«Questa è la pretesa di Gesù: Io sono colui che rimane». La fine della invisibilità di Dio. Gesù come fotografia di Dio, di Klaus Berger
Riprendiamo sul nostro sito la relazione tenuta da Klaus Berger al Convegno «Gesù nostro contemporaneo» (9-11 febbraio 2012) il 9 febbraio 2012. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (13/2/2012)
L’Antico Testamento da una parte conosce il divieto di raffigurarsi Dio, dall’altra indica l’uomo, e soltanto l’uomo, come immagine di Dio. Quel che ne deriva è una feconda tensione. Quel che mi propongo qui di seguito è una nuova determinazione del rapporto fra Dio Padre – Cristo – Uomo sotto questo aspetto, ed essenzialmente sulla base della teologia dell’apostolo Paolo e dell’Evangelista Giovanni.
Il 23 gennaio 2006 Benedetto XVI ha spiegato che doveva il primo impulso dell’Enciclica Deus Caritas alla Divina Commedia di Dante. Si riferiva alla visione finale, in cui Dio, luce infinita, appare con volto umano. Paradiso, 33, 130-133: “Dentro da sé, del suo colore stesso, mi parve pinta de la nostra effige, per che ‘l mio viso in lei tutto era messo”. Un lampo ha colpito il suo spirito. L’affermazione conclusiva rinvia all’amore che muove il sole e le stelle.
“Chi vede me, vede il Padre” (Gv. 14, 9), dice Gesù a Filippo. Il Cristianesimo primitivo mostra qui una particolare concezione della rappresentazione. Pensare in tal senso soltanto a una variante dell’inviare e dell’essere inviato, sarebbe troppo poco. Infatti il principio giudaico “L’inviato è come colui che invia” riguarda innanzitutto il piano giuridico-formale, non è compiuto concretamente. Non si può nemmeno trattare di pura somiglianza, dal momento che l’identificazione qui è troppo estesa. In questo caso la relazione fra Dio e uomo è più intima, più organica, simile a quella che c’è fra capo e corpo. Secondo Corinzi 1, 12 la sym-patheia nel corpo umano è da intendersi così: il dolore di un membro si trasmette osmoticamente all’altro. L’osmosi appare come la forma più intensa della comunità, dove identità o fusione ancora non esistono; anche la categoria di “rappresentanza” qui non è adeguata. Attraverso Gesù Cristo Dio entra così intensamente nella comunità degli uomini che colui che Lo ascolta, ascolta il Padre, colui che Lo vede, vede il Padre. Infatti Gesù ha in sé, per così dire, una parte del Padre, Egli partecipa alla Sua presenza.
1. Non una verità fattuale, ma una persona con un volto
“Per i cristiani la verità ha un nome: Dio. E il bene ha un volto: Gesù Cristo” (Papa Benedetto XVI, settembre 2009 a Praga). Il centro del Vangelo non è infatti una dottrina, ma una persona. Ed è
urtante quando Gesù, secondo il quarto Vangelo, dice: “Io sono la Via, la verità e la Vita”. Come può, infatti, una persona essere la verità?
Senza dubbio diverso era l’insegnamento dei filosofi greci: la verità, essi dicevano, è un attributo del pensiero, la corrispondenza fra pensiero e cosa. Gesù invece non è soltanto una caratteristica del pensiero, egli non è la corrispondenza fra pensiero e cosa. Un’altra è la caratteristica del concetto greco di verità, che vale per Gesù: la verità è ciò che resta. A questo serve ogni ricerca degli uomini: trovare qualcosa che non ci si getta alle spalle domani stesso, ma sulla quale si possa contare anche domani e per sempre. Quel che rimane è una persona. Una persona non è la cosa più effimera che ci sia, fugace come un soffio o come una foglia in autunno.
