo scopo, da offrire in ogni prefettura. Vi invito fin da ora ad una giornata di riflessione su questo argomento, il prossimo 27 ottobre, che si concluderà con il mandato dei catechisti della diocesi. 

Conclusione

17. Uno studioso di pastorale ha scritto recentemente che ciò che attende le nostre parrocchie è paragonabile a “quello della ristrutturazione di una casa antica… non per rimettere in valore il suo pregio di antichità (la tradizione) ma per renderla abitabile per gli inquilini di oggi. I quali, tra l’altro non hanno nessuna intenzione di uscire dalla casa nel tempo della ristrutturazione. Di qui la fatica dell’impresa: tempi lunghi, disagi, resistenze da parte di tutti i soggetti implicati”[27]. Fuori di metafora, è la nostra situazione in cui convivono tradizioni, modelli pastorali e urgenze di intervento, così che una pastorale tesa unicamente alla cura della comunità cristiana non basta più. Siamo tutti convinti che l’impianto della pastorale ha bisogno di essere “aggiornato” in prospettiva più marcatamente missionaria, cioè di annuncio e di formazione alla vita di fede. E’ quello che la nostra diocesi si propone di fare con impegno e fiducia. L’ormai prossimo Anno della Fede è una grazia che ci stimolerà ancora di più e un’occasione preziosa per fortificare questo nostro percorso.

Basilica di San Giovanni, 12 giugno 2012

Agostino Card. Vallini

Note al testo

[1] Giovanni XXIII, Discorso di apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, 11 ottobre 1962, E.V. I, p. 43: “Il Concilio Ecumenico… vuole trasmettere pura e integra la dottrina… , che lungo venti secoli, nonostante difficoltà e contrasti, è divenuta patrimonio comune degli uomini… Ma dalla rinnovata, serena e tranquilla adesione a tutto l’insegnamento della Chiesa nella sua interezza e precisione… , lo spirito cristiano, cattolico e apostolico del mondo intero, attende un balzo innanzi verso una penetrazione dottrinale e una formazione delle coscienze; è necessario che questa dottrina… sia approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo”.  

[2] J. Ratzinger, Battesimo, fede e appartenenza alla Chiesa, p. 64. Lo stesso concetto Benedetto XVI affermava nel Discorso del Convegno Ecclesiale Diocesano di Roma del 2009: “La fede, infatti, è da una parte una relazione profondamente personale con Dio, ma possiede una essenziale componente comunitaria e le due dimensioni sono inseparabili. Potranno così sperimentare la bellezza e la gioia di essere e di sentirsi Chiesa anche i giovani, che sono maggiormente esposti al crescente individualismo della cultura contemporanea, la quale comporta come inevitabili conseguenze l'indebolimento dei legami interpersonali e l'affievolimento delle appartenenze. Nella fede in Dio siamo uniti nel Corpo di Cristo e diventiamo tutti uniti nello stesso Corpo e così, proprio credendo profondamente, possiamo esperire anche la comunione tra di noi e superare la solitudine dell'individualismo.

[3] Cfr. K. Rahner, Il libro dei sacramenti, Brescia 1977, p. 22.

[4] Concilio Vaticano II, Decreto Christus Dominus, n. 11.

[5] Concilio Vaticano II, Costituzione Sacrosanctum Concilium, n. 42.

[6] Cfr. F. Garelli, Religione all’italiana, ed. Mulino, 2011, p. 105.

[7] Appare convincente questo schema concettuale proposto nell’ultima Assemblea Generale CEI (21-25 maggio 2012), a proposito della formazione degli adulti nella comunità cristiana.

[8] Motu proprio Porta fidei, n. 7.

[9] Benedetto XVI, Enciclica Spe salvi (30 novembre 2007), n. 2.

[10] Il Papa Benedetto XVI, nell’Omelia per il suo 85° compleanno, ha detto: «Non è scontato che la vita dell’uomo in sé sia un dono. Può veramente essere un bel dono? Sappiamo che cosa incombe sull’uomo nei tempi bui che si troverà davanti?... È giusto dare la vita così, semplicemente?... La vita è un dono problematico, se rimane a se stante. La vita biologica di per sé è un dono, eppure è circondata da una grande domanda. Diventa un vero dono solo se, insieme ad essa, si può dare una promessa che è più forte di qualunque sventura che ci possa minacciare. Così, alla nascita va associata la rinascita, la certezza che, in verità, è un bene esserci, perché la promessa è più forte delle minacce. Questo è il senso della rinascita dall’acqua e dallo Spirito: essere immersi nella promessa che solo Dio può fare: è bene che tu ci sia, e ne puoi essere certo, qualsiasi cosa accada»: in L’Osservatore Romano, 18 aprile 2012, p. 7.

[11] Card. J. Ratzinger, Omelia per la Messa pro eligendo Romano Pontifice, 18 aprile 2005.

[12] Giovanni Paolo II, Redemptor hominis, n. 10: “L’uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non s’incontra con l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente”.

[13] VII Incontro Mondiale delle Famiglie, Milano, 2 giugno 2012.

[14] Cfr. Dt 32, 10-12.

