Quando Ambrogio ridisegnò Milano, di Fabrizio Bisconti

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 06 /06 /2012 - 14:35 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo da L’Osservatore Romano del 2/6/2012 un articolo scritto da Fabrizio Bisconti. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. 

Il Centro culturale Gli scritti (6/6/2012)

«Mi tenevano separato dal suo orecchio e dalla sua bocca una caterva di gente piena di problemi alla cui povertà egli prestava servizio» (Agostino, Confessioni 6, 3, 3). Così il vescovo di Ippona fotografa la metropoli milanese negli ultimi decenni del IV secolo, quando, dopo queste difficoltà, riuscirà a incontrare Ambrogio, vescovo tra il 374 e il 397, e a dialogare con lui rimanendone folgorato e scegliendo proprio quella città e il battistero della cattedrale per dare avvio al suo denso e lungo cammino spirituale.

La città di Milano, già importante centro commerciale nell’antichità, divenne sede strategica dell’impero tardo antico, quando, in età tetrarchica, divenne residenza di Massimiano Erculeo, coimperatore con Diocleziano, tra il 293 e il 305. La scelta di tale centro risiede nell’intenzione di creare un potente baluardo nei confronti delle popolazioni barbare, che migravano dal nord e premevano sui confini dell’impero, tanto che fiorirono anche altri centri di potere come Arles, Aquileia, Sirmio, Vienne e Treviri.

Mentre Roma rimaneva la capitale simbolica e Costantinopoli rivestiva il ruolo di “nuova Roma”, Milano, come ricorda Ausonio, nell’Ordo urbium nobilium, assurge, negli anni Ottanta del IV secolo, a centro nevralgico per questioni politiche, difensive, ma anche religiose, se qui si consumarono alcune delle tenzoni più dure riguardo alla crisi ariana.

In quel tempo, Milano era una città ricca, splendida, con dimore elegantissime, una potente e duplice cinta muraria, un circo, un teatro, un palazzo imperiale, una zecca, vari impianti termali, vie colonnate, statue monumentali, basiliche cristiane, mentre la popolazione raggiungeva, all’incirca, le 150.000 unità.

Dal tempo dei Costantinidi, Milano era stata teatro dei gravi scontri tra ortodossi e ariani, che interessarono non solo i fedeli della Chiesa, ma anche gli imperatori e, più in generale, tutto l’entourage politico. Proprio quando gli scontri si fanno più duri, emerge la firma di Ambrogio, consularis dell’Emilia, che, dopo aver ricevuto rapidamente il battesimo, l’8 dicembre del 374 fu eletto vescovo. Nei ventiquattro anni del suo episcopato tentò di affrancare la Chiesa dal potere temporale, ossia di tagliare un nodo che era diventato più stretto proprio per l’adesione o meno dei potenti all’arianesimo. Simultaneamente cercò di convertire al credo niceno la corte milanese, prima convincendo il titubante Graziano e poi ricevendo l’assenso dell’imperatrice Giustina e del giovane Valentiniano II che, nel 386, emise un nuovo decreto di tolleranza e promosse una lotta più serrata alla fede ariana.

Ma Ambrogio è anche protagonista e artefice di una ridefinizione architettonica e topografica della città costellandola di edifici di culto di grande impatto, a cominciare dalla cattedrale, successivamente dedicata a santa Tecla, rinvenuta in due fasi, in seguito a campagne di scavo eseguite nel 1943 e nel 1962, sotto all’attuale duomo gotico. Costruendo la stazione della metropolitana, infatti, è stato individuato un complesso basilicale costituito da due aule e un battistero ottagonale, presumibilmente quello dove fu battezzato Agostino.

Il suburbio fu segnato da edifici cultuali e martiriali, che si innalzarono come giganti sentinelle della fede. A ovest era la basilica ambrosiana, ora sostituita dal maestoso edificio romanico, situata su un esteso cimitero misto, evidenziato da scavi recentissimi eseguiti presso la sede dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.

A nord-est ancora si innalza la suggestiva basilica Virginum, dedicata a san Simpliciano e situata sulla strada che conduce a Como; a sudest, poco fuori Porta Romana, lungo la via che conduce, appunto, verso l’Urbe, è collocata la basilica Apostolorum, dedicata a san Nazaro; infine, sulla via Ticinensis, sorge il grande complesso di San Lorenzo, che prevede un’inedita pianta centrale e che è impreziosita da un colonnato, nell’area antistante, realizzato con elementi di risulta.

