Un posto per tutti nella casa della madre. Origini e sviluppi della basilica cristiana dalle "domus ecclesiae" alle chiese del V secolo, di Fabrizio Bisconti
Riprendiamo da L’Osservatore Romano del 3/3/2012 un articolo scritto da Fabrizio Bisconti. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (6/3/2012)
Non è semplice ricostruire la struttura, l'articolazione e l'arredo dei primi edifici di culto cristiani, né è intuitivo il passaggio dalla fase primitiva delle domus ecclesiae, di concezione apostolica e paolina, alle chiese vere e proprie, ovvero dall'abitazione di un fedele adibita ad accogliere un gruppo, più o meno numeroso di fratelli, alla acquisizione e alla predisposizione di un ambiente dedicato specificamente al culto. Non è nemmeno agevole comprendere cosa comporti di fatto - nei primi secoli - questo ultimo passaggio, se esso, cioè, proponga sempre e invariabilmente una soluzione architettonica univoca e uguale per tutti i territori del mondo cristiano antico.
Gli archeologi si sono posti alla ricerca degli edifici di culto più antichi, senza troppa fortuna. Il caso della domus ecclesiae di Dura Europos, sigillata nel 256 per un evento bellico, che indusse i coloni romani a insabbiare porzioni importanti del ricco centro economico situato sull'Eufrate e aggredito, da molto tempo, dalle popolazioni sasanidi e partiche, rappresenta un vero e proprio unicum. Si tratta, in realtà, di un'abitazione già trasformata in edificio di culto, seppure utile ad accogliere una piccola comunità.
La domus già propone una distribuzione degli ambienti adibiti rispettivamente al rito del battesimo, come dimostrano gli organismi e la decorazione pittorica, alla sinassi e ai servizi. Insomma, rispetto alla semplice domus ecclesiae, dove l'abitazione era adattata alle diverse azioni liturgiche, in maniera episodica ed estemporanea, e dove i manufatti e gli arredi apparivano ancora mobili e asportabili, tanto che tali domus non si proponevano come sedi fisse del culto, la casa-chiesa di Dura Europos rappresenta già una fase matura dell'edificio consacrato alla prassi liturgica.
Il fatto che gli ambienti di Dura Europos si addensino all'interno di una domus appena modificata, dove cominciano a emergere le diverse funzioni e le sedi dei vari riti, lascia pensare agli studiosi dell'architettura paleocristiana che il modello da cui sorge il concetto dell'edificio di culto risiede proprio nel concetto e nel tipo strutturale domestico.
Non avendo a disposizione altri anelli di una catena, che doveva gradualmente condurre dalla domus ecclesiae alla basilica canonica, neppure nel ricco scenario romano, laddove gli antefatti delle basiliche paleocristiane, compreso il caso, pur intrigante, dell'insula sottostante la basilica celimontana dei Santi Giovanni e Paolo, appaiono sfuggenti, dobbiamo approdare ai tempi appena circostanti l'editto di Milano del 313, per contattare un complesso che rappresenta l'"esplosione" monumentale della domus ecclesiae, nella metropoli di Aquileia interessata dalla presenza dell'imperatore della tolleranza, se in un palazzo della città, ancora non sicuramente e archeologicamente individuato, si celebrò il matrimonio di Costantino e Fausta.
Ebbene, in un'area periferica del centro alto adriatico, durante il primo conflitto mondiale, un'équipe di archeologi austriaci rinvenne un articolato complesso basilicale, costituito da tre aule raccordate in forma di U che contengono, tra altri ambienti di servizio, una vasca battesimale. Il committente può essere agevolmente identificato: si tratta del vescovo Teodoro, che, nel 314, partecipa, assieme al diacono Agatone, al concilio di Arles. Due iscrizioni musive, ancora leggibili nelle due aule parallele, completamente decorate in tessellato, ricordano appunto la figura del presule aquileiese che affrancò l'edificio di culto dalle misure e dai caratteri della semplice domus privata, proiettandolo verso le dimensioni e le peculiarità di una struttura comunitaria.