[15] In uno splendido libro che si intitola Le lettere di Berlicche, Lewis racconta che il diavolo tenta l’uomo cercando di fargli dimenticare i suoi doveri più elementari, per farlo pensare ad altro. Gli dice: «Tienigli la mente lontano dai doveri più elementari... Aggrava quella caratteristica umana che è utilissima [a chi vuole il male]: l’orrore e la negligenza delle cose ovvie»: C.S. Lewis, Le lettere di Berlicche, Jaca, Milano, 1990, p. 13.

[16] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1231: «Per sua stessa natura il Battesimo dei bambini richiede un catecumenato post-battesimale. Non si tratta soltanto della necessità di una istruzione posteriore al Battesimo, ma del necessario sviluppo della grazia battesimale nella crescita della persona».

[17] Si veda al riguardo l’Istruzione della Congregazione per la Dottrina della Fede Pastoralis actio sul Battesimo dei bambini (1980), n. 28: “È molto importante richiamare innanzitutto che il battesimo dei bambini deve essere considerato come una grave missione. Le questioni che essa pone ai curatori di anime non possono essere risolte se non tenendo fedelmente presenti la dottrina e la prassi costante della Chiesa. Concretamente, la pastorale del battesimo dei bambini dovrà ispirarsi a due grandi principi, di cui il secondo è subordinato al primo: 1) il battesimo, necessario alla salvezza, è il segno e lo strumento dell’amore preveniente di Dio che libera dal peccato e comunica la partecipazione alla vita divina: per sé, il dono di questi beni non deve essere differito ai bambini. 2) Devono essere prese della garanzie perché tale dono possa svilupparsi mediante una vera educazione alla fede e nella vita cristiana, sicché il sacramento possa raggiungere pienamente la sua realtà”. La prassi di battezzare i bambini risale ai tempi apostolici. Il Nuovo Testamento ricorda che ci si battezzava “con la propria casa”, cioè insieme ai propri figli (1 Cor 1,16, la “casa” di Stefana; At 16,15, Lidia e la sua “casa”; At 16,33, il guardiano della prigione di Filippi con la sua “casa”; At 18,8, Crispo, capo della sinagoga, con la sua “casa”). Inoltre i Padri della Chiesa, ben prima di Costantino, attestano che battezzare i piccoli era una tradizione ricevuta dagli apostoli. Espliciti riferimenti si trovano in Ireneo di Lione, in Origene e in Agostino. Origene scrive, ad esempio: «Il Battesimo della Chiesa è amministrato, secondo il costume della Chiesa, anche ai bambini». Ed Ireneo afferma: «Gesù è venuto a salvare tutti gli uomini: tutti quelli che per mezzo di lui sono rinati in Dio, neonati, bambini, giovani e persone anziane».

[18] Codice di diritto canonico, can. 530, 1°.

[19] Codice di diritto canonico, can. 857, § 2: “Di regola generale… il bambino sia battezzato nella chiesa parrocchiale propria dei suoi genitori, tranne che una giusta causa consigli diversamente”.

[20] Ricordo, ad esempio, l’Esperienza del Buon Pastore promossa dalla compianta Sofia Cavalletti, quella della Parrocchia della Trasfigurazione in Roma (cfr. Fabio Narcisi, Comunicare la fede ai bambini, Ed. Paoline 2009), le iniziative del Centro Oratori Romani, l’itinerario del Cammino Neo-Catecumenale, ecc.

[21] Catechismo CEI, Lasciate che i bambini vengano a me. Si vedano anche i sussidi della Diocesi di Milano: Verso il Battesimo, Ed. Centro Ambrosiano 2011; Dopo il Battesimo – Percorso di fede con genitori e bambini, Centro Ambrosiano 2012.

[22] Catechismo CEI, Io sono con voi.

[23] “La Repubblica italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado” : Accordo tra la Repubblica Italiana e la Santa Sede, 18 febbraio 1984, art. 9.

[24] “L’anima africana e anche l’anima asiatica restano sconcertate di fronte alla freddezza della nostra razionalità. È importante dimostrare che da noi non ci’è solo questo. E reciprocamente è importante che il nostro mondo laicista si renda conto che proprio la fede cristiana non è un impedimento, ma invece un ponte per il dialogo con gli altri mondi. Non è giusto pensare che la cultura puramente razionale, grazie alla sua tolleranza, abbia un approccio più facile alle altre religioni. Ad essa manca in gran parte l’organo religioso e con ciò il punto di aggancio a partire dal quale gli altri vogliono entrare in relazione. Perciò dobbiamo, possiamo mostrare che proprio per la nuova interculturalità, nella quale viviamo, la pura razionalità sganciata da Dio nono è sufficiente” (Benedetto XVI, Intervista rilasciata a televisioni tedesche nel 2006).

[25] Codice di Diritto Canonico, can. 872-874.

[26] Non è in nostro potere ammettere al servizio di padrinato chi vive in condizione irregolare, generando confusione tra gli stessi fedeli. A ciò si può ovviare spiegando da subito ai genitori la vera funzione dei padrini e le condizioni richieste perché venga assicurato il bene del loro bambino.

[27] E. Biemmi, Catechesi e iniziazione cristiana. Una sfida complessa, in La Rivista del Clero Italiano (2012), n. 1, p. 51.