Questa è la pretesa di Gesù: Io sono colui che rimane. E questo costituisce l’intera cristologia giovannea: chi aspira alla vita eterna, chi dunque vuole vincere la morte, deve rimanere in me. Già nella filosofia greca si trovava tutto questo, per amore di una vita buona occorre aver parte alla verità. Questo avviene attraverso lo studio e la conoscenza, non ultimo anche attraverso l’amore per la verità, che si è anche potuto chiamare “filosofia”. L’impiego così frequente delle parole “amare” e “amore” nel quarto Vangelo si spiega non da ultimo con il fatto che il Vangelo è la vera filo-sofia. Se la verità è una persona, tutto sta nel rimanere, quanto più è possibile, a contatto stretto con questa persona. Questo contatto i Vangeli lo chiamano sequela, l’andare dietro a Gesù.
2. Seguire Cristo è seguire Dio
Quali conseguenze abbia questa sequela di Gesù nel tempo e nell’eternità è Gesù a dirlo al giovane ricco in Mt. 10. Il giovane ricco aveva chiesto che cosa egli dovesse fare per conseguire la vita eterna. Gesù risponde: Va, vendi i tuoi averi e dalli ai poveri, avrai allora un tesoro nei cieli. Poi seguimi. Immediatamente prima Gesù aveva biasimato l’espressione “buon Maestro” sulla bocca del giovane ricco, perché solo Dio è buono. Tuttavia ciò che Gesù qui presuppone conferma la sua pretesa di identità con Dio in modo singolare. Infatti nessun uomo può dire: chi segue me, ha la vita eterna. Chi parla in modo così audace è un folle oppure è Dio.
Si tratta certo di una pretesa inaudita: chi fa questo esattamente, come Dio, questi ha la vita eterna. Così già nell’Antico Testamento Dio è stato seguito per la via celeste. La via di Gesù è la via sulla scia di Dio. Infatti chi segue Gesù, questi segue Dio. La via di Gesù è il sentiero luminoso, che conduce direttamente nella luce di Dio. Gesù è in quanto percorre questa via, questa stessa via a Dio di Gesù è la via e la verità e la vita.
In tal modo Egli non annuncia alcuna teoria in concorrenza con le teorie di altri maestri. Come discepoli di questa verità occorre soltanto essere là dove è Gesù. È questo che conferisce il loro
significato a tutte le indicazioni spaziali teologiche del quarto Vangelo (“rimanere presso Gesù”, “rimanere in Gesù” etc.). Si tratta, complessivamente, di indicazioni spaziali assai precise. Esse rispondono alla domanda antichissima: dov’è Dio? E la risposta suona così: Il luogo di Dio è Gesù Cristo. Chi rimane in Lui, rimane in Dio, e questo significa: nella vita eterna.
Somiglianza con Dio significa filiazione
Se Gesù è il luogo di Dio, com’è il rapporto fra Lui e il Padre? Egli è Suo Figlio. Nessuno è così simile ad un uomo quanto suo figlio. Nell’Antico Testamento Dio ha una figlia, la sapienza, ovvero Sion. Nel Nuovo Testamento ha un Figlio e dunque, dal momento che questo figlio è il primogenito, molti figli. La sapienza, così dice l’Antico Testamento, non è identica a Dio. Essa proviene da Lui. Se Egli non ci fosse, essa non ci sarebbe. Essa è il Suo fianco rivolto al mondo e agli uomini. Nel Nuovo Testamento vediamo questo con maggior chiarezza. Il Figlio viene rivelato, quando Dio si dona a noi totalmente e definitivamente. Poiché egli è il Figlio, può valere questo: i suoi lineamenti sono quelli del Padre.
3. Una immagine personale
In Lui Dio ha un volto che diventa accessibile a noi uomini. Nessuno ha visto Dio, questo ripete il Prologo di Giovanni. Tuttavia noi possiamo conoscere Suo Figlio; possiamo farci, nel senso più vero della parola, un’immagine di chi è e di come è il Padre. Questo non significa eliminare il divieto di farci immagini. Vale piuttosto ancora di più il fatto che non una materia morta, come la pietra, il metallo o il legno, può rappresentare Dio, ma, in modo esclusivo, un uomo vivente, il Figlio di Dio Gesù Cristo. “Per i cristiani la verità ha un nome: Dio. E il bene ha un volto: Gesù Cristo”.
