Il filosofo che voleva conquistare Costantinopoli. Un grande progetto di Crociata contro i Turchi. Una recensione di Mario Iannaccone al Consilium Aegyptiacum di Leibniz
Riprendiamo da Avvenire del 28/4/2012 una recensione di Mario Iannaccone al Consilium Aegyptiacum di Baruch Spinoza, tradotto da Il Cerchio. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (1/5/2012)
In una delle migliori opere di Leonardo Sciascia, Il consiglio d’Egitto, si racconta di un certo abate Vella che fu incaricato dal suo vescovo di tradurre un testo in arabo per omaggiare un importante diplomatico turco naufragato sulle coste non lontano dal palazzo vescovile. Vella, però, non conosce bene la lingua e traduce liberamente inventandosi antichi trattati che avrebbero provato la cessione di molti possedimenti borbonici di Sicilia alla Sublime Porta.
Forse, come ipotizza Franco Cardini, il titolo del romanzo fu ispirato da un testo oggi parzialmente tradotto: il Consilium Aegyptiacum. L’autore è nientedimeno che il filosofo Gottfried Wilhelm von Leibniz, che lo stese in buon latino fra il 1671 e il 1672. Quest’opera riflette il lungo sogno di riconquistare l’Oriente crociato, un sogno che ebbe qualche probabilità di concretizzarsi ai tempi di Luigi XIII e per il quale lavorò il cappuccino Leclerc du Tremblay attorno al 1630.
La Realpolitik era più in auge quando il venticinquenne Leibniz offrì quest’opera a Luigi XIV, quarant’anni più tardi, proponendo di organizzare una grande coalizione crociata guidata dal Re Sole per conquistare l’Impero Ottomano considerato vicino al disfacimento finanziario e militare. Una volta abbattuto il grande impero, le sue spoglie potevano essere divise da Spagna, Francia, Austria, Regno delle due Sicilie e altri.
L’opera affronta ordinatamente, in uno stile già rigorosamente leibniziano e all’interno di un sistema di pensiero che è già riconoscibile, il problema della liceità dell’operazione nel quadro della politica internazionale, l’aspetto finanziario, l’organizzazione dell’esercito e così via. Può darsi che un attacco coordinato di tutte le potenze cristiane (compresa la «Terza Roma» moscovita) potesse schiantare un Impero Ottomano malato di gigantismo, chissà.
In una prospettiva quasi apocalittica Leibniz prospettava anche la conversione in massa dei turchi al cristianesimo (lui ebreo). Un progetto grandioso, ambizioso e probabilmente non campato in aria (qui dovrebbero esprimersi gli esperti di storia militare). Resta il fatto che il gran re ascoltò qualche parola ma rifiutò il progetto con un gesto annoiato, senza dedicargli che qualche minuto. Del resto, nel 1672, aveva iniziato l’impegnativa campagna d’Olanda.
Sapeva bene che una coalizione militare delle potenze europee, in quel momento, risultava pura utopia. Imperturbabile, e per nulla impressionato dal rifiuto, poco tempo dopo, Leibniz avrebbe dichiarato: «Lavoro per il bene comune senza preoccuparmi che qualcuno mi ringrazi di ciò. Credo in tal modo di imitare Dio, il quale si cura del bene dell’universo indipendentemente dal fatto che gli uomini lo riconoscano o meno».
C’è da scommettere che l’ironia non sia stata una delle virtù del grande filosofo, stratega mancato del Consilium Aegyptiorum . Ironia del quale abbonda di sicuro il meno dotato abate Vella di Sciascia.