Il conflitto fra ebrei laici ed ebrei ortodossi. Un’intervista di David Braha ad A. B. Yehoshua
Riprendiamo sul nostro sito non perché la condividiamo integralmente, ma per invitare alla discussione dall’Agenzia di stampa Informazione corretta che la riprende a sua volta da Shalom di febbraio, p. 6, l'intervista di David Braha ad A. B. Yehoshua dal titolo "Bisogna separare la nazionalità ebraica dalla religione ebraica". Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (24/2/2012)
Nel bel mezzo di una guerra mediatica tra ebrei laici ed ebrei ortodossi, e a pochi giorni dall’episodio dell’uomo religioso che a Beit Shemesh sputò ad una ragazzina di otto anni perché “vestita in maniera inappropriata”, incontro A.B. Yehoshua, scrittore israeliano di fama internazionale ed anima laica di questo paese. Nel corso di una lunga chiacchierata in un affollato caffè nel centro di Haifa, la città adottiva dove vive e lavora, mi racconta delle origini e delle motivazioni di un conflitto senza tempo e di come, secondo lui, questo conflitto può essere risolto.
Quali sono le radici del conflitto tra ebrei laici ed ebrei ortodossi?
Il conflitto tra laici ed ortodossi è dovuto ad un elemento intrinseco all’identità ebraica, la quale è un’identità speciale, diversa da tutte le altre. Essa deriva da due fattori: uno nazionale – composto da elementi come la storia comune, la lingua e la terra – ed uno religioso. Ma la religione ebraica è un carattere esclusivo, che appartiene unicamente a questo popolo: non è come l’Islam o il Cristianesimo che sono grandi religioni condivise da tanti popoli. Molti riassumono questo concetto con la frase “Non esiste popolo ebraico senza la Torah”. Il conflitto a cui assistiamo oggi tra laici ed ortodossi deriva quindi dalla natura dominante di entrambi questi fattori. E da un dilemma basilare: ovvero quale dei due debba prevalere sull’altro.
Perché questo problema è tanto sentito soprattutto in Israele?
Perché nella Diaspora il conflitto tra il fattore nazionale e quello religioso non esiste e non può esistere. Non vi è infatti una realtà ebraica “totale” al di fuori di Israele. A Roma per esempio un ebreo religioso non si permetterebbe mai di attaccare un ebreo che non rispetta lo Shabbat. In altre parole, la Diaspora è caratterizzata dal fatto che un ebreo è libero da ciò che un altro ebreo gli vorrebbe imporre. Ma c’è anche un fattore storico che va tenuto in considerazione.
Fin dalle origini il sionismo è stato un movimento principalmente laico: basti pensare che, a prescindere dalla visione politica, figure chiave come Ben Gurion e Jabotinsky non indossavano mai la kippah e non andavano mai in sinagoga. Di conseguenza, per decenni gli ebrei ortodossi si opposero alla fondazione dello Stato d’Israele: essi temevano appunto che il nazionalismo ebraico prendesse il posto della religione. Tuttavia, nel momento immediatamente precedente alla nascita dello Stato essi accettarono di appoggiare Ben Gurion in cambio di una serie di garanzie – come il rispetto della kasherut in tutte le istituzioni statali e l’adozione dello Shabbat come giorno di riposo settimanale – e di benefici, tra cui l’esenzione dal servizio militare e i sussidi per le scuole di Torah. Il problema è che se all’epoca gli ortodossi che godevano di questo tipo di trattamento erano poche migliaia, nel corso del tempo il loro numero è cresciuto a dismisura. Ed ora si calcolano nel rango delle centinaia di migliaia.
Pensa che lo Stato d’Israele dia una priorità all’agenda politico-sociale di uno di questi gruppi? Se sì, perché? E come viene espressa questa preferenza?
Come è evidente, la priorità viene data agli ebrei ortodossi. Essi sono esenti dal servire nell’esercito, ricevono sussidi per le loro scuole e per il gran numero di figli che generano, e buona parte di loro nemmeno lavora perché dedica il proprio tempo interamente allo studio dei testi sacri. Il problema è che niente di tutto questo giova davvero alla società. Per esempio uno studente universitario che riceve una borsa di studio, in un secondo tempo “ripagherà” la società entrando nel mercato del lavoro e svolgendo la professione per la quale ha studiato. Ma lo studente delle yeshivot non restituisce nulla; la società non godrà mai dei frutti del suo studio. Tutta questa situazione deriva da un fatto molto semplice, ovvero dal conflitto politico tra destra e sinistra in Israele. I grandi partiti, da un lato e dall’altro, nel corso della storia hanno cooperato molto poco tra di loro e la necessità di formare coalizioni di governo stabili li ha spinti a cercare alleati politici altrove. La risposta in entrambi i casi sono stati proprio i partiti religiosi che, con il loro assenso, hanno permesso fino ad oggi la governabilità del paese. Però il costo di tutto questo è stato estremamente alto: i diritti speciali ed i benefici di cui gli ortodossi godono infatti vanno ben al di là del loro reale peso politico.
Secondo lei esiste una soluzione a questo conflitto tra ebrei laici ed ebrei ortodossi?
Secondo me esiste una soluzione, ma può essere raggiunta soltanto nel lungo termine. E questa sarebbe la separazione netta tra nazionalità ebraica e religione ebraica. È ovvio che esisterà sempre una certa tensione tra questi due caratteri: in fin dei conti è un conflitto senza tempo che risale già all’epoca di Mosè. Ma se gli ebrei laici ed i non-ebrei in questo paese iniziassero a collaborare, il peso degli ortodossi diminuirebbe notevolmente. A mio giudizio, tutto dipende dalla soluzione del conflitto con i Palestinesi. Il giorno in cui si raggiungerà un accordo su questo tema, i partiti laici potranno allearsi tra di loro e non essere più politicamente dipendenti dai partiti religiosi.