Dalla storia dei dogmi noi sappiamo quanto lo stesso concetto occidentale di persona sia stato plasmato attraverso l’immagine di Dio. L’antropologia filosofica fino alla scienza politica devono qui qualcosa di decisivo alla teologia.
4. Similitudine con Dio
Complessivamente la Bibbia conosce soltanto due possibilità per parlare dell’immagine di Dio. Una possibilità è l’uomo in generale, l’altra è Gesù Cristo, e di certo Egli soltanto. Dell’uomo in generale parla Gn. 1,26 f, dell’uomo e della donna ad immagine di Dio, e del tutto marginalmente vi sono due passi neotestamentari; una volta Gc. 3,9 mette in guardia dal maledire gli uomini poiché essi sono stati creati simili a Dio; poi 1 Cor. 11,7 : solo l’uomo è stata creato ad immagine di Dio (la donna è stata creata secondo l’uomo); questo certamente in quanto, secondo 11,3, egli è stato creato secondo il modello di Gesù Cristo, che è il suo capo. Questi due passi non sono esattamente centrali. Pertanto non giocano alcun ruolo nel quadro sistematico complessivo.
5. Gesù come immagine di Dio
Il quadro sistematico viceversa si delinea altrove: secondo passi neotestamentari assai centrali Gesù Cristo, e di certo solo Lui, è immagine e riflesso di Dio. Secondo 1 Cor. 15, l’Adamo secondo l’immagine di Dio è solo l’uomo pneumatico Gesù Cristo definitivamente liberato. Questi passi si trovano più spesso all’inizio – oppure nelle sezioni centrali – delle Lettere paoline o comunque attribuite a Paolo:
Col. 1,15: Egli è Dio, che nessuno ha visto, il Suo ritratto (Egli è immagine del Dio invisibile), è il Figlio primogenito, prima di ogni creazione. La congiunzione di “primogenito” e “immagine”, Paolo la riconosce anche in Rm. 8,29 (cosicché essi divengano come il suo Figlio primogenito). Gesù Cristo è qui l’immagine originaria che plasma. In tal modo Egli diventa il primogenito di molti fratelli. Pure in Col. 1,15 Gesù è immagine del Dio invisibile. Ma come può un invisibile essere raffigurato?
Eb. 1,3: “Questo Figlio, che è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza…” … nel Figlio diventa visibile chi è il Padre. Il che significa: Il Figlio è plasmato dall’impronta plasmante che Dio come marchio gli ha conferito.
2 Cor. 4,4: Gesù Cristo stesso è il contenuto del messaggio di luce e di splendore, il ritratto vivente di Dio….(6) Dio stesso è divenuto la luce nei nostri cuori e ci ha lasciato percepire il suo splendore irradiante, che per riflesso risplende sul volto di Gesù Cristo.
Questi testi risultano del tutto vicini a Gv. 1,1: “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio..” (18) “Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, Lui lo ha rivelato….”.
Conclusione: In quanto Figlio, Gesù è immagine del Dio invisibile. Egli è l’unica immagine di Dio.
6. Il Gesù pre-pasquale come sapienza di Dio
Quando ci si è chiesti, in generale, come si è potuti giungere a questa cristologia, allora la risposta quasi ovvia, nel senso della teologia liberale, è stata: naturalmente è l’“Innalzato”, che è stato visto
in questo ruolo. Ma nulla fa riferimento specificamente al Risorto e all’Innalzato. Indicazioni molto solide e frequenti suggeriscono la tesi che il Gesù terreno prima della Pasqua possa essere stato convinto che in lui e attraverso di lui agiva la sapienza di Dio.