Tra il tempo delle persecuzioni dioclezianee e quello dei costantinidi la Chiesa cristiana dimostra un accelerato processo di diversificazione e se la chiesa africana di Cirta, come ricorda la rievocazione della dinamica della requisizione proprio al tempo di Diocleziano (284-305), propone ancora l'articolazione del complesso abitativo appena più espanso e già dotato di ambienti di servizio, le due grandi aule parallele di Aquileia, completamente mosaicate, anche con temi cristiani, pongono l'interrogativo urgente e incalzante delle funzioni, se cioè svolgessero rispettivamente i ruoli dell'ambiente per la sinassi e di quello per il catecumenato e se la terza aula fosse utile per la consignatio.
Se il nostro percorso - oramai al tempo della tolleranza - potrebbe fermarsi a Treviri, dove però il giudizio archeologico sugli scavi del passato e di quelli più recenti stenta a consegnare una affidabile ricostruzione architettonica dell'edificio basilicale davvero complesso e, forse, non tanto riferibile alla fase costantiniana, un confronto serrato con le fonti documentarie ci costringe a riferire la dettagliata descrizione della basilica di Tiro, commissionata dal vescovo Paolino: "Non ci sono parole per spiegare quale spirito, con quali problemi, con quale libertà egli [Paolino] abbia eretto questo magnifico tempio di Dio (...) Ha costruito un edificio molto più grande del precedente e lo ha dotato di una recinzione protettiva. Ha fatto erigere un ingresso ampio ed elevato, verso oriente, fornendo ai passanti un'idea di quanto avrebbero potuto vedere all'interno. Nessuno, passando, riesce a commuoversi e stupirsi pensando alla triste situazione precedente di quel luogo. Forse il vescovo vuole che il viandante sia invogliato ad entrare. Comunque non ha permesso che chiunque potesse entrare senza essersi prima lavato i piedi. Tra l'edificio e l'ingresso, egli ha creato un grande quadriportico con colonne unite da transenne (...) al centro ha fatto sistemare anche una fontana per le abluzioni, prima di entrare nell'edificio sacro (...) In facciata ha fatto aprire tre porte, delle quali quella centrale più grande, più alta e decorata con cesellature e bassorilievi (...) All'interno ha fatto sistemare arredi preziosi, senza badare a spese (...) Ha dotato il soffitto di una copertura con legno di cedro del Libano (...) Ha fatto sistemare sedili lungo tutto l'edificio e, al centro, l'altare e, affinché la massa non potesse avvicinarsi, lo ha fatto circondare con transenne lignee, decorate finemente, soprattutto nella porzione superiore" (Eusebio di Cesarea, Historia Ecclesiastica, 10, 4, 26-29).
Ormai la basilica cristiana è divenuta una grande costruzione, utile a raccogliere grandi comunità e l'articolazione architettonica segue le essenziali coordinate della grande aula longitudinale, distinta in navate da colonnati o serie di pilastri, anche se non mancano, sin dal tempo di Costantino (306-337) basiliche, specialmente memoriali a pianta centrale, circiformi o pure più complesse. Le fonti e l'archeologia forniscono testimonianze parallele in questo senso.
Ma anche l'iconografia può dare qualche prova significativa. Se, infatti, recuperiamo una scoperta degli inizi del Novecento, effettuata nell'antica Thabraca, città romana della provincia Numidia Proconsolaris Inferior, odierna Tabarka in Tunisia, ci imbattiamo in una singolare rappresentazione musiva pavimentale, che merita tutta la nostra attenzione. Il pannello musivo fu rinvenuto presso il presbiterio di una basilica, detta anche Cappella dei Martiri e rappresenta una chiesa, secondo un espediente figurativo molto particolare, che ne lascia ammirare l'interno, ma anche la facciata, l'area presbiteriale e l'abside, senza rinunciare alla raffigurazione della copertura. Proprio al di sotto del tetto, rappresentato al dettaglio, corre l'iscrizione funeraria: Ecclesia mater / Valentia in pacae, con un chiaro riferimento metaforico alla "maternità della Chiesa", se non alla maggiore importanza dell'edificio, rispetto alle altre chiese del centro africano.
Ebbene, il mosaico permette di avere un'idea minuziosa dell'edificio di culto canonico: dall'ingresso con scala e finestre, al colonnato, al pavimento musivo con volatili, all'altare con i ceri accesi. Siamo ormai nel V secolo e il tempo delle basiliche tocca il suo apice e produce una densa massa di presenze in tutto il mondo cristiano antico, costruendo una nuova geografia religiosa e una nuova civiltà architettonica del culto.
(©L'Osservatore Romano 3 marzo 2012)