1/ La scelta di generare: un voto 2/ Generazione e nuova evangelizzazione, di Giuseppe Angelini

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 15 /04 /2012 - 10:38 am | Permalink | Homepage
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Riprendiamo dal sito del VII Incontro mondiale delle famiglie - che si svolgerà a Milano sul tema «La famiglia: il lavoro e la festa» tra il 30 maggio e il 3 giugno 2012 - la VI e la VII riflessione scritte dal teologo Giuseppe Angelini in preparazione all'incontro il 3/4/2012 e il 10/4/2012. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la loro presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.

Il Centro culturale Gli scritti (14/4/2012)

1/ La scelta di generare: un voto

La generazione di un figlio deve assumere la forma di una scelta, e addirittura di una scelta responsabile. Che si possa, e anzi si debba, scegliere, è principio che si è largamente affermato. Che cosa voglia dire scelta responsabile, non si sa bene che significhi, La formula verbale si è affermata in fretta a procedere dal Vaticano II; è diventata un luogo comune, senza però che si sappia dare un significato preciso a questa famosa paternità responsabile.

Senza dirlo, la generazione era responsabile anche prima; per certi aspetti, era ancor più responsabile quando non era scelta. Lo era senza che questo comportasse la necessità di scegliere i tempi della generazione e il numero dei figli.

Certo non basta certo che la generazione sia scelta espressamente perché essa sia anche responsabile. Molti figli non previsti, poi prontamente accolti, sono stati generati in maniera più responsabile di quanto non accada nel caso di gravidanze deliberatamente cercate, ma con motivazioni poco pertinenti.

Per tentare una chiarificazione del senso della responsabilità nella generazione è indispensabile porsi l’interrogativo radicale, quello a proposito della fisionomia spirituale che assume l’atto umano del generare. Propriamente parlando, non è possibile decidere di generare; si può decidere soltanto di porsi nelle condizioni di poter avere un figlio. Oggi sono disponibili anche risorse tecnologiche forti, che certo consentono di fare un figlio quasi fabbricandolo. Ma proprio questa possibilità tecnica dilata lo spazio per il possibile arbitrio, non certo la responsabilità.

Circa un quinto delle coppie è sterile. Per una percentuale significativa (15/20 %) si tratta di coppie per le quali le ragioni della sterilità non sono clinicamente identificate. Si parla di ragioni idiopatiche; tra di esse sono da collocare anche quelle psicologiche, assai difficili da indagare, ma certo indubitabili. Tutti abbiamo notizia di casi in cui la primitiva sterilità è stata smentita quando è venuta a mancare l’ansia. Bypassare tali ragioni di sterilità mediante le risorse della procreazione assistita appare irresponsabile.

La Bibbia ci può aiutare? È registrato un caso di sterilità corretta mediante il voto. Mi riferisco alla storia di Anna, madre di Samuele. Per lei la sterilità era causa di grande afflizione, e di solitudine. Neppure il marito la capiva: Anna, perché piangi? – le diceva – Perché non mangi? Perché è triste il tuo cuore? Non sono forse io per te meglio di dieci figli? (1 Sam 1,8). Qualche cosa cosa di simile accade fino ad oggi; le ragioni di afflizione che derivano dalla impossibilità di avere figli sono difficili da articolare mediante parole.

Anna sola confessò la sua sofferenza davanti al Signore. Afflitta, innalzò la preghiera al Signore, piangendo amaramente. Il suo pianto si tradusse e prese la forma di un voto: Signore degli eserciti, se vorrai considerare la miseria della tua schiava e ricordarti di me, se non dimenticherai la tua schiava e darai alla tua schiava un figlio maschio, io lo offrirò al Signore per tutti i giorni della sua vita (1 Sam 1,10s). Come spiegare il voto? L’intensità del desiderio genera in Anna un dubbio: “Non sarà il mio desiderio troppo egoista, virtualmente pericoloso per il figlio?”. Formulando il suo voto, Anna vuole proteggere il figlio dalla prepotenza del proprio desiderio. L’invocazione del figlio diventa desiderio di avere a chi dedicare la propria vita, evitando ch’essa si consumi sterilmente.

Và in pace e il Dio d'Israele ascolti la domanda che gli hai fatto: le parole del vecchio sacerdote Eli suonano come una promessa; di fatto Anna concepì e partorì un figlio, Samuele, il cui nome significa che “Dio mi ha ascoltato”.