Così come la sapienza, Egli parla in Mt. 11,25-30, e vede se stesso e il Battista come inviati della Sapienza, e in particolare l’Eucarestia diventa comprensibile con e accanto al discorso sul pane di Gv. 6, come azione simbolica sapienziale, in cui la sapienza si offre ai suoi figli come nutrimento. Qui si mostra tutta la cristologia del quarto Vangelo, ad esempio l’immagine, che Gesù, secondo Gv. 7, offre di sé come acqua viva. La (auto-) identificazione di Gesù con la sapienza produce questo: le parole di Gesù diventano comprensibili come parole di Dio, Dio parla autenticamente attraverso la Sua sapienza, i Suoi atti miracolosi sono comprensibili come segni della sapienza (come Signore). Alla sapienza è strettamente connessa la categoria della missione. La sapienza consente che lo sguardo non si diriga soltanto su Gesù, ma anche ad esempio su Giovanni Battista (Mt. 11, 19).
Gesù può dire: chi vede, ascolta, accoglie me, questi vede, ascolta, accoglie il Padre. Si tratta certamente della missione, ma questa ci trascina molto nella identificazione. E questo si collega ai seguenti elementi:
7. In Gesù parla e agisce Dio
Le azioni di Gesù sono direttamente azioni di Dio. Lo si vede direttamente in Mt. 11: i ciechi vedono, i paralitici camminano, i morti vengono risuscitati. Secondo Is., 29,35, tutto questo è quanto c’è da attendersi dalle azioni di Dio. Ora Gesù riferisce semplicemente a se stesso tutte queste azioni. In questo modo si sa chi agisce in Lui. In modo simile argomenta, fondamentalmente, il quarto Vangelo: se Gesù guarisce il cieco nato, allora questa salvezza in realtà è una nuova creazione. Per questo Gesù opera anche con argilla inumidita come nella creazione di Adamo.
Quando Gesù può camminare sul mare, allora per i contemporanei non vi è altra possibilità di spiegazione che l’ipotesi che Gesù sia Dio. Al riguardo tutte le fonti antiche sono concordi: sull’acqua può camminare soltanto Dio. In tutti i quattro Vangeli, i racconti sulla moltiplicazione dei pani di Gesù sono associati al camminare sulle acque. Perché questi due racconti si riferiscono l’uno all’altro così singolarmente? Evidentemente essi si legittimano a vicenda: con il camminare sulle acque viene escluso che nel miracolo della moltiplicazione dei pani si tratti soltanto di un gioco visivo. Perché camminare sulle acque è possibile in definitiva solo a Dio. Visti da qui anche i racconti della moltiplicazione dei pani sono testimonianze dell’agire di Gesù in quanto Creatore. E così è da intendere anche la resurrezione di Lazzaro. In numerose notizie sull’Anticristo o anche già su Simon Mago, viene detto che questi riesce a fare prodigi visivi di questo tipo, non può però operare una resurrezione (poiché egli non è il Creatore). E secondo alcuni egli fallisce già anche nella moltiplicazione dei pani, perché anche per riuscire in questo dovrebbe essere il Creatore.
Tuttavia come ci si pone con quei testi, secondo i quali Gesù non è apparso nella sovranità del Creatore? Esemplare, per la riflessione su questo aspetto, è la prefazione nr. 1288 nel Corpus Praefationum: in una occasione è rivelata la divinità di Gesù, in un’altra al contrario la sua debole natura umana. Nella resurrezione di Lazzaro la divinità, sulla Croce la debole natura umana. Tommaso d’Aquino risponde a questa domanda con queste parole: In cruce lateba deitas. “Sulla Croce era nascosta la divinità”. Anche attraverso le differenti concezioni del mistero come mistero delle parabole, mistero del Messia, mistero della sofferenza, mistero del regno di Dio, i Vangeli ci conducono nel gioco fra essere rivelato ed essere nascosto, che si chiama Rivelazione prima della fine del tempo.
