1/ La famiglia affettiva. E sola. 2/ Onora il padre e la madre: il principio dell'ordine morale, di Giuseppe Angelini
Riprendiamo dal sito del VII Incontro mondiale delle famiglie - che si svolgerà a Milano sul tema «La famiglia: il lavoro e la festa» tra il 30 maggio e il 3 giugno 2012 - la I e la III riflessione scritte dal teologo Giuseppe Angelini in preparazione all'incontro il 27/2/2012 e il 12/3/2012. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la loro presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (14/3/2012)
1/ I riflessione di Giuseppe Angelini. La famiglia affettiva. E sola
Inizio qui una serie di riflessioni sulla famiglia, che proseguiranno settimanalmente per tre mesi, fino al VII Incontro mondiale delle famiglie. Le riflessioni avranno forma breve e solo allusiva; così impone il mezzo giornalistico. I temi affrontati però saranno assai impegnativi, tali da sollecitare ripensamenti profondi della vita cristiana e della pastorale tutta. Cerco qui di indicarne la prospettiva sintetica.
La famiglia è stata da sempre oggetto di attenzione privilegiata da parte della Chiesa. Mai tuttavia è stata sviluppata una teologia della famiglia, mai è stata prodotta un dottrina della famiglia a livello catechistico. Il rilievo centrale della famiglia nella vita si realizzava nei fatti senza necessità d’essere pensato e detto.
Nella stagione moderna, gli intellettuali progettano l’emancipazione del soggetto individuale dal cielo di certezze a lui proposte dal contesto sociale; quel progetto comporta anche l’emancipazione dal padre e dalla famiglia in genere. Nei discorsi degli intellettuali, la famiglia è progressivamente spinta ai margini della vita del singolo, e della vita della città tutta. Fa pensare il fatto che il nuovo capitolo del sapere intitolato all’educazione, la pedagogia, semplicemente ignori la relazione genitori/figli; essa immagina il compito educativo nell’ottica della relazione precettore/alunno; una prospettiva assai remota dal reale.
Già nel Settecento, il secolo in cui nasce la pedagogia, si annuncia una stagione civile nella quale la famiglia perde quella centralità, che pure le compete di diritto; i processi spontanei della vita quotidiana non sono più sufficienti a garantirla; serve un’iniziativa deliberata, quindi anche un pensiero.
Alla progressiva marginalità sociale della famiglia la Chiesa certo in molti modi si oppone; lo fa però soprattutto polemizzando con i nuovi maestri e con i poteri pubblici; non sviluppa invece una seria riflessione sui processi storici in atto. La marginalità sociale della famiglia non dipende certo solo, o soprattutto, o prima di tutto, dai cattivi maestri; dipende da trasformazioni sociali obiettive, che alimentano il progressivo confinamento della famiglia entro lo stretto spazio domestico, l’appartamento.
La famiglia moderna diventa tendenzialmente il luogo degli affetti; abdica al compito di realizzare la tradizione dei significati. Ad essa sono affidati in esclusiva due compiti: la socializzazione dei minori e la stabilizzazione emotiva degli adulti.
Uso la terminologia dei sociologi (T. Parsons). “Socializzazione dei minori” vuol dire pressappoco come educazione; ma l’educazione non è più concepita dai sociologi come processo mediante il quale sono consegnati al minore i significati elementari della vita; è concepita invece come rassicurazione affettiva, che garantisca al minore quella fiducia primaria, o quella ‘autostima’, che lo rende idoneo al rapporto sociale.
Alla tradizione dei significati sono deputate altre agenzie: la scuola prima di tutto, e per la sua parte anche la Chiesa. Alla famiglia affettiva sono affidati in esclusiva i compiti relativi all’anima; ma a un anima concepita in termini spiccatamente psicologici.