Se andiamo ad analizzare i singoli edifici di culto, di impianto ambrosiano, ci rendiamo conto che, dal punto di vista architettonico, si sperimentano tutte le tipologie architettoniche in voga nella tarda antichità, come se il vescovo milanese, improvvisandosi raffinato architetto, volesse proporre tutte le esperienze costruttive del mondo cristiano antico, così come si sono affacciate all’orizzonte della civiltà cristiana, sin dal tempo dei Costantinidi: dalla semplice tipologia a pianta longitudinale, a quella centrale, a quella cruciforme.

Questo desiderio di ridisegnare a Milano i tipi architettonici che avevano caratterizzato le esperienze dei santuari, dei mausolei e dei battisteri romani, antiocheni, aquileiesi, gerosolimitani, mostra l’intenzione di rendere internazionale il panorama architettonico milanese, in perfetta sintonia con la politica religiosa di Ambrogio, che è tutta tesa a comporre le parti e il pensiero delle diverse aree dell’impero romano. Se, infatti, la basilica di Santa Tecla, nella fase più antica, mostra le peculiarità di un grande corpo longitudinale, scandito da cinque navate e provvisto di un’abside semicircolare, secondo uno sviluppo sperimentato nella cattedrale lateranense di Costantino, dimostrando una certa precocità cronologica, le altre basiliche sono direttamente progettate al tempo di Ambrogio.

La basilica di Sant’ Ambrogio e quella di San Nazaro, secondo quanto attestano le fonti, furono completate già nel 386, mentre quella di San Simpliciano fu progettata poco prima del 397, quando morì il presule milanese. Il tempio di San Lorenzo, poi, mostra le caratteristiche e la decorazione architettonica di un tempo appena successivo all’episcopato di Ambrogio.

Tra gli edifici, ora considerati, emerge la basilica Apostolorum, che, con la sua pianta cruciforme cita la chiesa costantiniana dedicata agli apostoli a Costantinopoli. Sotto l’altare si rinvenne un prezioso reliquiario argenteo, che conteneva le reliquie degli apostoli, inviate da Papa Damaso ad Ambrogio, mentre un’epigrafe, composta direttamente dal vescovo e oggi perduta, esaltava il simbolo della croce, sottolineandone l’accezione vittoriosa, secondo lo stesso spirito che animava il pensiero di Gregorio Nazianzeno, che commentava, negli stessi anni, la forma dell’Apostòleion costantinopolitano.

La triangolazione che lega in quel tempo Milano a Roma e alla “nuova Roma” vuole esprimere l’intenzione comune antiariana, che impegna Ambrogio a Milano, Damaso a Roma e lo stesso imperatore Teodosio a Costantinopoli.

Nel 397 viene consacrata la basilica Virginum di San Simpliciano, mentre il complesso di San Lorenzo - come si diceva - fu realizzato dopo la morte di Ambrogio e assunse un ruolo tutto cultuale, non tanto per la pianta centrale, che imita l’Anàstasis di Gerusalemme, ma per le cappelle, che si agganciano alla fabbrica principale e che sono dedicate a Ippolito, a Lorenzo e ad Aquilino. Quest’ultimo sacello mantiene ancora alcuni brani della decorazione musiva parietale, sia nell’ambiente di accesso, sia in due delle quattro calotte absidali. Qui si riconoscono la scena dell’Ascensione di Elia e una sospesa rappresentazione del collegio apostolico, che si staglia su un vibrante fondo dorato.

Ebbene, questi due temi tornano nel cosiddetto sarcofago di Stilicone ora incastrato sotto al pulpito della basilica di Sant’Ambrogio. Quel sarcofago mostra nella fronte e nella parte posteriore due maestosi consessi apostolici serrati intorno al Cristo, ora assisi, ora stanti sembrano raccontare l’ultimo capitolo dell’affaire ariano a Milano, quando la Chiesa della città si raccoglie, in maniera composta, attorno al Cristo del giudizio, della Parusia, della seconda venuta.

Questo manifesto politico religioso esprime gli ultimi gesti della dinastia valentiniano-teodosiana, che, sull’eco del De civitate Dei di Agostino - un testo che ridefinisce, dalle radici, il concetto corrente della Gerusalemme celeste - consegna il testimone a Ravenna per dare avvio a un nuovo capitolo della storia politica, religiosa, architettonica e artistica del mondo tardoantico.

© Osservatore Romano - 2 giugno 2012