Si ha qui, innanzitutto, la pretesa provocatoria: Gesù dice di sé: “Prima che Abramo fosse, io sono”. Il che significa: Abramo appartiene all’ambito della creatura, che deve divenire ed è divenuta. Gesù al contrario appartiene all’ambito di Dio, che non diviene e non deve andarsene, ma che semplicemente è. Gesù avanza la pretesa di essere Dio anche quando, alla domanda se Egli possa essere cosparso di un prezioso unguento, risponde con la frase: i poveri li avete in qualsiasi momento, non me. Infatti, in questo caso dubbio, l’onore spetta a Dio, il che vuol dire a Lui. Degli uomini indigenti in questo momento ci si può dimenticare. È più importante onorare Dio che soccorrere i poveri. Una pretesa questa, scandalosa.
Di fatto non vi è nessun uomo nell’ambiente vicino e lontano di Gesù, che direttamente o indirettamente abbia avanzato la pretesa di essere Dio. Nei decreti ufficiali degli imperatori romani senza dubbio, all’inizio, si dice che essi sono Dei o figli di Dio. Tuttavia questa è una pretesa che viene sollevata più per loro affinché possano trovare credito realmente sulla bocca degli uomini.
Quando Gesù dice ad un uomo: “I tuoi peccati ti sono rimessi”, i suoi nemici si indignano a ragione. Soltanto Dio può infatti rimettere i peccati. Il fatto che Gesù rafforzi la sua pretesa con un miracolo, è parte del suo programma di essere la fotografia di Dio. Il miracolo della guarigione del paralitico, ad esempio, rende visibile l’invisibile. L’invisibile è il potere della remissione dei peccati, visibile invece può divenire l’effetto del potere di fare miracoli.
8. Volti trasfigurati
Ora però la fine della invisibilità di Dio, oltre agli effetti dei segni prodigiosi, ha altre conseguenze visibili. Fra queste vi è soprattutto la trasfigurazione di Gesù. Il racconto della trasfigurazione di Gesù è il centro del Vangelo di Marco. I Vangeli raccontano della trasfigurazione del volto e delle vesti. Le vesti stanno per l’intero corpo: dal momento che Gesù è così simile a Dio, qui viene anche chiamato Figlio di Dio, e certo da Dio stesso.
Qualcosa di simile raccontano quei testi, secondo i quali il volto di Gesù, in particolare del Risorto, di Stefano, di Anania, di Noè, di Abramo, dei profeti Daniele e Geremia, ma soprattutto di Mosè, erano trasfigurati di luce.
Il fatto che si tratti assai spesso di fonti ebraiche, rinvia alla primitiva mistica ebraica. Infatti qui viene anche descritto come si possa giungere a questa condizione: attraverso severi e prolungati digiuni, attraverso una costante preghiera. La trasformazione intervenuta riguarda in prima linea l’espressione e la chiarezza degli occhi. In una tale condizione mi sono imbattuto incontrando monaci cistercensi “rigoristi”, che digiunavano e pregavano in modo molto duro. Se si osserva quanto spesso si parla del digiunare e del pregare di Gesù e della comunità primitiva, allora si può descrivere il cristianesimo primitivo come un movimento mistico, pur senza parlare di determinate pratiche o addirittura di una tecnica.
Malgrado tutto, resta il fatto che l’incarnazione di Dio non è un processo astratto o soltanto una costruzione sistematica. Se così fosse, allora non saremmo pervenuti ad altro che a orientamenti presenti nel protestantesimo liberale, che considerano come un marchio distintivo del cristianesimo il fatto che la fede sia libera da ogni esperienza religiosa.
Tutto il Nuovo Testamento non conosce che una intenzione, il divenir simile dell’uomo a Dio. Questo ha inizio nel Battesimo, che è un conformarsi a Gesù. E prosegue nell’etica dei primi cristiani, ad esempio nella rinuncia alla violenza e nell’amore per i nemici, non ultimo nella rinuncia al possesso dei beni, poiché Dio non possiede e non ha bisogno di nulla. Qui l’agire visibile di Gesù diventa visibilmente imitato. E il fatto che Dio ami i suoi nemici, può essere visto così: Egli lascia piovere sul bene e sul male, sul giusto e sull’ingiusto. I cristiani vengono chiamati figli di Dio, quando essi agiscono in modo simile al Padre celeste. Così viene riconquistata la filiazione, dunque la somiglianza.