Perché la Chiesa possa aiutare la famiglia, possa aiutarla a tornare luogo di tradizione della cultura e della fede, occorre strapparsi a molti luoghi comuni della cultura corrente. Occorre, sotto altro profilo, mettere a frutto il rinnovato ascolto del vangelo, per illuminare la complessità e la profondità dei processi storico culturali in atto. Appunto questi due obiettivi perseguiremo negli interventi che verranno.
2/ III riflessione di Giuseppe Angelini. Onora il padre e la madre: il principio dell'ordine morale
Un approccio illuminante al tema dei rapporti tra lavoro e festa viene dal decalogo. Le due tavole dei precetti suggeriscono la distinzione e insieme il nesso tra culto e morale, tra festa e lavoro. La famiglia sta in mezzo; il comandamento onora il padre e la madre lega tra loro le due tavole.
I precetti della prima tavola tengono aperto lo spazio della vita umana a Colui che è all’origine, alla fine, ma in ogni caso oltre. Egli non può essere immaginato, può essere nominato solo con cautela. Se ne ha notizia attraverso la memoria; le sue opere, creazione e redenzione, debbono essere celebrate sospendendo le nostre. Al culmine della prima tavola sta il precetto del sabato: Ricordati del giorno di sabato per santificarlo: sei giorni faticherai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno.
La celebrazione del sabato avviene nella casa, come si capisce da ciò che segue: non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia (Es 20,8s). Il comandamento è motivato appunto per riferimento alla memoria delle origini: il riposo del Creatore (Gen 20,11) oppure l’esodo (Dt 5,15).
I precetti della seconda tavola si riferiscono alla morale, ai rapporti pratici tra i fratelli dunque. Il primo rapporto menzionato è, non a caso, quello con il padre e la madre. Esso è l’unico formulato in forma positiva e non come divieto; ed è l’unico della seconda tavola che abbia una motivazione. In tal caso essa è riferita al futuro: perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti dá il Signore, tuo Dio. Le due caratteristiche comuni – formulazione positiva e motivazione – fanno di questi due comandamenti una chiave di volta, che lega i due archi del decalogo.
Al quarto comandamento il Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 2197) riconosce un rilievo architettonico per rapporto a tutta la legge morale: esso «apre la seconda tavola della Legge», e in tal modo «indica l'ordine della carità». Alla radice di ogni comandamento è l’autorità di Dio, che si rende manifesta originariamente attraverso l’onore dei genitori. Il comandamento è formulato per il figlio adulto; il bambino non ha bisogno di comandamenti per onorare il padre e la madre; lo fa in maniera del tutto spontanea. A misura in cui cresce, si fa indipendente; ma la loro presenza continua ad esprimere ai suoi occhi un messaggio impegnativo. Viva è per lui la tentazione di rimuovere la loro presenza. Appunto a tale tentazione il comandamento si oppone. Onorare il padre e la madre vuol dire riconoscere in essi i testimoni della voce arcana, che fin dall’origine chiama la nostra vita.
La tentazione di rimuovere la presenza dei genitori, testimoni troppo impegnativi, dalla vita di ogni giorno è di sempre. Trova però negli stili di vita odierna opportunità più facili per realizzarsi. Gli adolescenti crescono a confronto con i pari e nei genitori cercano soltanto sostegno, economico e affettivo. Sempre più esili sono le risorse di cui i genitori dispongono per articolare in termini plausibili la loro autorità. I figli adottano spesso nei confronti dei genitori una mimica ‘fraterna’, simile a quella che usano con i coetanei. E i genitori si arrendono.
Il ritorno di Dio nel tempo feriale è legato all’onore reso ai genitori. Le norme della vita sociale paiono perdere oggi ogni riferimento a Colui che sta al principio; sono semplici regole di convivenza, di correttezza e rispetto; sanciscono la sostanziale estraneità dei soci. Soltanto l’onore reso ai genitori può conferire alle norme il profilo alto di comandamenti di Dio. La marginalità sociale dei genitori sancisce la secolarizzazione civile, e la secolarizzazione cancella, oltre che il rimando a Dio, anche quello all’io.