Non dovrà forse essere così sempre? non dovrà la scelta di generare assumere sempre la forma del voto? Questa è la nostra persuasione. Il voto un tempo era fatto senza che neppure fosse necessario pensarlo in maniera riflessa; oggi non è più così. Oggi è proporzionalmente urgente esprimerlo in maniera deliberata.

2/ Generazione e nuova evangelizzazione

La lingua da tutti parlata ha ormai sanzionato il nuovo imperativo categorico della pastorale, la nuova evangelizzazione. Anche tra i sacerdoti però sono molti quelli che si chiedono che cosa voglia dire, nuova evangelizzazione; essa è necessaria soltanto perché la notizia di Gesù non è più nota a tutti e deve essere annunciarla da capo? Nuova dev’essere l’evangelizzazione soltanto nel senso di ripetuta? Oppure nuova dev’essere perché realizzata in forme diverse rispetto a quelle dei secoli passati?

I secoli passati sono quelli della cristianità. Allora la verità del vangelo era scritta – per così dire – sui muri, non soltanto delle Chiese, ma delle città; era scritta nel calendario civile, nei gesti rituali da tutti compiuti, nella lingua da tutti parlata. I figli, battezzati quam primum, crescevano respirando la verità del vangelo. La tempestività del battessimo era certo raccomandata anche dalla dottrina quasi terroristica di Agostino sui bambini che muoiono senza battesimo; quella prassi ha in ogni caso operato nel senso di conferire al bambino non battezzato lo statuto quasi di estraneo al consorzio umano, una bestiolina, come talora si diceva. Espressione dura, certo; ma Gesù stesso aveva usato un vezzeggiativo simile in risposta alla donna greca, che gli chiedeva di guarire la figlia: Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini (Mc 7,27).

Un tempo il vangelo era scritto nello spazio entro il quale i figli crescevano. Essi diventavano cristiani succhiando il latte. Agostino lo ha espressamente riconosciuto; ricordando il fervore spirituale acceso in lui, religiosamente dubbioso, dalla lettura dell’Ortensio di Cicerone, riconosce: «Quel discorso mi accendeva e mi faceva ardere, e in tanto fuoco una cosa sola mi raffreddava, che non vi comparisse il nome di Cristo, perché questo nome - secondo la tua bontà, Signore - questo nome del mio Salvatore, tuo figlio, il mio cuore ancora intatto l'aveva fiduciosamente succhiato col latte materno e lo conservava nel profondo. E senza questo nome qualunque opera, per quanto dotta e raffinata e veridica, non mi conquistava del tutto» (Confessioni 4.4.8).

Un cristianesimo succhiato con il latte esiste sempre meno; i cattolici aggiornati poi spesso lo squalificano, come “cristianesimo sociologico” o “di popolo”; raccomandano l’alternativa di un cristianesimo della scelta piuttosto che della tradizione. Appunto tale alternativa esigerebbe una nuova evangelizzazione.

Eppure… Può davvero la fede fare a meno della tradizione? E di quella precisa tradizione propiziata dal latte materno? La festa di Pasqua suggerisce efficacemente il nesso tra la liturgia cristiana e il rapporto tra genitori e figli. È scritto infatti in Esodo: Quando poi sarete entrati nel paese che il Signore vi darà, come ha promesso, osserverete questo rito. Allora i vostri figli vi chiederanno: Che significa questo atto di culto? Voi direte loro: E` il sacrificio della pasqua per il Signore, il quale è passato oltre le case degli Israeliti in Egitto, quando colpì l’Egitto e salvò le nostre case (12, 25-27).

Come interpretare questo nesso tra il rito della Pasqua, i riti religiosi in genere (vedi Dt 6, 20ss), e il rapporto tra genitori e figli? Non basta dire che per i bambini piccoli la parola dei genitori ha un’efficacia singolare. Occorre invece riconoscere che i genitori stessi sono come un vangelo. Molto prima di pensarlo e volerlo, attestano ai figli la buona notizia di un amore certo e assolutamente efficace. Appunto di questo primo vangelo è articolazione quello articolato nel nome di Gesù.

Si deve dire ancora di più: senza il vangelo iscritto nella relazione tra genitori e figli non sarebbe possibile articolare neppure il vangelo di Gesù. Nella civiltà cristiana il nesso si realizzava senza necessità che esso fosse deliberatamente cercato; nella società secolare no. La nuova evangelizzazione deve impegnarsi a dare parola cristiana al vangelo materno e in tal modo istruire le madri cristiane a proposito del loro impegnativo compito.