Rashi e la fiamma di fuoco. Uno studio sull'esegesi ebraica del libro dell'Esodo, di Gianantonio Borgonovo
Riprendiamo da L’Osservatore Romano del 3/3/2012 un articolo scritto da Gianantonio Borgonovo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (6/3/2012)
Nella Prefazione al documento della Pontificia Commissione Biblica Il popolo Ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia Cristiana (2001), l'allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Joseph Ratzinger, ebbe a sottolineare che "i cristiani possono imparare molto dall'esegesi giudaica praticata per duemila anni; a loro volta i cristiani sperano che gli ebrei possano trarre utilità dai progressi dell'esegesi cristiana. Io penso che queste analisi saranno utili per il progresso del dialogo giudeo-cristiano, ma anche per la formazione interiore della coscienza cristiana".
Ovviamente il problema non può risolversi con l'adeguamento all'ermeneutica giudaica delle Scritture, altrimenti verrebbe meno la singolarità cristologica della loro interpretazione. D'altra parte, non può non esserci la possibile permanenza, "senza superamento", di una lettura giudaica del Primo Testamento, condizione sorprendente di quella doppia ermeneutica di fronte alla quale anche l'apostolo Paolo si arrende e confessa "la profondità della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio" riconoscendo che "davvero insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie" (Romani, 11, 33).
Il campo esegetico ove meglio si può apprezzare il dialogo tra la tradizione ebraica e quella cristiana è la discussione della littera. Essa senza dubbio non si sviluppa a prescindere da una determinata prospettiva ermeneutica e, tuttavia, si muove con argomentazioni che possono essere verificate e controllate dalla relativa oggettività della filologia. Non per nulla anche i grandi grammatici ebrei dell'XI secolo si muovono nell'alveo del pesa, del senso letterale, prima di salire nei più impervi passi verso il raggiungimento del pardes, quel "paradiso" ermeneutico al quale si accede con il remez (l'analogia della concordanza), il midras (la ricerca aggadica e halakica) e infine il sôd, che si dispiega con la contemplazione del "mistero".
Anche l'esegeta cristiano ha dunque molto da apprendere da questi grandi maestri come Rashi, acronimo che sta per Rabbi Shlomo Yitzhaqi (1040-1105), e Rabbi Abraham ben Me'ir ibn-'Ezra (1089-1164).
Ed è un segno molto positivo che un giovane studioso di ebraistica come Patrizio Alborghetti, laureato in filosofia e dottore in teologia, ricercatore dal 2004 al 2009 presso l'Istituto di Storia della teologia della Facoltà Teologica di Lugano, si presenti con il lavoro di dottorato dedicato a Rashi, che qui recensiamo - In una fiamma di fuoco. Rashi commenta l'Esodo (Milano, Istituto di Storia della teologia - Facoltà Teologica di Lugano - Jaca Book, 2011, "Di Fronte e Attraverso 1013") - e stia preparando la sua abilitazione per la libera docenza con un lavoro dedicato a Ibn-'Ezra. Non è un caso, ma un segno d'intelligenza e di già profonda conoscenza del campo di studio in cui l'autore del volume vuole dedicare le sue promettenti forze euristiche.
Lo studio di Alborghetti è la traduzione con presentazione critica di Esodo, 1-12 nel commento di Rashi. Tale studio è anzitutto introdotto da un Editoriale elogiativo di rav Giuseppe Laras, già rabbino capo di Milano e ora presidente del Tribunale Rabbinico del centro-nord Italia, nonché presidente del Comitato scientifico della Fondazione Maimonide, fondazione culturale da lui voluta e progettata, e membro fondatore della Classe di studi sul Vicino Oriente, Sezione Ebraica, dell'Accademia Ambrosiana. A rav Laras rubo le ultime parole per anticipare il punto di arrivo della mia presentazione: "Idealmente dedicato a un pubblico colto e versato nell'esegesi biblica ebraica tradizionale, il presente testo realizza un ampliamento di orizzonti all'interno di questo settore, segnalandosi così non solo come utile di per sé, ma anche molto stimolante per ulteriori approfondimenti" (p. IX).