Facciamo un passo avanti. Bernardo di Clairvaux: Dio ha creato l’uomo ad immagine e somiglianza. Il carattere dell’imago resta, tuttavia la somiglianza è andata perduta. In tal modo l’uomo è finito nella regio dissimilitudinis. Secondo la Rivelazione dell’Antico e del Nuovo Testamento gli uomini ritornano per questa via nella regio similitudinis, il che significa che attraverso Gesù Cristo noi possiamo nuovamente orientarci a come Dio è e agisce. Attraverso il battesimo e attraverso l’esempio di Gesù noi possiamo di nuovo divenire simili a Dio. Così tutti gli uomini possono divenire, a ragione, figli di Dio. In tal modo viene soddisfatto l’antico desiderio dell’uomo di essere come Dio.
9. I cristiani diventano immagini di Dio
Il superamento del divieto di fare immagini attraverso Gesù Cristo (attraverso la sua missione ovvero la sua incarnazione) ha come fine il fatto che i cristiani stessi divengano immagini. L’unica via realistica è che l’essere come Dio non lo raggiungiamo con la disubbidienza e la violenza, ma ce lo lasciamo donare. Possiamo inoltre essere immagine di Dio solo se diventiamo simili tra noi, amando armonicamente la stessa cosa. Questo corrisponde al concetto di Chiesa di Sant’Agostino: la Chiesa è la comunità di quanti amano la stessa cosa.
10. Dio atteso come uomo
Mentre i regni terreni giunti fino a noi sono impersonificati da animali feroci (orso, pantera, draghi), secondo Daniele il regno di Dio è rappresentato da una figura che è “come un uomo”. Questa figura è o la cifra stessa della presenza reale di Dio o si presenta come quella di un incaricato da Dio e investito di potere. (Dn. 7, 9-11)
Poi l’assunto fondamentale: “Essi saranno il mio popolo, io sarò il loro Dio” , viene completato con il passo: e io abiterò fra di essi,ossia abiterò fra di essi come un uomo, anzi, come l’uomo (gr. hos anthropos).
Questo significa che il giudaismo pre-cristiano coltiva determinate attese, per quanto comparativamente nebulose, circa il definitivo rendersi visibile del Dio invisibile. Alla fine gli uomini vengono liberati dalla invisibilità di Dio. Come se in primo luogo avessero esclamato: “Ab invisibilitate tua libera nos Domine”.
11. La metodica del procedere
La dignità di Gesù dopo Pasqua non si è accresciuta ulteriormente, nel quadro di una successiva divinizzazione. Questo lo suppone il modello dell’evemerismo, per il quale le asserzioni cristologiche “alte” sarebbero soltanto tardive. Un po’ come nei modelli di carriera degli USA del XIX secolo, Gesù sarebbe asceso dal livello di lavapiatti a quello di Presidente, dunque da artigiano della bottega di Nazareth fino a membro della Trinità. No, in realtà non vi è alcun criterio provato in grado di distinguere fra l’autenticità e la non autenticità delle parole o dei racconti di Gesù. Piuttosto, fin dall’inizio, eventi (miracoli) carismatici e pirofanie mistiche hanno fondato una cristologia alta. Per questo è avvenuto che, ad esempio, asserzioni circa la partecipazione alla Creazione non si trovino alla fine, ma all’inizio del cammino della Chiesa nel mondo.
Gesù, fin dall’inizio, ha guardato se stesso come il luogo della presenza di Dio; non è divenuto sempre più Dio solo nel corso dei decenni o dei secoli. Gesù è nostro contemporaneo in quanto immagine vivente del Dio vivente. Gesù basta. Deo gratias.
(traduzione di Leonardo Allodi)