Segue poi la Prefazione di Azzolino Chiappini, attuale rettore della Facoltà Teologica di Lugano, che mette a fuoco l'aspetto caratteristico di un'ermeneutica biblica. Essa è veramente un'operazione globale: la dimensione teologica emerge soltanto "alla lunga", per stare alla vivace immagine espressa nella citazione di Jean-Pierre Sonnet con cui si chiude il discorso di Chiappini. Il lavoro di Alborghetti è condotto con acribia, eppure con stile delicato, perché tutto il lavoro di studio e di analisi sembra volutamente celato dietro una presentazione sobria, dove le discussioni tecniche sono esposte senza pedanteria. L'Introduzione (pp. XXI-LX) dimostra questa ricca preparazione che l'autore nasconde umilmente nel "retrobottega", senza essere esposta in vetrina. Si veda, ad esempio, la sezione dedicata ai "supercommentari", ovvero ai commentari - più di duecento! - che sono stati scritti a commento dell'opera di Rashi e che sono stati utilizzati per meglio comprendere il metodo, lo stile e il punto di approdo dell'esegesi del rabbino di Troyes.
Il paragrafo dedicato al metodo esegetico (pp. XXXVII-LIV) è il più denso e importante dell'introduzione, perché permette di comprendere il lavoro di Rashi e il rapporto che la sua esegesi intrattiene con il pesa (senso letterale), con il midras e con il targûm. La relazione più sorprendente è infatti quella con il midras, dal momento che la sua stretta ricerca della littera poteva essere in qualche modo "distratta" dal midras. Al contrario, l'uso del midras in Rashi mira sempre a una migliore comprensione del senso letterale, su tre direttrici metodiche: per meglio chiarire il senso letterale; per rispondere alle domande poste dal testo nel suo senso letterale; per carpire insegnamenti di varia natura (morali, religiosi o educativi in genere); per meglio stabilire il senso letterale o anche prescindendo da esso.
Nella sezione introduttiva, è anche importante il paragrafo che mostra il contributo dato dall'esegesi dei grandi grammatici ebrei alla tradizione cristiana, si pensi ai Vittorini, alla scuola biblico-morale parigina e, in particolare, a Nicola di Lyre, il quale conosceva bene l'ebraico ed ebbe quindi la possibilità di entrare in diretta relazione con gli studiosi ebrei del nord della Francia. Tutto questo porta Alborghetti a concludere in maniera opportuna con questa osservazione: "A questo proposito sarebbe importante ed estremamente proficuo per qualsiasi traduttore prendere in considerazione, nel suo sforzo di rendere comprensibile in un'altra lingua la Parola di Dio, il commento di Rashi: la profonda attenzione posta da questo maestro a ogni singolo termine del versetto lo aiuterebbe a tradire il meno possibile la lingua originaria" (p. LIX).
Il corpo dell'opera è dato dalla traduzione e dal commento critico di Rashi a Esodo, 1-12. Ciascun plesso di versetti, commentato analiticamente, si compone di quattro parti: il testo biblico in ebraico e in italiano, disposto su due colonne: nella colonna di destra il TM (Testo Massoretico) in ebraico e nella colonna di sinistra la versione in italiano; il testo del commento di Rashi riportato con l'alfabeto suo proprio; la versione in italiano del commento di Rashi; le note dell'autore riferite al commento di Rashi. A proposito della traduzione, si deve notare il grande sforzo dell'autore nel lasciare la versione in italiano il più possibile aderente alla costruzione e alla Vorlage dell'originale ebraico, ed è un vantaggio notevole per il lettore italiano, che sente immediatamente di trovarsi in un contesto letterario diverso.
L'impegno di una traduzione vicina alla struttura dell'ebraico originale è percepito immediatamente nel confronto del testo del nostro autore con l'edizione del Commento all'Esodo, curata da Sergio J. Sierra (Marietti, 1988). Il miglioramento è particolarmente apprezzabile nella comprensione della logica sottesa alle citazioni e alle motivazioni addotte. Lo studio di Alborghetti non dimostra solo di essere un punto a favore dell'impegno personale profuso e delle prospettive positive aperte dall'accostamento di questa sezione del commento di Rashi all'Esodo. Esso è un invito a prendere sul serio il lavoro dei grandi grammatici ebrei, se davvero anche oggi si vuole crescere come uditori della Parola di Dio, e non soltanto sciorinare commentari logorroici in occasione di lavori dedicati alla Parola Sacra della Scrittura divina.
Giustamente dice un detto diffuso tra gli Ebrei medievali spagnoli: "Getta tutti i commentari francesi nella spazzatura, tranne quello di Parsandata" (è il nome che Ibn 'Ezra diede a Rashi, prendendolo dal nome di uno dei figli di Aman secondo Ester, 9, 7; il significato è "interprete della Legge", da parsan "interprete" e data' "Legge").
(©L'Osservatore Romano 3 marzo 2012)